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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
09.09.2016 'Nessuna invasione e i muri non servono': parla l'amico di Hezbollah
Filippo Grandi intervistato da Silvina Perez

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 09 settembre 2016
Pagina: 3
Autore: Silvina Perez
Titolo: «Nessuna invasione e i muri non servono»

Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 09/09/2016, a pag. 3, con il titolo "Nessuna invasione e i muri non servono", l'intervista di Silvina Perez a Filippo Grandi.

La cecità di Filippo Grandi non stupisce, ma raggiunge sempre nuove vette. Sostenere, oggi, che non esista alcuna invasione e che i muri non servano nella lotta al terrorismo è una menzogna irresponsabile. Grandi dovrebbe ben conoscere il terrorismo, visto che quando comandava le forze dell'Onu nella regione del Libano meridionale faceva fare ai terroristi di Hezbollah tutto quello che volevano in funzione anti-israeliana, incurante del ruolo internazionale che ricopriva.

Ecco l'intervista:

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Filippo Grandi

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Terroristi di Hezbollah, che Filippo Grandi ben conosce

«Che si tratti di rifugiati o di migranti per ragioni economiche credere di respingerli con muri o barriere è un pop ingenuo oltre che inefficace. Accogliere chi fugge da guerre e violenze è un principio fondamentale di civiltà nato in Europa». A sostenerlo è Filippo Grandi, cinquantottenne milanese, che da gennaio è il nuovo Alto commissario dell'Onu per i rifugiati, in un'intervista all'Osservatore Romano. L'Unhcr è l'agenzia delle Nazioni Unite che dal 1951 supervisiona le crisi umanitarie e gestisce la protezione internazionale e l'assistenza ai profughi.

In Europa vengono costruiti continuamente nuovi muri, servono? No, assolutamente. Sono misure a breve termine e anche molto deboli. La chiave di volta resta l'imperativo di risolvere guerre e povertà, generatrici di esodi. Respingere persone con muri o barriere è inefficace. Si dimentica troppo spesso che la Convenzione sui rifugiati è nata proprio per gestire un problema europeo all'inizio della guerra fredda e con l'arrivo di tante persone dal blocco sovietico in occidente. Questa è stata l'origine della legislazione internazionale sui rifugiati. Bisogna armonizzare regole e pratiche dell'accoglienza, in primo luogo evitando muri e respingimenti. Oggi molti sostengono che dobbiamo respingere queste persone perché contrarie ai valori della civiltà europea ma è proprio quel rifiuto che è contrario ai nostri valori. Rifiutare, è una contraddizione in termini rifiutare. Rischiamo di mettere in pericolo uno dei cardini del sistema internazionale dei diritti umani.

Esiste una invasione di profughi? Non bisogna sottovalutare il dato che l'anno scorso in Europa sono arrivate più di un milione di persone tra cui molti, la maggioranza, rifugiati. E un numero importante che va gestito con una certa organizzazione. I movimenti di popolazioni, oggi, sono inevitabili. Guardi, sono tornato due giorni fa dall'Uganda dove ogni giorno arrivano da 800 a 1000 rifugiati, provenienti dal Sud Sudan, dal Burundi e dalla Repubblica del Congo e vengono ospitati in un paese che ha molte meno risorse di qualsiasi stato europeo. Noi europei, abbiamo una spiccata tendenza alla personalizzazione di una crisi che ha numeri enormi. Eppure paesi ben più poveri, vicini alle peggiori aeree di crisi, si fanno carico di metà dei rifugiati e richiedenti asilo di tutto il mondo. L'emergenza è altrove e colpisce soprattutto l'Africa il Medio oriente e l'America latina. Per questo consiglio di vedere le cose in prospettiva. E vero che l'Europa ha avuto molto arrivi durante il 2015 ma non parlerei proprio di una invasione, direi che è una situazione complessa da gestire ma ce ne sono altre di molto più gravi.

Come affrontare una situazione che non è più emergenziale ma un fenomeno che ormai si manifesta da anni e che proseguirà a lungo? Bisogna accoglierli tutti? Partiamo dal fatto che i rifugiati non sono mendicanti, rivali per il lavoro, o terroristi, ma sono persone come noi, le cui vite sono state sconvolte dalla guerra. In contrasto con la narrazione sbagliata ripetutamente presente nei media, certe cose vanno ricordate. Però l'accoglienza va fatta in modo organizzato, non possiamo lasciare che sia anarchica come è lo stata l'anno scorso. Serve un approccio più comunitario e redistributivo. La Germania in particolare ha accolto in poco tempo un numero spropositato di persone mentre ci sono altri paesi che non hanno accolto nessuno. Anzi, invece di una ripartizione degli oneri, vediamo la chiusura delle frontiere. La solidarietà, oggi spesso criticata e vista con sospetto, è in realtà il punto di partenza per qualsiasi soluzione delle crisi che ci minacciano.

L'accordo Ue con la Turchia per arginare la partenza dei flussi non rischia di fare rimanere l'Italia intrappolata? II rischio di diventare un «ricevitore» di migranti, senza grandi sbocchi esterni c'è. Il disordine dell'attuale gestione giustifica questo allarme. La mancanza di coordinamento e solidarietà dà forza a chi vuole alzare le barriere. Se non funziona la "valvola" che consente la distribuzione delle persone, Italia e Grecia ovviamente si troveranno in prima linea.

Il tema dell'accoglienza è sempre legato alla solidità del leadership nazionali. Come dovrebbe agire la politica? Una gestione ordinata dei profughi è la migliore ricetta per rassicurare l'opinione pubblica. La dimostrazione palese sono stati i flussi incontrollati per buona parte del 2015, che hanno finito con l'avere un forte impatto soprattutto sui paesi di primo transito come la Grecia e l'Italia e su quelli che hanno ricevuto la massa principale di arrivi, come la Germania, Austria e la Svezia. L'Europa deve europeizzare l'accoglienza e le due parole d'ordine sono solidarietà e organizzazione. Una solidarietà basata su principi internazionali secondo i quali i rifugiati devono essere accolti quando non hanno più protezione nel loro paese. E' importante sottolineare che i numeri di rifugiati in Europa sono ancora gestibili. Con una popolazione di 400 milioni e un milione di migranti (non solo rifugiati) arrivati nel 2015, il rapporto è di uno a quattrocento, ad esempio in Libano il rapporto è 1 a 3. In più di trent'anni di lavoro con i rifugiati ne ho incontrati pochi che fuggissero senza un disperato rammarico di dover partire; e che non desiderassero tornare a casa.

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