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L'Opinione Rassegna Stampa
14.03.2008 Terrorismo anticristiano in Iraq, elezioni farsa in Iran
notizie dal Medio Oriente

Testata: L'Opinione
Data: 14 marzo 2008
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni - Giorgio Bastiani
Titolo: «Elezioni in Iran i cittadini non hanno scelta - Monsignor Rahho vittima della persecuzione religiosa»
Da L'OPINIONE del 14 marzo 2008, un articolo di Stefano Magni sulle elezioni in Iran:

Oggi i cittadini dell’Iran si recheranno alle urne per eleggere il nuovo Majlis, l’organo del potere legislativo. Si troveranno di fronte a una scelta ardua. Dovranno scegliere tra gli integralisti islamici e... gli integralisti islamici. Perché i candidati più moderati o riformatori sono stati tutti bocciati da tempo dal Consiglio dei Guardiani, un organo non elettivo che veglia sulla fedeltà ai principi della rivoluzione di Khomeini. Secondo i dissidenti iraniani, come Amir Taheri, nella Repubblica Islamica non c’è mai stata una vera alternativa, perché i “pragmatici” (come l’ex presidente Rafsanjani) e gli stessi “riformatori” (come Mohammad Khatami, il teorico della democrazia islamica) sono anch’essi selezionati dal vertice del regime e dunque fedeli ai principi della rivoluzione.

Non a caso Mohammad Khatami, il 12 marzo, invitava gli elettori a recarsi alle urne, nonostante l’assenza dei candidati della sua fazione, con un discorso degno del più estremista Mahmoud Ahmadinejad: “I nostri nemici sperano in seggi elettorali deserti per poi affermare che la Repubblica Islamica ha perso il sostegno del popolo. Una vostra presenza massiccia alle elezioni ci consentirà di avere un parlamento con rappresentanti fedeli ad Allah e ai valori della rivoluzione. Oggi siamo sotto minaccia e solo un voto massiccio potrà salvarci dagli attacchi che mirano alla distruzione del sistema”.

Si scoprono le carte, dunque: quella presunta alternanza tra riformatori e integralisti era uno specchietto per le allodole, destinato ai soli occidentali. Con l’elezione/cooptazione di Ahmadinejad, nel 2005, il regime ha posto fine alla sua linea “pragmatica”, quando i lavori per il programma nucleare erano già in fase avanzata e dunque la diplomazia non era più necessaria. Con queste elezioni, evidentemente, il regime di Teheran ha deciso di proseguire su questa rotta, nonostante le sanzioni e una sempre più grave crisi economica. Di fronte a questa realtà, l’amministrazione statunitense è più che scettica. “Tutto quello che possiamo dire è che abbiamo ben poche speranze che il popolo possa esprimere la sua volontà” - dichiarava due giorni fa la portavoce della Casa Bianca Dana Perino - “Il popolo iraniano non vuole essere isolato, ma sfortunatamente l’attuale regime, con le sue azioni, lo sta isolando”.

E uno di  Giorgio Bastiani sull'uccisione Monsignor Rahho da parte dei terroristi in  Iraq:


“Fino alla mattina di oggi eravamo fiduciosi di ritrovare Monsignor Rahho in vita e di ricondurlo alla sua comunità di fedeli” - ha commentato ieri il Nunzio apostolico iracheno Francis Assisi Chullikatt. Invece il corpo senza vita dell’arcivescovo caldeo di Mosul è stato trovato ieri, in seguito a una segnalazione dei sequestratori. Lo avevano rapito il 29 febbraio scorso, dopo aver ucciso le sue due guardie del corpo e l’autista. Secondo fonti locali dell’agenzia AsiaNews, i rapitori chiedevano milioni di dollari, armi e la liberazione dei prigionieri arabi detenuti nelle carceri curde. Papa Benedetto XVI aveva lanciato un appello per la liberazione del vescovo, così come numerosi esponenti del clero sunnita e sciita, in Iraq e in altri paesi arabi, avevano definito il rapimento “contrario all’Islam”. Non c’è stato nulla da fare. Ancora incerte le cause del decesso. Il vescovo era molto malato, alcuni anni fa era sopravvissuto a un infarto e aveva bisogno di cure quotidiane. Ma la sostanza non cambia: Monsignor Faraj Rahho è una vittima della violenza e dell’intolleranza religiosa. Il tragico evento è “Una gran Croce per la nostra Chiesa prima della Pasqua”, come ha dichiarato ad AsiaNews il vescovo di Arbil, Monsignor Rabban al Qas. La città di Mosul, nonostante il “surge” americano e dell’esercito regolare, è tuttora preda delle milizie estremiste islamiche e dei banditi. I cristiani subiscono in pieno la violenza islamista, in molti casi sono costretti alla conversione o al pagamento della jizya, la tradizionale tassa di sottomissione.

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