sabato 20 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
06.09.2021 Giordania: ecco la serie Netflix al femminile
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 06 settembre 2021
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Una serie tv ambientata in un liceo femminile divide la Giordania»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 06/09/2021, la cronaca di Sharon Nizza dal titolo "Una serie tv ambientata in un liceo femminile divide la Giordania".

Immagine correlata
Sharon Nizza

Al Rawabi School for Girls: The New Netflix Arabic Series We Can't-Wait to  Binge on! | El-Shai
La locandina della serie Netflix

Un liceo femminile di élite, la reginetta della classe protetta da genitori potenti e dall’omertà delle compagne, la secchiona di turno bullizzata. Ha gli ingredienti delle tante serie alla “Gossip Girl”, ma “Al Rawabi School for Girls” è la prima nel suo genere in lingua araba ed è l’argomento scottante sui social mediorientali, con una valanga di reazioni opposte. Creata e diretta dalla regista giordana Tina Shomali, è la miniserie più popolare su Netflix - la seconda produzione originale in lingua araba della piattaforma - dall’Arabia Saudita al Marocco, passando per Israele, superando “Hit&Run”, la nuova produzione degli autori di “Fauda”, che pure sta avendo grande successo in Medioriente. Bullismo, divari sociali, società patriarcale, i dilemmi sullo hijab, molestie sessuali, lo stigma sulla psicoterapia, il codice dell’onore che colpevolizza la donna (“cosa ti aspetti se ti vesti così?”, “la reputazione è tutto ciò che una ragazza possiede”): in sei puntate, Shomali affronta tutti i possibili tabù dell’universo femminile, specie in questa parte di mondo. E lo fa con un cast di attrici giordane senza peli sulla lingua, in un arabo intercalato da un ottimo inglese – riservato per le espressioni più volgari – come si addice alle figlie della Amman bene. “Declino morale che non riflette i costumi giordani e gli insegnamenti dell’Islam”, ha tuonato il Gran Mufti del Regno Hashemita; “Una serie con elementi pornografici che vanno contro i valori conservatori”, hanno scritto alcuni parlamentari chiedendone il boicottaggio; “Un tentativo deliberato di creare polemiche su questioni che nella nostra società sono definite proibite”, ha twittato Samih Al Maitah, ex ministro della Cultura.

Un precedente c’era stato nel 2019, quando “Jinn”, la prima serie interamente in arabo di Netflix, sempre produzione giordana, aveva affrontato un destino simile perché considerata contraria ai codici morali. Shomali ha difeso alla tv giordana la sua opera: “Senza dibattito non c’è impatto. La serie è la realizzazione della mia visione, come regista e donna. Il mondo delle giovani è un mistero per il pubblico e sono riuscita a presentarne uno sguardo profondo, presentando i problemi delle donne attraverso gli occhi delle donne”. Oltre ai contenuti definiti scabrosi, una delle critiche più diffuse è che la realtà scintillante della high society giordana, la loro relativa dissolutezza e apertura sessuale, tra ville di lusso e auto costose, presenti uno spaccato poco rappresentativo della società, in un paese in cui i divari sociali e l’alto tasso di disoccupazione hanno alimentato numerose proteste antigovernative nell’ultimo anno. Ne parla il giornalista palestinese Abdul-Ghani Salame, in un editoriale sul quotidiano Al Ayyam in cui invece esprime apprezzamento per la serie, attaccando l’ossessivo dibattito intorno a qualche volgarità o una spalla troppo scoperta: “A nessuno importa della povertà, della corruzione, della mancanza di libertà, del basso livello delle scuole, della mancanza di elezioni… Il nostro eterno problema è che ci occupiamo sempre solo delle questioni triviali”. “La serie descrive i dilemmi delle studentesse arabe, tra l'impegno per le convenzioni sociali conservatrici e la voglia di libertà di scelta. Tutto quello che non riflette in pieno gli stereotipi classici, da noi suscita opposizione”, dice Maysaloun Hamoud, regista dell’acclamato “Libere disobbedienti innamorate”, produzione israelo-francese che nel 2016 ha affrontato tematiche simili, imbattendosi nel muro del boicottaggio in alcune città arabo-israeliane. Un muro che, nell’epoca di Netflix, è sempre più facile da scavalcare. Tanto che, sui social, la domanda che più preoccupa i giovani è “a quando la seconda serie?”.

Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT