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L'Opinione Rassegna Stampa
09.07.2008 “Samir Kuntar è prigioniero non mio, ma dello Stato di Israele”
le parole di Smadar Haran, esempio di dignità

Testata: L'Opinione
Data: 09 luglio 2008
Pagina: 1
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Smadar Haran, esempio di dignità»
Da L' OPINIONE del 9 luglio 2008:

Smadar Haran. Ricordatevi il nome di questa donna quando il governo israeliano metterà in atto la propria decisione, da molti contestata, di liberare alcuni terroristi palestinesi ed Hezbollah, fra cui il feroce Samir Kuntar in cambio delle spoglie mortali (più facilmente che dei due ostaggi vivi) di Ehud Goldwasser e di Eldad Regev, i due soldati rapiti dai terroristi di Nasrallah il 7 luglio di due anni fa. La signora Haran non ha rivolto appelli ma ha semplicemente mandato una lettera al premier israeliano Ehud Olmert, che nella sostanza dice che “Samir Kuntar è prigioniero non mio, ma dello Stato di Israele”. E che è giusto che venga trattato come impone la ragione di questo Stato. “Ora la sua sorte deve essere decisa in funzione delle necessità di sicurezza di Israele – continua la commovente missiva - e del rispetto dei valori morali, secondo gli interessi del popolo d’Israele, oggi e in futuro. Vi chiedo di non tener conto del mio dolore personale nel momento in cui lo dovrete deliberare, nonostante il suo significato e le sue implicazioni”. In una conferenza stampa a Tel Aviv, la Haran ha ricordato i dolori e le sofferenze di tutti questi anni, da quel lontano 22 aprile 1979 quando Kuntar e un gruppo di quattro complici sbarcarono verso mezzanotte sulla spiaggia di Nahariya.

I quattro si imbatterono in un agente di polizia israeliano, Eliyahu Shahar, che fu ammazzato a sangue freddo. Poi entrarono in un edificio al numero 61 di via Jabotinski e fecero irruzione nell’appartamento della famiglia Haran prima che fosse dato l’allarme. I terroristi presero in ostaggio Danny Haran, 28 anni, insieme alla figlia Einat di quattro anni. Uccidendoli quasi subito. La madre, Smadar Haran, fece in tempo a nascondersi in un soppalco sopra la stanza da letto insieme alla figlia Yael, di due anni, e a una vicina. “Non dimenticherò mai - ha in seguito raccontato Smadar - l’allegria e l’odio nelle voci degli uomini di Kuntar mentre si aggiravano per la casa dandoci la caccia, sparando coi mitra e gettando granate, sapevo che se avessero sentito Yael piangere avrebbero gettato una granata nel nostro nascondiglio uccidendoci tutte. Così tenni la mano sulla sua bocca per non farla gridare. Acquattata là dentro, mi tornavano alla mente i racconti di mia madre su quando si nascondeva dai nazisti durante la Shoà”. La piccola però morì soffocata dall’amore della madre che le aveva premuto la mano sulla bocca con troppa forza. Questa stessa madre che oggi non si oppone alle drammatiche decisioni che lo Stato di Israele ritiene di dovere prendere per la propria sicurezza. Un esempio per tutti noi che abitiamo il cosiddetto mondo civile.

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