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L'Opinione Rassegna Stampa
16.10.2008 Ennesimo implausibile "scoop" antiamericano di RaiNews 24
mentre su denunce drammaticche e documentate si preferisce il silenzio

Testata: L'Opinione
Data: 16 ottobre 2008
Pagina: 0
Autore: Cristiano Bosco - Maurizio De Santis
Titolo: «L’atomica invisibile - I paesi islamici primi nell’esecuzione dei minorenni»
Da L'OPINIONE del 16 ottobre 2008, un articolo su un  dubbio "scoop" di RAINEWS 24

Negli scorsi giorni, un’inchiesta giornalistica eseguita dal canale digitale RaiNews24 ha destato non poco scalpore. Stando a quanto riportato da un servizio firmato da Maurizio Torrealta - ospitante anche l’immancabile intervento del “marine pentito” - gli Stati Uniti avrebbero lanciato una bomba nucleare sull’Iraq. Dopo Hiroshima e Nagasaki, svelata un’altra atomica americana, della potenza di 5 kilotoni, sganciata questa volta su Bassora nel 1991, nel corso della prima guerra nel Golfo. A dimostrarlo, una serie di rilevamenti sismici eseguiti sulla zona. Una controinchiesta realizzata dal periodico web “Giornalettismo” mette in dubbio la veridicità di quanto emerso dal servizio, con considerazioni sull’uso strategico degli armamenti nucleari (notoriamente più utili come deterrenti) e constatazioni sulle concrete difficoltà nel “nascondere” un’eventuale esplosione nucleare agli occhi del resto del mondo, specialmente in quel particolare teatro di guerra, data la presenza di forze internazionali e di osservatori e media provenienti da ogni dove. Inoltre, senza dover ricorrere alla consulenza dell’Aiea, la logica suggerisce che sia prima necessario misurare il livello di radiazioni presenti nella zona eventualmente colpita, più che basarsi su rapporti di sismologi. In ogni caso, più che le contraddizioni o le incongruenze del servizio, ad alimentare la diffidenza nei confronti della veridicità dell’inchiesta sono i precedenti “scoop” realizzati da RaiNews24. Nel novembre 2005, un loro servizio riportò che l’esercito americano avesse fatto uso di fosforo bianco - sostanza dagli effetti simili al napalm e proibita dalle convenzioni internazionali - come arma nella battaglia di Falluja. La notizia fu riportata da tutte le agenzie di stampa nazionali e internazionali e provocò indignazione diffusa tra commentatori e politici (“Fosforo bianco contro i civili – ecco come gli Usa hanno preso Falluja” attaccava Repubblica).

Anche in quel caso, tutto si basava sulla testimonianza di un ex marine pentito. Immediate le smentite di Pentagono, Ambasciata e altre fonti ufficiali americane, cui seguirono opinioni di esperti in materia militare che confutavano e condannavano il servizo - come nel caso dell’esperto John Pike sul LA Times, che definì il tutto come “propaganda antiamericana di basso livello”. In seguito, Jeff Englehart, marine intervistato da RaiNews24, dichiarò al Denver Post di non aver mai visto alcun civile bruciato dal fosforo bianco e che “alcune sue dichiarazioni furono poste fuori contesto dagli intervistatori”: le smentite, tuttavia, fanno meno rumore delle notizie, così che alcuni tuttora credano nella storia del fosforo bianco. Lo stesso vale per altri due “scoop” della rete digitale, ovvero l’uso di armi laser da parte dell’esercito americano in Iraq - qui la fonte era un violinista dell’orchestra di Baghdad - e, dal risalto ancora maggiore, l’intervista al famigerato “incappucciato” del carcere di Abu Ghraib. Come riportato dal periodico progressista americano Salon e, in Italia, da Christian Rocca sul Foglio, un particolare rendeva il servizio poco credibile: l’intervistato non era l’incappucciato di Abu Ghraib. Se da una parte è vero che tre indizi non facciano una prova, è innegabile che queste precedenti inchieste, poi smentite, contraddistinte dall’essere sempre e comunque critiche nei confronti degli Stati Uniti, facciano sorgere più di un dubbio. E portino a pensare che anche quest’ultimo scoop, sulla bomba atomica sganciata in Iraq, sia poco, se non per nulla, credibile.

Una seria denuncia dell'applicazione della pena di morte ai minorenni nei paesi islamici:

La Human Rights Watch, il 10 settembre scorso presenta una relazione dall’interminabile titolo: “The Last Holdouts: Ending the Juvenile Death Penalty in Iran, Saudi Arabia, Sudan, Pakistan, and Yemen”. In 20 paginette, neanche tanto fitte, si certifica che cinque paesi al mondo sarebbero, da soli, i responsabili di tutte le esecuzioni di minori dal 2005 ad oggi. Curioso. Pensi all’onnipresente Cina, alla Russia putiniana, senza negare un pensierino agli USA, cosa che fa tanto radical-chic. Invece no. Cerco la luna e spunta la mezzaluna. Parliamo di Iran, Arabia Saudita, Sudan, Pakistan e Yemen. Questi Stati islamici, laddove il diritto ha come fonte primaria il Corano, hanno giustiziato ben 32 minori per crimini commessi prima della loro maggiore età. Il primato è dell’Iran (26), seguito da Arabia Saudita (2), Sudan (2), Pakistan (1) e Yemen (1). La maggior parte degli Stati ha aderito alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Molti paesi islamici no. Questi hanno però stilato una carta similare nel titolo, quella dei diritti dell’uomo nell’islam (chi ne è fuori è un furfantino). Gli Stati arabi, volendo strafare, hanno addirittura editato una “Carta araba dei diritti dell’uomo”, (aspettiamo frementi quelle dei Rom, dei Sinti, degli Indios e, magari, dei Celti) come se un diritto fosse legato all’etnia. Ed i razzisti saremmo noi occidentali. La verità è che i precetti coranici, piuttosto distanti dai diritti essenziali dell’individuo, hanno suggerito quest’ipocrita artifizio. Ma dirlo è politicamente scorretto.

La maggior parte delle esecuzioni dei minori è stata operata in Iran. Qui i giudici possono condannare l’imputato alla pena di morte se quest’ultimo ha raggiunto “la maggiore età”, fissata dalla legislazione iraniana a 9 anni per le ragazze e 15 anni per i ragazzi. In Arabia Saudita, i giudici possono condannare una persona alla pena capitale verificando l’avvenuta pubertà o il quindicesimo compleanno (tanti auguri). In Sudan, la legge sull’infanzia del 2004 lascia prevedere la possibilità che un bambino possa essere condannato a morte in applicazione del codice penale del 1991, che definisce l’adulto come “una persona che ha maturato la pubertà e che ha quindici anni (...) (o) che ha raggiunto diciotto anni (...) semmai l’avvenuta pubertà non sia accertabile” (chi l’ha capita scriva in redazione). In Pakistan, l’ordinanza relativa al sistema giudiziario per i minori datata del 2000 abolisce la condanna a morte nel caso di crimini commessi da persone minori di 18 anni al momento dei fatti. Quest’ordinanza deve, tuttavia, ancora essere applicata su tutto il territorio. E che territorio! Lo stesso dove il 2 settembre sono state seppellite vive cinque donne (2 madri e tre figlie, perché rifiutavano un matrimonio combinato). Secondo la Commissione indipendente dai diritti dell’uomo del Pakistan 636 omicidi “d’onore” sono stati commessi nel solo 2007. Considerando quanto capitato in Italia, Canada, Belgio e Francia presso le locali comunità pakistane, considero i dati altamente attendibili (e forse sottodimensionati). Nello Yemen, infine (e per fortuna), il codice penale prevederebbe una pena massima di 10 anni per gli omicidi commessi da minori di 18 anni. Ma in un paese in cui soltanto 22 per - cento delle nascite sono registrate e dove il ricorso ad un esperto per determinare l’età dell’imputato è quasi impossibile per i minori provare l’età che avevano al momento del crimine. Diamo ragione a Luigi Einaudi, “non esiste giustizia laddove non c’è libertà”.

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