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L'Opinione Rassegna Stampa
11.04.2008 I rischi e le vittime del multiculturalismo
ne trattano un film svedese e un libro di Alain Finkielkraut

Testata: L'Opinione
Data: 11 aprile 2008
Pagina: 0
Autore: Dimitri Buffa - Stefano Magni
Titolo: «Motore... azione - Che cos’è la Francia secondo Finkielkraut»
Da L' OPINIONE dell'11 aprile 2008 un articolo di Dimitri Buffa su un film svedese:

Tre persone in fuga dalla capitale della Svezia. Tre vittime del multiculturalismo dei paesi del Nord. Tre stranieri in patria costretti a scappare altrove perché, nelle tre vicende parallele, Stoccolma è tollerante solo in apparenza. E sempre con le persone sbagliate. Costretti a vivere nella paura, una giornalista di successo, una giovane immigrata e il proprietario di un locale notturno scelgono quindi di ribellarsi allo “status quo” ma il costo sarà l’esilio. E a tale proposito, la scena finale del film è davvero suggestiva: tre aerei in partenza da Stoccolma con tre destinazioni diverse. Questo film di Anders Nilsson, ispirato a eventi realmente accaduti, uscirà in Italia il prossimo 30 aprile e sarà un cazzotto nello stomaco per chi è abituato alle tematiche cinematografiche del politically correct. Ciò nonostante la pellicola ha vinto anche il premio di Amnesty International al 57° Festival di Berlino. La prima storia è ambientata nella classe medio alta svedese: una giornalista televisiva con due figli e una carriera al top, viene picchiata e umiliata regolarmente dal marito, collega sul lavoro, sindacalista di categoria, e geloso del suo successo. Quando alla fine troverà la forza di denunciare il tutto saranno proprio i colleghi d’ufficio quelli a comportarsi in maniera più omertosa. Fino a renderle impossibile lavorare e continuare a vivere a Stoccolma. Ancora più drammatica la storia di morte della giovane Leyla cresciuta a Stoccolma con la sorella Nina in una famiglia immigrata da un paese islamico. La vicenda, che ha tanti punti in comune con quella della giovane pakistana Hina Salem, uccisa in Italia dal padre e dagli zii, si snoda in un crescendo drammatico: la ragazza ha avuto un fidanzato occidentale e ha disonorato la famiglia.

I familiari allargati del clan, alcuni dei quali fatti venire apposta dal Medio Oriente, tenderanno un agguato alla povera giovane per ucciderla con l’aiuto di sua madre. La sorella minore alla fine troverà il coraggio di denunciare la famiglia aguzzina ma dovrà andarsene anche lei da Stoccolma per motivi di sicurezza. Infine il racconto sulla parabola esistenziale di Aram che gestisce un locale notturno alla moda. Una sera, uno dei suoi addetti alla sicurezza, Peter, viene aggredito a pistolettate da una gang di malviventi e ricoverato in ospedale. Aram è un gay e scopre che anche la vittima della sparatoria ha lo stesso orientamento sessuale. Tra i due nascerà un legame profondo, ma quando Peter dovrà testimoniare contro i propri aggressori, verrà costretto a scappare per paura di rappresaglie. Tre storie che si intersecano in un’unica grande tematica: in Svezia oggi per essere cittadini onesti e che collaborano con la legge contro le prepotenze etniche degli islamici o contro i soprusi della criminalità organizzata, ma anche contro le violenze domestiche di un marito, si è costretti a scappare dopo avere fatto gli eroi. Esattamente come accade in Sicilia con la mafia.

E uno di Stefano Magni sull'ultimo libro di Alain Finkielkraut

“Che cos’è la Francia?” si chiede il filosofo francese Alain Finkielkraut nel libro pubblicato questa settimana da Spirali. Si tratta di una raccolta di interviste effettuate dall’autore nel corso della sua trasmissione radiofonica “Républiques” su France Culture. L’identità della Francia contemporanea è stata messa in discussione soprattutto con la globalizzazione. “Nel momento della mondializzazione” - scrive Finkielkraut - “ossia di un immenso capovolgimento tecnico, economico e demografico, in quale comunità occorre che gli uomini vivano? In una patria carnale? In una Francia sbarazzata della francesità? In uno spazio polimorfo senza identità assegnabile? Per accogliere degnamente l’Altro, conviene svuotare o perpetuare il sé di casa propria?”. Inutile dire che la mente si sposta subito su una questione fondamentale: come è possibile integrare le comunità islamiche, che non solo stanno rafforzando la loro identità culturale, ma chiedono di rispettare le loro leggi. Che in molti casi sono in contrasto con le leggi comunemente accettate nei Paesi occidentali. In Francia il problema dell’Islam si è posto ben prima che in Italia e dagli anni ‘90 è in corso un dibattito dai toni accesi sull’accettazione del velo (oltre che degli altri simboli religiosi visibili) nelle scuole pubbliche.

Già nel 1994, François Bayrou, allora ministro dell’Educazione Nazionale, inviava una circolare ai capi di istituto e agli ispettori accademici, in cui venivano tracciati i confini della tolleranza: “Il progetto nazionale e il progetto repubblicano si sono mescolati intorno a una certa idea della cittadinanza. Questa idea francese della nazione e della Repubblica è per natura rispettosa di tutte le convinzioni, in particolare delle convinzioni religiose, ma esclude l’esplosione della nazione in comunità separate, indifferenti le une alle altre, che considerano solo le proprie regole e le proprie leggi, impegnate in una semplice coesistenza. La nazione non è soltanto un insieme di cittadini detentori di diritti individuali, è una comunità di destino”. Il multiculturalismo, come modello alternativo, è possibile? “L’Europa non è una società multiculturale. La nazione che si avvicina di più a questo modello è l’Olanda, almeno prima dell’assassinio di Theo Van Gogh. Io credo che in Europa vi sia molto spazio per la diversità, per un pluralismo di tradizioni e di regole religiose, ma la legge deve restare comune. L’Europa non può tollerare che vengano messi in discussione i suoi principi fondamentali.

L’Islamismo pone oggi il problema più grave. Le rivendicazioni degli islamisti, infatti, non si limitano alla richiesta di una legislazione separata per la loro comunità, ma chiedono che nelle scuole non vengano insegnati degli autori che sono considerati blasfemi. Queste richieste sono irricevibili. Al giorno d’oggi di fronte a questa ‘nuova immigrazione’, che non chiede di integrarsi ma vuole imporre le sue leggi, l’Europa, a maggior ragione, non può scegliere il modello multiculturalista”. Finkielkraut ci spiega che la soluzione non si trova nell’imposizione di una moralità laica, ma nella difesa dei principi fondamentali, costitutivi della Comunità Europea: “Le leggi dell’ospitalità sono sempre state intese in una prospettiva di reciprocità. Chi è ospite deve accettare le regole fondamentali di chi lo sta ospitando, mai si è vista un’ospitalità unilaterale”. Ma nel caso della pubblicazione delle vignette di Maometto, in tutta Europa è sorto un dibattito sulla libertà di espressione e ci si è posti il problema se sia più o meno lecito un certo grado di censura nel nome del rispetto di altre culture. “Non è solo una questione di difesa della libertà di espressione” - ci spiega Finkielkraut - “Qui si tratta di decidere se l’Europa è ancora europea o deve prendere gli ordini dagli islamisti, se non da Bin Laden, dagli islamisti più ‘presentabili’.

Se non è lo Stato a difendere la libertà di pubblicare delle vignette, saranno i religiosi che emettono Fatwe ad esercitare direttamente il loro potere sul territorio e non più i ministri e i giudici europei. Per di più nella consapevolezza che vignette di questo tipo pullulano nel mondo arabo e islamico. Sarebbe totalmente falso descrivere la nostra come una società dissacrante, contrapposta ad un mondo islamico più religioso e rispettoso della tradizione, perché non è così: persino a Teheran i giornali satirici sono pieni di vignette dissacranti nei confronti degli ebrei, dei cristiani e degli stessi musulmani”. Quanto all’argomento principe dell’integrazione, cioè i simboli religiosi nelle scuole, come porsi di fronte all’ipotesi di una ragazza che porta volontariamente il velo (senza esservi costretta) in una scuola? “In Francia, come in tutti i Paesi europei, le ragazze maggiorenni possono portare il velo all’università. Nella scuola pubblica, in Francia, per i minorenni è proibito portare qualsiasi simbolo religioso evidente. E’ proibito il velo per le musulmane, così come è proibita la kippah per gli ebrei minorenni, o una croce per i cristiani. La scuola è libera da qualsiasi identità religiosa. Non vedo perché si debba fare un’eccezione a favore dell’Islam. Quanto alle ragazzine che vogliono portare il velo, non caschiamo nel quadretto idilliaco che ci vogliono far vedere! La pressione esercitata dai gruppi islamisti sulle minorenni, perché queste portino il velo, è molto forte e violenta.

E’ un modo per dir loro che devono restare nell’ambito della loro comunità, sottomesse ai maschi, lontane dalla ‘promiscuità’ che prevale nella scuola francese”. Questo nella scuola pubblica. Ma nelle scuole private, nel caso l’insegnamento sia improntato su un’ideologia dell’odio contro la società libera e laica, lo Stato è legittimato ad intervenire o deve garantire una piena libertà di insegnamento? “Lo Stato dovrebbe intervenire per legittima difesa. Questo è uno dei grandi problemi della nuova Francia multirazziale: nelle scuole si assiste alla crescita di quel fenomeno che possiamo chiamare ‘multirazzismo’. Non solo c’è la xenofobia francese nei confronti degli immigrati, ma anche una forte francofobia da parte degli immigrati. La lotta contro la discriminazione e l’intolleranza è un diritto di tutti. Si devono difendere i diritti e la dignità dei nuovi arrivati. E allo stesso tempo combattere contro la francofobia crescente. Soprattutto quando la francofobia viene insegnata nelle classi. La scuola francese non deve trasformarsi in uno strumento di lotta contro la Francia”.


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