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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
03.04.2014 Condannato per cinque omicidi, si può chiamarlo 'Mandela arabo' ?
Marwan Barghouti resta un assassino e un terrorista

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 03 aprile 2014
Pagina: 13
Autore: Alessandro Oppes
Titolo: «Lo spione e il 'Mandela arabo'. La pace palestinese è in carcere»
Riportiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 03/04/2014, a pag. 13, l'articolo di Alessandro Oppes dal titolo "Lo spione e il 'Mandela arabo'. La pace palestinese è in carcere".
Lo "spione" in questione sarebbe Jonatahn Pollard, in carcere negli Stati Uniti per aver passato a Israele informazioni vitali per la sua sicurezza e sopravvivenza. Il 'Mandela arabo' sarebbe invece Marwan Barghouti. Come segnala Alessandro Oppes nell'articolo, "
all'insegna dello slogan "free Barghouti" è partita una grande mobilitazione internazionale".
Peccato che Barghouti sia  un terrorista, a suo tempo capo dell'efferato gruppo dei Tanzim durante la campagna terroristica palestinese che va sotto il nome di "seconda intifada", e sia detenuto in Israele perché giudicato colpevole di cinque omicidi.

 
Ecco il testo dell'articolo:


Alessandro Oppes    M.Barghouti e Arafat        Un terrorista dei Tanzim


Jonathan Pollard
 
Una volta di più, tutto in alto mare. il sottile filo che teneva in piedi la complessa mediazione di pace tra israeliani e palestinesi rischia di spezzarsi dopo l'annullamento repentino della visita a Ramallah da parte del segretario di Stato americano John Kerry. L'inviato di Obama ha replicato così - subito dopo l'infruttuoso incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu - alla mossa a sorpresa annunciata martedì notte in tv dal presidente palestinese Abu Mazen, secondo cui l'Anp presenterà formale richiesta di adesione a 15 agenzie dell'Onu: un passo deciso in violazione degli impegni assunti nel luglio scorso - alla ripresa delle trattative frutto proprio dell'impegno di Kerry - in base ai quali i palestinesi avrebbero congelato provvisoriamente ogni iniziativa presso l'Onu per facilitare il riconoscimento reciproco con Israele. Ma ora il futuro si prospetta nuovamente carico di incognite. Una riguarda il destino dell'ex 007 della marina statunitense Jonathan Pollard, in carcere da 30 anni dopo che l'Fbi scoprì che era stato ingaggiato da un ex dirigente del Mossad a capo di un ufficio del ministero della Difesa all'epoca guidato da Yitzhak Rabin, con il compito di filtrare a Tel Aviv documenti dell'intelligente Usa relativi ai paesi arabi e all'arsenale militare sovietico. Il nome di Pollard era stato inserito nelle ultime settimane da Kerry in un'ipotesi di triangolazione: a cambio della liberazione della spia da parte di Washington, Netanyahu si sarebbe dovuto impegnare a congelare in modo quantomeno ufficioso i nuovi insediamenti di coloni e a liberare circa 400 prigionieri palestinesi, per ottenere così da Abu Ma-zen il via libera alla prosecuzione delle trattative oltre la data fissata del prossimo 29 aprile e possibilmente fino alla metà del 2015. Un piano che rischia a questo punto di sfumare per l'alzata di testa del leader di Ramallah (indotta probabilmente dalla convinzione che il negoziato non porterà risultati significativi). Secondo un anonimo responsabile dell'amministra-zione Usa citato dal Washington Post, "senza passi significativi dalle due parti, Pollard è fuori dal tavolo". L'altra grande incognita riguarda invece il campo palestinese, ma non può essere circoscritta - neppure questa - a una questione di politica interna. Il discorso sulla successione di Abu Mazen non è più un tabù. Il presidente dell'Anp non solo è anziano (79 anni) e in precarie condizioni di salute, ma è da tempo oggetto di critiche sempre più aspre per l'incapacità di portare a compimento il processo d'indipendenza (troppo moderato, secondo alcuni). Ed è comunque in scadenza: anzi, il suo mandato è già scaduto ed è stato prorogato in modo unilaterale, una situazione che non si potrà perpetuare ancora a lungo. I palestinesi hanno bisogno di trovare il loro nuovo Arafat. Difficile che possa essere l'attuale primo ministro Salan Fayyad, un burocrate affine alle posizioni di Abu Mazen. E forse non sarà neppure l'ex braccio destro di Arafat, Mohammad Dahlan, da 4 anni è in esilio negli Emirati Arabi, o l'uomo di punta di Hamas, il premier di Gaza, Ismael Haniyeh. Un nome forte, probabilmente l'unico capace di mettere tutti d'accordo e di rilanciare le speranze di un popolo, i palestinesi ce l'hanno. Ed è quello di Marwan Bar-ghouti, la cui figura comincia già a essere idolatrata come quella del "nuovo Nelson Mandela". Secondo alcuni recenti sondaggi, è il più popolare tra i politici palestinesi. Il problema è che Barghouti, esponente di primo piano di Al Fatah, uno dei leader della seconda Intifada, è agli arresti dal 2002 e sconta in Israele una condanna a 5 ergastoli per altrettanti omicidi dei quali si dichiara innocente. Intorno alla richiesta della sua liberazione si ritrovano, per una volta, uniti Hamas e Al Fatah (anche se la popolarità di Barghouti, diffusa soprattutto tra le generazioni meno giovani, spaventa soprattutto il movimento che governa a Gaza, ndr). Abu Mazen ha sollevato il caso nel suo incontro del 20 marzo alla Casa Bianca con Barack Obama. E all'insegna dello slogan "free Barghouti" è partita una grande mobilitazione internazionale. Se gli israeliani cederanno, sarà perché avranno capito di aver trovato un interlocutore autorevole con cui negoziare la pace.

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