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Il Resto del Carlino Rassegna Stampa
00.06.2002 I nipotini italiani del dr Goebbels
Plauso a Iuri Maria Prado

Testata: Il Resto del Carlino
Data: 00 giugno 2002
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «I nipotini italiani del dr Goebbels»
l caso non è chiuso. Non bastano certo le scuse di herr Moellemann alla comunità ebraica tedesca (peraltro respinte) per porre fine alla polemica sull'antisemitismo scatenata dallo stesso vicepresidente del partito liberale (Fdp) con le sue stolte dichiarazioni. Bisognerà aspettare il voto di settembre in Germania per sapere fino a che punto è rimasto il segno. Una cosa è certa: la difesa dei kamikaze palestinesi e le accuse a Sharon sono state gli arnesi con cui sondare gli umori dell'opinione pubblica, attingere consensi tra i malesseri e le paure più profondi e pericolosi della società tedesca. Moellemann non ha fatto altro che solleticare la bestia dell'antisemitismo, sfiorare il magma incandescente che trabocca ormai ovunque. In Germania e non solo. La diffidenza, l'odio per gli ebrei sono un filo rosso che non conosce confini, riannodato con criminale pazienza con il passare degli anni. Sono il filo che tiene insieme - con le dovute differenze - le destre populiste europee e gli estremismi islamici, i nazi americani e gli ultrà cattolici. Un rosario di violenza in cui l'assalto alle sinagoghe europee si accompagna all'assassinio del giornalista ebreo (e americano) Pearl e alla guerra santa contro gli ebrei proclamata da Bin Laden.
Tutto ciò viene 'giustificato' con l'antisionismo dilagante. Le colpe di Sharon vengono trasfornate in realtà nelle colpe di un popolo. E nell'immaginario collettivo continuano ad albergare le accuse di sempre rivolte agli ebrei: deicidi, usurai, complottisti. I Protocolli dei Savi di Sion vengono riaggiornati diffondendo la notizia (falsa ma non smentita per mesi) che nell'attentato alle Torri gemelle non ci sono vittime di origine ebraica. E quindi «non possono che essere stati gli ebrei a organizzarlo». Le teorie negazioniste con cui attaccare la Shoa sono penetrate ormai profondamente in larghi strati dell'opinione pubblica mondiale. E sempre più numerosi sono gli Stati e le classi dirigenti che vogliono liberarsi di quel senso di colpa che li ha accompagnati nei decenni successivi all'Olocausto, marchio della loro indifferenza o complicità. «Ma cosa vogliono questi ebrei?», è il motto infastidito che accompagna ogni discussione sull'ebraismo oggi. E la 'diversità' di quel popolo è sempre meno accettata. «Un ebreo buono è un ebreo morto», diceva il dottor Goebbels, e oggi ripetono i suoi nipotini del XXI secolo.
Succede anche in Italia, dove un Perlasca celebrato in tv non basta a cancellare le ombre di antisemitismo. Succede anche in Italia, dove le scritte a favore della causa palestinese vanno lette in controluce come una condanna dell'ebraismo tout court. Succede anche in Italia, dove una sinistra strabica vuole vedere solo i tank di Sharon a Jenin e non i kamikaze di Hamas in Israele. Ma è il «popolo degli indifferenti» che più dobbiamo temere. E' grazie alla sua codardia che sono state compiute le peggiori atrocità.
Sosteneva Sartre che «l'antisemitismo non è un problema ebraico: è il nostro problema». Fermarlo spetta a tutti noi, prima che ci travolga. «Ai nostri tempi, odiarsi e mordersi perché non abbiamo il cranio assolutamente costruito nello stesso modo, inizia ad essere la più mostruosa delle follie», scriveva Emile Zola nel 1896. Un secolo dopo, l'incubo di quella follia è ancora fra noi.





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