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L'Opinione Rassegna Stampa
17.07.2007 E' la Siria a destabilizzare il Libano
intervista all'analista militare Gianandrea Gaiani

Testata: L'Opinione
Data: 17 luglio 2007
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «“Bombe per intimidire Unifil”»
Da L'OPINIONE del 17 luglio 2007:

Un altro attentato contro Unifil: ieri mattina una bomba piazzata sul ciglio di una strada nei pressi di Tiro è esplosa a ridosso di un mezzo che trasportava caschi blu appartenenti al contingente della Tanzania. E’ il primo attentato condotto nell’area italiana, anche se non ha coinvolto direttamente militari del nostro contingente. L’ordigno era di bassa potenza e non ha provocato morti, né feriti. Ma resta la preoccupazione: è il secondo attentato contro i caschi blu in meno di un mese. Come mai aumenta l’ostilità contro il contingente internazionale? Lo abbiamo chiesto a Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. Il quale ci spiega che: “Le chiavi di lettura sono due: in Libano c’è una destabilizzazione crescente, per le milizie legate ad Al Qaeda che combattono a Tripoli e per il confronto interno tra le fazioni filo-siriane e il governo Siniora.

Una seconda chiave di lettura si basa su un elemento che si tende troppo spesso a dimenticare: il Sud del Libano è un’area sotto il controllo diretto e capillare di due forze alleate fra loro e cioè gli Hezbollah e i servizi di intelligence siriani. E’ impossibile ritenere che nel Sud del Libano, dove ogni pietra è loro nota, nel giro di tre settimane siano potuti avvenire tre episodi (i razzi contro Israele, la bomba contro il contingente spagnolo e la bomba di ieri) senza che i ‘padroni’ della zona se ne siano accorti”. La Siria, la settimana scorsa aveva avvertito i suoi cittadini di abbandonare il Libano entro il 15 luglio. Per Gianandrea Gaiani non è una coincidenza: “Se Damasco prevede che il confronto interno tra le fazioni libanesi possa sfociare in un conflitto civile, è una fonte autorevole: perché ne è il principale animatore. Il fatto che abbia indicato un termine il 15 luglio e nella mattina del 16 sia stato lanciato un forte avvertimento a Unifil (che potrebbe segnare l’inizio di altre operazioni) la dice lunga sulla politica della Siria.

E anche, a mio avviso, sulla miopia della politica estera italiana che, invece di intimare a Damasco di chiamarsi fuori dagli affari libanesi, ha sempre cercato di attribuire un ruolo alla Siria. Un ruolo che, per altro, il regime siriano ha già e che pretende di continuare ad avere, anche con l’uso della violenza. La Siria, assieme all’Iran, è il grande agente destabilizzatore del Libano, sponsorizzando sia Hezbollah che le milizie legate ad Al Qaeda che operano nel Nord”. Ma a quasi un anno dall’inizio della missione Unifil, che risultati vediamo? “Il successo di Unifil è sotto gli occhi di tutti: da un anno non si combatte più sulla frontiera israelo-libanese” - ci spiega Gaiani - “Ma i motivi per cui non si combatte non dipendono necessariamente dalla presenza dei 12. 000 caschi blu, ma semplicemente dal fatto che tutti gli attori dell’area volevano la pace. La missione Unifil ha consentito a Hezbollah di riorganizzarsi: secondo fonti dell’intelligence israeliana, gli arsenali che si erano svuotati nel 2006 ora sono di nuovo pieni.

Nonostante la massiccia presenza di caschi blu, nessuno ha disarmato le milizie irregolari, né quelle palestinesi, né gli Hezbollah. Nel momento in cui qualcuno (Hezbollah per primi) dovesse decidere che la pace non rientra più nei suoi interessi, la guerra può scoppiare di nuovo. Da un punto di vista giuridico, Unifil non si muove in un paese privo di governo: qualunque attività di disarmo dovrebbe essere effettuata dalle forze libanesi che possono chiedere l’aiuto di Unifil, ma possono anche non chiederlo. Finora i Libanesi non hanno disarmato alcuna milizia (salvo lo smantellamento di alcuni depositi di vecchie armi) e se l’esercito libanese non chiede il sostegno di Unifil, i caschi blu non possono effettuare rastrellamenti, controllare automobili o organizzare posti di blocco. Le regole di ingaggio sono quelle tipiche di una missione Onu: i caschi blu possono solo difendersi e perquisire i veicoli che entrano nelle loro basi. E si può azzardare un’ipotesi: che questi attentati servano proprio a intimidire i contingenti internazionali e indurli a chiudersi nelle loro basi. Se questo dovesse avvenire, sarebbe più facile fare affluire armi nel Libano del Sud e preparare la guerra contro Israele. Se possiamo sintetizzare in due parole: Unifil ha troppe truppe rispetto alla sua possibilità di impiegarle in modo significativo”.

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