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Il Riformista Rassegna Stampa
04.01.2022 'L'antisemitismo è ovunque': parla l'ambasciatore di Israele in Italia Dror Eydar
Lo intervista Umberto De Giovannangeli

Testata: Il Riformista
Data: 04 gennaio 2022
Pagina: 6
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Antisemitismo? Ovunque, anche all'Onu»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 04/01/2022, a pag. 6, con il titolo 'Antisemitismo? Ovunque, anche all'Onu' l'intervista all'ambasciatore di Israele in Italia Dror Eydar di Umberto De Giovannangeli.

ytali. - Autori
Umberto De Giovannangeli

Rapporti sempre più stretti tra Sanremo e Israele: opportunità turistiche e  commerciali, ma anche eventi e cultura. Intervista all'ambasciatore Dror  Eydar (Video) - Sanremonews.it
Dror Eydar

Dall'antisionismo che continua ad attecchire in Italia e in Europa, alle incerte prospettive del processo di pace in Medio Oriente. Dalle attese politiche per l'anno appena iniziato, alla comune lotta contro il Coronavirus e le sue varianti. È una intervista davvero a tutto campo quella concessa a Il Riformista dall'Ambasciatore d'Israele in Italia. Dror Eydar.

Signor Ambasciatore, alla luce del presente ma guardando anche indietro nel tempo, anche a tragici episodi che hanno colpito le comunità ebraiche in Italia e in Europa. Ritiene ancora attuale quanto ebbe ad affermare il Presidente emerito Giorgio Napolitano, e cioè che "l'antisionismo è la forma moderna dell'antisemitismo". L'antisionismo è così forte in Italia e in Europa? II popolo ebraico è rimasto fedele alla sua antica terra anche nei secoli successivi alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel primo secolo. Per generazioni il sogno è stato quello di tornare a casa, a Sion, come promesso dalle profezie bibliche. Il sionismo è l'espressione politica del sogno di tornare a Sion, a casa. L'opposizione al sionismo è opposizione all'autodeterminazione degli ebrei come popolo con del diritti sulla propria patria storica. Dopo la prima guerra mondiale, quando l'Impero ottomano crollò e il Medio Oriente cadde nelle mani delle potenze vincitrici, le superpotenze si riunirono nell'aprile 1920 a Sanremo, dove riconobbero i diritti del popolo ebraico sulla propria terra. L'Italia ha avuto il privilegio di ospitare sul suo territorio questo evento di portata biblica, e l'allora Presidente del Consiglio, Francesco Nitti, fu tra firmatari del mandato affidato alla Gran Bretagna, di adempiere alla Dichiarazione Balfour relativa all'istituzione di un focolare nazionale per il popolo ebraico nella sua terra. Nella storia abbiamo errato per tutta l'Europa, e anche se abbiamo contribuito allo sviluppo dell'umanità e dei popoli fra cui abbiamo dimorato, alla fine al loro occhi eravamo sempre solo degli ospiti per un momento o per qualche generazione, fino alla espulsione successiva. Il culmine è arrivato durante l'Olocausto. Anche nel giorni più terribili per noi, non c'era nessuno ad accoglierci o a proteggerci. Abbiamo capito il messaggio e siamo tornati a casa, perché la piena esistenza ebraica si realizza in una nazione indipendente che risiede nella propria terra e non fa affidamento sulla benevolenza degli altri, come era stato prima della fondazione di Israele. Il nucleo ideologico dell'antisemitismo storico è l'esclusione del popolo ebraico e la sua estromissione dalla famiglia delle nazioni. Quello che spetta agli altri popoli, non spetta ad esso. Più di una volta questa idea è stata portata all'estremo e ci hanno privati dello stesso diritto alla vita. Ma anche l'annuale teatro dell'assurdo all'Onu, in cui ogni anno l'Assemblea Generale vota un pacchetto di risoluzioni anti-israeliane (tra 15 e 20) che presentano Israele come il centro del male mondiale, e di fatto non ci giudicano secondo gli standard applicati al resto del mondo, è anch'esso una forma di antisemitismo. Sfortunatamente, gran parte del mondo democratico occidentale si presta a questa vergogna morale. Per loro è solo un gioco di Interessi. Per noi, colpire lo status di Israele sulla scena internazionale, incoraggia i nostri nemici e porta a un incremento del casi di antisemitismo nel mondo. Spero che l'Italia aiuti a cambiare questa assurda situazione all'Onu, e sono incoraggiato dalle molte voci nel Parlamento italiano che chiedono un cambiamento in tale direzione.

Lei sa che la posizione dell'Europa in merito al negoziato israelo-palestinese si fonda sulla soluzione "a due Stati". E questa è anche la posizione officiate dell'Italia. Ritiene che questa strada sia ancora praticabile? Non si può sapere. Bisogna essere in due per ballare il tango. Finora, tutte le proposte di compromesso offerte al palestinesi negli ultimi cento anni sono state da loro respinte. Anche quelle più generose. Inoltre, tutti i media e le istituzioni educative dell'Autorità Palestinese sono dediti al furto della memoria storica del popolo ebraico e dell'invenzione di una storia per i palestinesi, basata sulla storia conosciuta del popolo ebraico. Nelle mappe del libri di testo dell'AP non compare Israele, nemmeno entro confini ristretti. Di base, "Palestina" è il nome imposto dall'imperatore Adriano nella metà del II secolo d.C., dopo una serie di rivolte degli ebrei. Voleva recidere il legame tra gli ebrei e la loro terra, cosi ordinò che in tutti i documenti ufficiali romani il nome "Giudea" o "Israele" fosse sostituito da "Siria-Palestina", o Palestina. Fu preso il nome dal Filistei, uno del popoli del mare che vissero fino al VII secolo a.C. nella fascia costiera del nostro Paese, e poi sono scomparsi. Lo stesso Gesù visse da ebreo nel primo secolo in Galilea e in Giudea. Reiterati tentativi di mistificazione della storia da parte dei palestinesi impediscono loro di accettare compromessi e di prendersi cura della propria vita, perché si autoconvincono che presto gli ebrei scompariranno. Non nascondo che anche il supporto automatico che essi ricevono dal mondo, per le assurde proposte di risoluzioni presso le istituzioni Onu, li incoraggia a non scendere a compromessi. In ogni caso, vale la pena ricordare che la soluzione non è solo a "due Stati", ma "due Stati per due popoIi". Gli accordi di Oslo si basavano sul presupposto che alla radice del conflitto vi fossero due movimenti nazionali. Ma mentre noi abbiamo riconosciuto il movimento nazionale palestinese e le sue richieste, i palestinesi non hanno mai riconosciuto il movimento nazionale del popolo ebraico e la legittimità delle nostre richieste di autodeterminazione nella nostra patria. Non per niente i loro portavoce non menzionano mai la seconda parte dell'idea. Stanno attenti a dire solo "due Stati" e a non menzionare i "due popoli". Non è casuale. L'articolo 20 della Carta nazionale palestinese respinge ogni connessione storica o religiosa tra gli ebrei e la "Palestina", ossia la biblica Terra di Israele, e afferma inoltre che l'ebraismo è solo una religione e non un'identità nazionale. Come ho già spiegato in passato, negare il carattere nazionale di un popolo cosi antico come il nostro, e il nostro diritto all'autodeterminazione, è evidente antisemitismo. Ma, nello spirito del Natale, aggiungo che negare il legame degli ebrei con la loro patria storica, vuol dire negare necessariamente le radici cristiane in Terra Santa. Una delle assurde risoluzioni delle Nazioni Unite ha affermato che gli ebrei non hanno diritto alla sovranità a Gerusalemme e ha chiamato il Monte del Tempio solo con la sua denominazione musulmana "Hamm al-Sharir. Abbiamo ripetuto più volte ai nostri colleghi in Occidente che questa definizione non è un problema nostro, ma loro, in quanto nega le radici del cristianesimo in quel luogo. Per quanto ne sappiamo, Gesù ha operato sul "Monte del Tempio" e non nel "Hamm al-Sharir, ha camminato a Gerusalemme e non in "Al Quds", e in generale ha vissuto in Giudea e Galilea e non in "Palestina". Un compromesso storico inizia con un riconoscimento storico della legittimità delle nostre rivendicazioni nazionali e del legame vivo e chiaro del popolo ebraico con il proprio paese. Questo è il significato dell'altra metà della soluzione: "...per due popoli", anche per il popolo ebraico.

Alcune settimane fa c'è stato lo storico viaggio del Primo ministro israeliano Naftali Bennett negli Emirati Arabi Uniti. Il primo nella storia dalla nascita d'Israele. La via maestra da seguire per la stabilità della regione è dunque quella di implementare gli "Accordi di Abramo" e l'Europa come potrebbe contribuire a questo? Gli Accordi di Abramo, sostenuti anche dall'Italia, hanno cambiato il vecchio paradigma in Medio Oriente sotto diversi aspetti. Per prima cosa, gli Stati arabi moderati ora capiscono che, contrariamente alla propaganda di vecchia data contro di noi, Israele non è il problema in Medio Oriente, ma la soluzione e la speranza per la stabilità nella regione. Vedono che, in tutti i luoghi del Medio Oriente in cui la stabilità è stata minata, si possono trovare le mani dell'Iran o del suoi emissari. Per la prima volta dalla fondazione dell'Islam nel VII secolo, c'è ora una ininterrotta mezzaluna sciita o sotto l'influenza sciita - dall'Iran, attraverso l'Iraq, la Siria, il Libano, fino al Mediterraneo. Pertanto, è importante rafforzare la coalizione tra Israele e gli stati arabi moderati, alla luce delle mire di egemonia dell'Iran e del suoi tentativi di minare i regimi di questi paesi. Un'altra questione legata al vecchio paradigma è l'affermazione che non possa esserci progresso nella normalizzazione delle relazioni di Israele con gli stati arabi senza progressi nel processo di pace con i palestinesi. Ebbene, come ho detto prima, anche gli Stati arabi hanno capito che i palestinesi rifiutavano qualsiasi offerta e quindi ponevano un veto permanente sul futuro della regione. Sono sempre di più le voci che si sentono nei paesi del Medio Oriente e che si chiedono perché dovrebbero ipotecare il loro futuro al costante rifiuto palestinese di scendere a compromessi. Lo abbiamo sentito anche dall'ambasciatore saudita Bandar Bin Sultan in un'intervista dell'ottobre 2020. Gli Accordi di Abramo sono un accesso e una porta per la prosperità economica, la sicurezza e la fioritura del deserto, per lo scambio di informazioni e tecnologia. L'Europa pub aiutare a portare ancora più paesi nel cerchio della pace. Pub anche spingere i palestinesi a scendere a compromessi, se capiscono che non riceveranno più un sostegno (quasi) fisso per le loro decisioni anti-israeliane. Sarebbe bene che l'Europa controllasse dove vanno a finire le sue donazioni e i suoi aiuti (molte volte. in un modo o i un altro, vanno a finire a sostegno di organizzazioni terroristiche), soprattutto alla luce del fatto che l'Autorità Palestinese paga gli stipendi alle famiglie del terroristi che hanno ucciso gli ebrei. I libri di testo palestinesi, poi, sono intrisi di odio e istigazione contro gli ebrei, e l'Europa, che contribuisce a finanziare il Ministero dell'Istruzione dell'Anp e l'Unrwa, dovrebbe impedire che ciò possa accadere. Dovremmo anche imparare tutti dall'esperienza degli stati arabi moderati. Forse vedono qualcosa che ci aiuterà a sbloccare lo stallo in Medio Oriente, dopo circa cento annidi conflitto.

Signor Ambasciatore, non ritiene che una identificazione assoluta tra l'ebraismo della diaspora e Israele sia dannosa o comunque semplificatoria? Dalla prima distruzione di Gerusalemme nel 586 a.C., gli ebrei sono dispersi in tutto il mondo, anche quando il centro del mondo ebraico si trovava in Israele. Le comunità ebraiche sono autonome e indipendenti, la loro identità non dipende dalla misura del loro legame con Israele. La comunità ebraica in Italia è antichissima e le sue radici risalgono al II secolo a.C. Gli ebrei sono gli eterni testimoni del passato di questa gloriosa terra, e hanno contribuito molto all'unificazione d'Italia e per essa hanno sacrificato la vita sul campi di battaglia. Coloro che cercano di mettere in discussione la loro identità o il grado del loro impegno per la prosperità e la sicurezza dell'Italia sono gli antisemiti. Questo è ciò che hanno fatto in tutte le generazioni: hanno mosso verso gli ebrei sospetti di slealtà nei confronti dell'autorità preposta. La realtà era, ovviamente, esattamente l'opposto. I nemici dello Stato di Israele cercano obiettivi da attaccare, e quindi cercano di identificare gli ebrei con Israele. Questo è assurdo. Da una parte usano dire: non abbiamo nulla contro gli ebrei, ma solo contro il sionismo e Israele. Dall'altra parte, identificano gli ebrei con Israele e poi li attaccano. Questo è un noto atteggiamento antisemita. Nel XIX secolo, quando gli ebrei combattevano per i diritti civili, gli antisemiti si opposero, sostenendo che gli ebrei fossero un popolo e non solo una religione, e quindi la concessione del diritti civili sarebbe stata una sorta di istituzione di uno stato all'interno dello stato. Per questo gridavano: "Ebrei, andate in Palestina". E quando gli ebrei lasciarono l'Europa e stabilirono uno stato nella loro antica patria, gli antisemiti iniziarono a esclamare: "Ebrei, andate via dalla Palestina", perché siete solo una religione e non un popolo.

C'è una "guerra" che dovrebbe vedere l'intero pianeta unito: c la guerra al Covid. Israele è tra i Paesi che meglio hanno agito in questo senso. È un modello esportabile? In effetti, la lotta contro il Coronavirus presenta molti parametri simili a una guerra mondiale. Il mondo ha imparato a cooperare, anche tra paesi nemici, per salvare la vita dei civili. Abbiamo anche imparato l'importanza dell'abilità scientifica. Dall'inizio della pandemia Israele è in prima linea a livello mondiale, sia riguardo all'isolamento all'inizio, sia poi nella vaccinazione della popolazione e anche nella ricerca. Ora stiamo discutendo di un quarto vaccino. Allo stesso tempo, condividiamo con il mondo le informazioni scientifiche e l'esperienza acquisita in Israele. In particolare le condividiamo con l'Italia. Già dalle prime ondate abbiamo stabilito un incontro settimanale tra i due ministeri della salute, quello israeliano e quello italiano. La scorsa settimana si è ripreso. In piena seconda ondata, nel dicembre dello scorso anno, abbiamo portato una delegazione medica dell'ospedale Sheba in Israele - uno del migliori al mondo - per aiutare il Piemonte a combattere il virus. Quando si vedono le dimensioni della pandemia, si capisce perché viene trattata come una guerra mondiale. Ma c'è un'altra guerra in corso negli ultimi decenni, una guerra molto importante per la nostra esistenza: la guerra per la civiltà occidentale e i suoi valori. Qui, in particolare, Israele funge da avamposto in difesa dell'Occidente. Il sostegno a Israele è quindi una scelta di vita per l'Italia e per l'Occidente.

redazione@ilriformista.it

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