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La Repubblica Rassegna Stampa
19.09.2021 Afghanistan: scuola vietata a bambine e ragazze
Cronaca di Paolo Brera

Testata: La Repubblica
Data: 19 settembre 2021
Pagina: 14
Autore: Paolo Brera
Titolo: «La rabbia delle studentesse di Kabul: 'Senza la scuola ci sentiamo morte'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/09/2021, a pag. 14, con il titolo "La rabbia delle studentesse di Kabul: 'Senza la scuola ci sentiamo morte' ", la cronaca di Paolo Brera.

How You Can Help Afghan Women and Displaced Families | Egyptian Streets

La generazione cancellata sono queste scarpe da ginnastica rosa che spuntano a mezzogiorno sotto la tenda sdrucita, tesa per creare una stanzetta riservata nel piccolo ristorante Mandawi. A pochi metri dalla calca del mercato che si affaccia sulle sponde del Kabul – la fiumana di liquami e spazzatura che attraversa il centro della capitale afghana – pranza una tavolata di sorelle insieme a papà e mamma. I fratelli non ci sono: per loro, per i maschi, ieri mattina è iniziata la scuola. Dall’altra parte della cortina c’è il triclinio con quattro talebani a gambe conserte, con barbe e fucili, con riso e pagnotte. Le ragazze di Kabul, quelle non così piccole da frequentare le elementari, sono barricate in casa. Per strada sono poche, diffidenti, accompagnate: «Sono tristissima, sono a pezzi. Oggi è un giorno maledetto, noi siamo il futuro dell’Afghanistan, ma se i talebani non ci lasciano andare a scuola come potremo far crescere il nostro Paese?». Reema, 16 anni, fa spesa tra le bancarelle dei tessuti insieme al padre e alle sorelle: «Niente foto», intima il papà lasciandole però qualche minuto per rispondere. Dopo il cambio di regime era inevitabile che ci fossero ritardi nella macchina complessa dell’istruzione, così nessuno aveva detto nulla quando erano tornati in classe solo i bambini delle elementari, con qualche novità nelle regole: maschi e femmine insieme solo fino al terzo grado, poi in aule separate fino al sesto.

What's at stake for Afghan women? | openDemocracy

Ma la stangata alle ragazze afghane è arrivata quando finalmente i talebani hanno annunciato la riapertura delle scuole superiori. Venerdì il ministero dell’Istruzione ha diramato una nota chiedendo a insegnanti e studenti maschi di tornare immediatamente in classe, a partire da ieri e in tutto il Paese, ma non ha speso una sola parola sulla sorte delle studentesse e delle docenti. «Sono a casa, aspetto ordini – dice Vassia, una professoressa – e non abbiamo la più pallida idea di quando torneremo a lavorare. Non ne posso più, vorrei andarmene anche io da questo Paese, così è troppo dura… Da quando è finita la scuola non ho più visto i miei ragazzi, e sinceramente non ho molta fiducia che potrò rivederli». «Dobbiamo ribellarci – dice Palwasha, che ha 17 anni e troppi sogni nel cassetto per lasciare che le buttino via la chiave – La gente deve tornare in piazza a protestare, deve sostenere le richieste delle donne perché arrivino ai leader talebani. Se la mia famiglia me lo consentirà ci andrò anche io, stavolta». Per cancellare un diritto fondamentale con due righe d’inchiostro, i talebani non se ne sono neppure presi la responsabilità. Non hanno detto che le studentesse non debbano tornare a scuola, né che le insegnanti non debbano insegnare: non le hanno nominate, senza chiarire se sia una scelta definitiva o un rientro posticipato. Il precedente non è benaugurante: nel ’96, quando presero il potere e governarono per la prima volta, dissero che si trattava di una decisione "temporanea": le ragazze restarono a casa per cinque anni, finché non furono cacciati. «Ho cinque sorelle e un fratello – dice Palwasha – e siamo tutti a casa: lui è troppo piccolo, noi femmine. Assurdo, io voglio continuare a studiare, ma siamo tutti convinti che i talebani non ci lasceranno mai più riprendere la scuola, vi rendete conto? ». Marwa, 16 anni, sente sulle spalle tutto il peso del mondo: «Quando sono arrivati loro, i talebani, ho capito che per me era finita. Non ci potrò andare mai più, a scuola. Non ho più alcuna fiducia nel mio futuro, penso che la mia vita sia davvero finita qui. E cosa possiamo fare? Le frontiere sono chiuse, non possiamo neppure scappare. Non ho accesso a internet, le mie compagne e le mie amiche non le vedo più, non posso uscire di casa perché abbiamo paura… Se ci siamo incontrati, adesso, è solo perché mamma mi sta accompagnando dal dottore». Anche Zainab, 15 anni, che raggiungiamo al telefono, è disperata: «Hanno distrutto tutti i miei sogni, ho paura per il mio futuro e per la mia vita. E ho una gran paura anche di loro, dei talebani». Ma l’onda della disperazione comincia ad alimentare nuove proteste. Studentesse e attiviste pubblicano foto in cui sollevano cartelli di rivolta: «Se uccidete la scuola, uccidete noi».

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