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L'Opinione Rassegna Stampa
25.09.2008 Così la Gheddafi truffa l'Italia
intervista a Leone Massa, presidente dell' Associazione italiana per i rapporti italo libici

Testata: L'Opinione
Data: 25 settembre 2008
Pagina: 0
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Quei crediti dispersi in Libia»
Da L'OPINIONE del 25 settembre 2008

E’ possibile che gli italiani debbano continuare a nutrire un senso di colpa e una soggezione psicologica nei confronti della Libia solo perché in un maledettissimo periodo della loro storia patria scelsero quel posto per il loro colonialismo d’accatto? Un colonialismo poi portato a imperialismo da quel cancro che è stato il fascismo? Ed è possibile che per via di questi due malintesi sentimenti di inferiorità psicologica, degni di essere curati da un’equipe di grandi strizzacervelli, nell’anno del signore 2008 tutti noi italiani si debba soggiacere ai capricci del rais libico Muhammar Gheddafi? La cartina di tornasole di questa relazione pericolosa tra italiani e libici rimane la vicenda delle 120 aziende italiane letteralmente bidonate da partner libici dall’inizio degli anni ’70 in poi. Per intenderci quelle rappresentate dal consorzio Airil (Associazione italiana per i rapporti italo libici), presieduto dall’eroico Leone Massa, un industriale truffato a propria volta dai libici (cioè non pagato) e da allora sempre in prima linea per tentare di convincere i governi italiani in carica pro tempore a mettere sul piatto della bilancia, ogni volta che Gheddafi ci chiedeva i danni di guerra, anche queste poco edificanti vicende che hanno riguardato, e tuttora riguardano, innocenti cittadini italiani. Non colonialisti, ma semplici imprenditori e lavoratori che hanno avuto il torto di fidarsi della Libia come paese e dei partner commerciali libici come controparti.

Gente che reclama da anni oltre 650 milioni di euro di risarcimenti. Soldi in molti casi persino riconosciuti da tribunali libici. Ed è tutto dire. Ma i nostri governi, e qui poco conta il colore, hanno sempre fatto finta di non sentie. Per non turbare le relazioni dell’Eni con la Libia. E l’Eni, di fatto, è la vera Farnesina della politica estera italiana. Che poi il ministro sia Frattini, D’Alema, Fini o chiunque altro, ai tempi anche De Michelis, il prodotto non cambia: con Gheddafi di quei “rompipalle” dell’Airil nessuno muove l’argomento. Leone Massa, che ha più di 70 anni, ha visto passare la prima repubblica e adesso anche la seconda ma l’ipocrisia e la falsità della diplomazia italiana in materia sono rimaste una costante. Al massimo è lo Stato italiano che si è offerto, sempre però poi rimangiandosi la parola, di pagare per conto di Gheddafi i debiti contratti dalle aziende libiche con quelle italiane. Da ultimo si è venuto a sapere che nella seduta del 17 settembre scorso al Senato si è parlato di una base di contenzioso avanzata alla Libia per la misera cifra di 450 milioni di euro. Contenzioso che peraltro Gheddafi non accetta di riconoscere, come ha spiegato in aula lo stesso imbarazzatissimo Frattini.

Spiega Leone Massa a “L’Opinione” che “all’inizio le aziende bidonate saranno state centinaia ma, a seguito del protocollo d’intesa tra Dini e Muntasser del 1998, secondo il quale le aziende creditrici avrebbero dovuto inviare la domanda con relativa documentazione al nostro Ministero degli Esteri, tale opportunità non fu adeguatamente diffusa per cui il Mae ritenne di informarne solo le maggiori associazioni di categoria. Escludendo tutte le aziende che non ne facevano parte. Nel 1999 l’elenco era di 57 aziende. Nel 2000 quando riuscii, grazie all’allora presidente di confindustria, Antonio D’Amato ed il comune amico dottor Gaetano Cola, attuale presidente della camera di commercio di Napoli a ad invitare le aziende creditrici della Libia ad una riunione presso confindustria il numero salì ad oltre 100. In tale occasione le aziende mi elessero Presidente di un comitato per avere rapporti con le istituzioni italiane e libiche al fine di ottenere il pagamento dei crediti. Per l’espletamento del mio mandato chiesi al Mae gli indirizzi di ciascuna azienda creditrice, in elenco presso di loro, i relativi importi del credito ed i numeri di telefono per contattarle. Mi fu rifiutato per ragioni di privacy! Posso concludere che erano alcune centinaia, delle quali molte ormai fallite, altre in via di fallimento e che al momento attuale sono 120”. Difficile anche quantificare il vero ammontare dei crediti.

A chi glielo chiede Massa risponde così: “Premetto che notata l’impossibilità di attivarsi quale comitato di confindustria per contrasti di interesse esistenti nella stessa, dopo che in una riunione del 15 novembre 2000 alcuni imprenditori mi invitarono a costituire un’associazione indipendente che salvaguardasse i diritti delle piccole e medie aziende. Mi dimisi da presidente del comitato ed il 10 gennaio 2000 costituimmo l’Airil (Associazione Italiana per i rapporti italo-libici) condizionando l’ingresso a quelle aziende che avessero prodotto la documentazione creditoria dalla quale risultasse il reale ammontare del credito. Furono accettate le domande di partecipazione solo per quelle aziende con le carte in regola. Da allora ad oggi solo la nostra associazione è stata capace di portare costantemente all’attenzione dei due governi il problema dei crediti, il rispetto del diritto e dei dettami della nostra Carta Costituzionale che all’articolo 35 obbliga lo Stato a tutelare il lavoro italiano nel mondo. Senza la nostra azione l’allora Ministro degli Esteri Renato Ruggiero non avrebbe dichiarato, all’uscita di un colloquio col Colonnello Gheddafi, che la questione crediti sarebbe stata prioritaria a qualsiasi altro accordo bilaterale.

Così pure non avreste trovato date precise per la quantificazione dei crediti né la data per il pagamento degli stessi da parte della Libia entro il 31 marzo 2003, nell’accordo del 28 ottobre 2002. Tale accordo fu segretato inspiegabilmente e disatteso dalla parte libica. Non possiamo giudicare di chi fosse la colpa in quanto, successivamente, Gheddafi dichiarò che lo stesso non fu rispettato dalla parte del Governo Italiano”. Perché i politici italiani le fanno promesse che poi non mantengono? “Perché l’Italia è così. La nostra associazione è apartitica ed io, quale Presidente, non ho avuto peli sulla lingua quando ho parlato sia con le massime autorità libiche sia con quelle italiane. Certamente ho acquistato la stima delle persone serie che ho contattato, delle altre non so che farmene. Il certo è che dal 2001 ad oggi nei due rami del parlamento vi sono state centinaia di interrogazioni, interpellanze ordini del giorno votati all’unanimità ed attualmente all’esame della VI Commissione Finanze e Tesoro, come già avvenuto nella precedente legislatura, disegni di legge bipartisan per una garanzia sovrana dello Stato da concedere dopo l’esame della documentazione creditoria di ciascuna azienda da parte di una commissione paritetica formata da rappresentanti del Ministero dell’Economia, dell’Avvocatura e Ragioneria generale dello Stato da una parte, quelli delle tre maggiori associazioni rappresentative dei creditori dall’altra e presieduta da un alto Magistrato di Cassazione a riposo.

La garanzia sovrana ha una durata di cinque anni per permettere la monetizzazione immediata alle aziende e dar tempo alla nostra diplomazia di far rispettare il diritto dalla controparte libica”. Rimane da chiedersi perché tanto ostracismo dei governi italiani nei confronti di queste aziende rovinate da Gheddafi. Spiega ancora Massa:“Sono sicuro che in cuor suo già conosce la risposta, ma io le rispondo ugualmente in maniera esplicita. In Italia non esiste solo una casta ma varie caste alle quali aggiungerei lobbies ed altre aggregazioni che condizionano, per i propri interessi, non solo la classe politica ma l’azione del governo. Si è sempre detto che le piccole e medie aziende, partendo da quelle artigiane, sono l’asse portante delle nostra economia, ma sono state al contrario penalizzate in quanto si è favorito sempre i grandi gruppi industriali e finanziari. Un esempio palese, nei rapporti internazionali, sono i prioritari interessi dell’Eni a quelli di altre aziende. Quest’ente, che ha avuto, nel 2007, un’utile di 6,6 miliardi di euro, ha condizionato e continua a condizionare anche gli investimenti governativi per le fonti alternative di energia. Non è fantapolitica o fantaeconomia se prevedessi un accordo dopo il 2015 tra l’Italia e la Libia per un elettrodotto sottomarino che fornisse energia elettrica libica all’Italia. Non mi domandi perché”.

E l’accordo di Frattini e Berlusconi con Gheddafi in cosa sarebbe profondamente sbagliato? “Sino ad oggi non conosciamo gli articoli che compongono il trattato firmato il 29 agosto scorso – dice Massa - ma dobbiamo riferirci alle dichiarazioni apparse sui giornali, ai commenti di personaggi che come me non conoscono il contenuto e fare illazioni. Io conosco solo l’art.13 che riguarda la questione crediti che è demandata a dei comitati misti italo-libici. Tale decisione sarebbe in linea con i disegni di legge all’esame del Senato se fossero riservate esclusivamente alle due diplomazie. Ho già dichiarato a chi di competenza di non volerne più far parte, lasciando la responsabilità esclusiva al nostro Ministero Esteri”. Ergo? “Se l’azione diplomatica si concludesse in maniera sfavorevole rispetto ai diritti delle imprese creditrici della Libia vi sarebbe la responsabilità oggettiva del Ministero Esteri e quella personale di chi ha concluso l’accordo. Il mio scetticismo sul trattato riguarda poi anche altre questioni, quali, ad esempio lo sbarco di clandestini a Lampedusa anche dopo il 29 agosto”.

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