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israele.net Rassegna Stampa
12.11.2023 Ecco perché Israele non può accettare adesso un cessate il fuoco di diversi giorni
Analisi di Ron Ben-Yishai, da Israele.net

Testata: israele.net
Data: 12 novembre 2023
Pagina: 1
Autore: Ron Ben-Yishai
Titolo: «Ecco perché Israele non può accettare adesso un cessate il fuoco di diversi giorni»
Ecco perché Israele non può accettare adesso un cessate il fuoco di diversi giorni
Analisi di Ron Ben-Yishai, da Israele.net

Israel-Hamas War LIVE Updates: Al-Shifa hospital encircled by tanks, fuel  shortage threatens ICU, ventilators, says WHO | Mint

Durante l’operazione anti-terrorismo “Margine Protettivo” del 2014, il Segretario Generale delle Nazioni Unite chiese un cessate il fuoco. Un’ora dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, i terroristi uscirono da un tunnel vicino a Rafah (striscia di Gaza meridionale) e uccisero il maggiore Bnaya Sarel, il tenente Hadar Goldin e il sergente maggiore Liel Gideoni. Era il primo agosto 2014. La sera prima Israele aveva accettato il cessate il fuoco e i terroristi avevano capito che quella era la loro occasione. Colpirono i soldati da pochi metri di distanza, agguantarono il corpo di Goldin, lo calarono nel pozzo d’entrata del tunnel e in pochi minuti erano già in un rifugio al sicuro. La salma non è mai stata restituita a Israele. Quel giorno mi trovavo alla periferia di Khan Yunis (striscia di Gaza meridionale) con un’altra unità combattente, anch’essa allo scoperto da quando il cessate il fuoco era entrato in vigore alle 8.00. Ma alle 9.30 sentimmo dell’attacco e 10 minuti dopo il cessate il fuoco era acqua passata. Questo evento mostra bene perché oggi la leadership politica e militare d’Israele si oppone alla richiesta mondiale di un cessate il fuoco, e perché invece Hamas lo invoca con forza. Un cosiddetto cessate il fuoco umanitario causerebbe grave danno agli ostaggi e allo sforzo bellico di Israele, mentre Hamas nei tunnel ne ha bisogno come l’aria che respira, letteralmente. I cessate il fuoco consentono al nemico in crisi di migliorare significativamente le sue condizioni per prolungare i combattimenti. Israele può accettare al massimo una “pausa” umanitaria della durata di 4-5 ore. Questo è il tempo necessario per fornire ai civili di Gaza gli aiuti umanitari di cui hanno bisogno e alleviare la condizione degli sfollati, dei feriti e dei malati. La striscia di Gaza non è grande e anche chi si sposta a piedi da nord verso le aree di rifugio nel sud può farlo in quattro ore o meno. Non occorre più tempo neanche per i camion di cibo, acqua e medicine per dirigersi da Rafah (valico con l’Egitto ndr) agli ospedali e quartieri nel nord. Se si considera la questione in modo obiettivo, si capisce perché Hamas (a cui notoriamente non importa nulla dei civili palestinesi) insiste così tanto per un “cessate il fuoco” di due o tre giorni. Le servirebbe per garantirsi notevoli vantaggi senza che essere costretta a dare quasi nulla in cambio, ad eccezione di qualche ostaggio con cittadinanza straniera o doppia cittadinanza sui circa 240 che hanno rapito e deportato a Gaza. Ecco alcune buone ragioni per cui invece Israele non dovrebbe accettare. Dal punto di vista logistico, i combattenti di Hamas e i suoi capi acquattati nei tunnel otterrebbero quasi tutto ciò di cui necessitano per reintegrare le loro scorte sotterranee. Potrebbero saccheggiare le strutture dell’UNRWA così come i magazzini di cibo e carburante a Gaza, aumentando così la loro capacità di rimanere sottoterra per molti altri giorni. Un cessate il fuoco consentirebbe a Hamas di ripristinare le linee di comunicazione danneggiate tra i suoi vari apparati, sopra e sotto la superficie. All’interno dei tunnel corrono numerose linee di comunicazione che permettono ai comandanti di trasmettere ordini agli avamposti ancora in grado di combattere. Un cessate il fuoco consentirebbe di rimetterle in funzione e forse anche di liberare i passaggi nei tunnel bloccati dalle bombe dell’aeronautica e dall’attività delle Forze di Difesa israeliane sul terreno. Sul piano operativo, un cessate il fuoco consentirebbe a Hamas di riorganizzarsi e armarsi per continuare i combattimenti. Ad esempio, i terroristi potrebbero ricaricare le rampe lanciarazzi situate vicino alle zone in cui sono in corso i combattimenti. Questi impianti restano vuoti dopo aver lanciato i razzi o le bombe di mortaio: l’interruzione dei combattimenti consentirebbe di accedervi e rifornirli. Ciò significa che un cessate il fuoco di alcuni giorni consentirebbe un drastico aumento dei lanci di ordigni sulla popolazione israeliana. Hamas potrebbe anche riorganizzare le sue forze e rafforzare gli avamposti isolati. La sua rete di tunnel non è continua, specie dopo che molte sue parti che sono state danneggiate e interrotte dagli attacchi d’Israele. Ecco perché negli ultimi giorni i terroristi hanno avuto difficoltà a spostarsi e portare rinforzi ai settori raggiunti dalle Forze di Difesa israeliane. Un cessate il fuoco consentirebbe ai terroristi spostarsi in superficie o di riaprire passaggi fra i tunnel e di spostare miliziani, missili anticarro e ordigni esplosivi. Come si visto nelle occasioni precedenti, per Hamas un cessate il fuoco è nel migliore dei casi una semplice “raccomandazione”, mentre le Forze di Difesa israeliane sarebbero obbligate a rispettarlo. E’ del tutto probabile che si ripeterebbero vicende come quella ricordata del 2014. All’epoca, quando i terroristi di Hamas uscirono dai tunnel e uccisero i soldati nelle vicinanze, ciò avvenne o perché non erano collegati con i loro comandi, o semplicemente perché i terroristi spesso e volentieri trasgrediscono ordini e violano impegni. Rischi che Israele non può permettersi. Ma la conseguenza più grave consiste nel mettere a repentaglio la possibilità di liberare gli ostaggi. Un cessate il fuoco di alcuni giorni consentirebbe a Hamas di spostarli, minando gli sforzi dell’intelligence israeliana e la possibilità di una loro liberazione mediante un’azione militare. Inoltre, il tempo permetterebbe a Hamas di impadronirsi degli ostaggi che sono nelle mani di altre fazioni palestinesi a Gaza, aumentando così il suo potere di ricatto. La conclusione è chiara: Israele ha solo da perdere da un cessate il fuoco, fatta eccezione per il fatto di guadagnare qualche punto di fronte all’opinione pubblica internazionale: punti che svaniscono molto rapidamente, come si è visto in passato. D’altro canto, un cessate il fuoco pregiudicherebbe la possibilità di liberare ostaggi, ritarderebbe la scoperta dei tunnel terroristici e la loro distruzione, consentirebbe ai terroristi di Hamas di migliorare le proprie posizioni e di spostare equipaggiamenti militari, nonché di prolungare la loro potenziale capacità di combattere. Dal punto di vista di Israele, è inaccettabile. Il massimo che Israele può consentire sono pause umanitarie di poche ore e solo nelle ore diurne, andando incontro così alle richieste dell’amministrazione Biden e della comunità internazionale di far arrivare aiuti umanitari alla popolazione civile. 
(Da: YnetNews, 10.11.23)

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