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L'Opinione Rassegna Stampa
12.07.2007 Un'iniziativa contro l'antisemitismo accademico
l'associazione Eurolab Laboratorio d’Europa promuove cooperazione con le università e i centri di ricerca israeliani

Testata: L'Opinione
Data: 12 luglio 2007
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Intervista a Andrea Bellantone / Antisemitismo accademico»
Da L'OPINIONE del 12 luglio 2007:

E’ passato un anno esatto dallo scoppio della guerra tra Israele e Hezbollah. Anche se le operazioni militari sono finite, a quanto pare c’è chi vuole proseguire la guerra con le armi della cultura, come le associazioni dei professori britannici (Ucu, Aut e Nafthe) che hanno aderito all’appello per il boicottaggio delle università israeliane. A spezzare questo assedio sul fronte culturale, nel Regno Unito sono soprattutto i giornalisti britannici rappresentati dal sindacato National Union of Journalist, che ieri hanno ribadito la loro intenzione di continuare una proficua collaborazione con i sindacati dei giornalisti israeliani. Ma anche in Italia qualcosa si muove. Eurolab Laboratorio d’Europa, un’associazione nata a Messina e formata da ricercatori, studenti e professionisti, ha lanciato una campagna per la cooperazione con le università e i centri di ricerca israeliani. All’appello hanno aderito, come primi firmatari, Fiamma Nierenstein, Girolamo Cotroneo, Anita Friedman, Marco Taradash, Carlo Panella, Anna Bono, Giorgio Israel, Gaetano Quagliariello, Edoardo Tabasso, Bruna Ingrao e Fernando Mezzetti.

Ma si tratta di una lista di firme provvisoria e destinata a crescere. Ne abbiamo parlato con il presidente di Eurolab, il ricercatore Andrea Bellantone. Il quale ci spiega, prima di tutto quali sono le finalità dell’associazione: “E’ un luogo di dibattito sul nuovo europeismo che si sta diffondendo in altre sedi italiane, europee ed extraeuropee. Normalmente per ‘integrazione europea’ negli ultimi anni si intende erroneamente un disegno politico alternativo agli Stati Uniti e come minimo scettico nei confronti di Israele. Noi intendiamo proporre un’idea opposta: amicizia con gli Stati Uniti, attenzione per quella realtà mediorientale (ma europea a tutti gli effetti) che è Israele e attenzione ai Paesi della Nuova Europa. E’ in questa ottica che lanciamo un appello per la cooperazione con gli istituti israeliani”.

A cosa mira la vostra iniziativa?
Vogliamo rilanciare l’amicizia con la società israeliana per i valori che rappresenta. In questi mesi, alcune frange della classe intellettuale britannica si sono distinte per la promozione di appelli per il boicottaggio di Israele. Noi abbiamo sentito l’esigenza morale di far vedere un’altra realtà: ci sono altri settori del mondo intellettuale italiano che, non solo sono contrari al boicottaggio di Israele, ma sono vicini alla società israeliana. E’ nata dunque questa idea di far partire da un gruppo di giovani universitari italiani una raccolta di firme per promuovere la cooperazione con la comunità scientifica di Israele. E’ ridicolo che in l’Italia, un Paese che si affaccia sul Mediterraneo, lo stato delle relazioni scientifiche e di amicizia universitaria con Israele sia così arretrato.

A chi è rivolto questo appello?
A tre categorie di persone. In primo luogo agli studenti universitari: anno dopo anno, gli studenti ingrossano le fila di manifestazioni contro Israele. Secondo: alla maggioranza silenziosa dei professori universitari che non condividono gli appelli al boicottaggio. Terzo: ai ricercatori che vedono nelle università e nei centri di ricerca israeliani un modello di ricerca scientifica e uno stimolo al progresso del sistema universitario italiano attuale.

Pensate di trovare terreno fertile per questa iniziativa?
Il fatto che sia in rete il nostro appello è perché avvertiamo un pericolo concreto. Non lo sta correndo tanto la nostra società, quanto il nostro ambiente culturale. Lo abbiamo sperimentato anche noi. Prima pensavamo che fosse solo un eccesso di allarmismo, ma non è così: c’è una diffusa inimicizia nei confronti di Israele che non si limita alla critica del governo israeliano, ma va oltre e diventa un vero e proprio antisemitismo.

Avete avuto difficoltà nel proporre l’iniziativa?
Finora nessuna minaccia (fortunatamente), ma abbiamo notato tanta antipatia nei nostri confronti. C’è chi ci dice direttamente che non vuole firmare, ma anche tanti altri che rispondono: ‘vorrei firmare, ma non lo faccio per non rovinare i miei rapporti personali nel mio ambiente di lavoro’. Io credo che occorra invertire questa tendenza, fare in modo che la voce degli amici di Israele si faccia sentire. Viviamo in un periodo in cui la civiltà europea corre gravi rischi e proprio per questo, come scrive Fiamma Nierenstein: ‘Israele siamo noi’. La difesa di Israele è la difesa della nostra civiltà.

In che modo si diffonde il nuovo antisemitismo accademico?
Gli antisemiti non sono la maggioranza e non esiste un antisemitismo consapevole diffuso, semplicemente quelle che vengono chiamate giustamente le ‘parole malate’, utilizzate dalle frange antisemite della cultura europea e dagli estremisti islamici, sono surrettiziamente entrate nel linguaggio comune. Quando Israele viene attaccata, la realtà viene rovesciata dal linguaggio e Israele appare come l’aggressore dei vicini. Non è raro trovare la definizione ‘nazista’ riferita alla politica del governo di Israele: questo è un esempio palese di ribaltamento della realtà. Per non parlare di definizione ‘Stato dell’apartheid’ per Israele, un Paese che lotta per la sua stessa esistenza. Gli appelli britannici al boicottaggio parlano di ‘violazione dei diritti umani’, quando sappiamo benissimo che in Israele c’è una Corte Suprema che, non solo tutela i diritti dei cittadini israeliani, ma anche quelli di tutti coloro che si appellano ad essa per difendersi dalle presunte angherie subite dall’esercito israeliano. Sono definizioni, espressioni, parole malate che alimentano un antisemitismo sempre latente, contro cui si deve condurre una battaglia culturale.

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