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L'Opinione Rassegna Stampa
11.06.2007 La strategia di Olmert è dividere la Siria dall'Iran
ma occorre chiedersi se può davvero funzionare

Testata: L'Opinione
Data: 11 giugno 2007
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Dividere la Siria da Teheran»
Da L'OPINIONE del 9 giugno 2007:

Golan in cambio di pace: sarà vero? Sì, secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth: Olmert avrebbe mandato dei messaggi informali a Damasco per proporre il ritorno delle Alture del Golan (confine nord-orientale di Israele) alla Siria in cambio di un trattato di pace e di una rottura siriana con l’Iran, gli Hezbollah e le organizzazioni terroristiche palestinesi. Il Golan fu occupato dall’esercito israeliano nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, sia per impedire all’artiglieria siriana di continuare a martellare le città israeliane del Nord, sia per prevenire un assalto siriano su quel fronte. Nel 1973, Hafez al Assad (padre dell’attuale dittatore siriano) invase Israele per l’ultima volta, attaccando di sorpresa nel giorno dello Yom Kippur, coordinandosi con gli Egiziani nel Sinai. Le divisioni corazzate arabe (forti di 1300 carri armati, tutti di fabbricazione sovietica) furono incredibilmente fermate da una piccola avanguardia israeliana (con appena 180 carri armati) e poi respinte.

Dopo quel vero e proprio miracolo militare che salvò Israele dall’annientamento, la guerra non è mai formalmente finita. Nel 1974, in seguito ad accordi di disimpegno, l’Onu ha inviato sul Golan un contingente di Caschi Blu che tuttora mantiene: 1200 uomini tra austriaci, canadesi, polacchi, slovacchi, indiani e giapponesi. Dal 1973 non si è più combattuto su quel fronte, nemmeno nei momenti di peggior tensione tra Gerusalemme e Damasco, come quando, nel 1982, Sharon invase il Libano impegnando anche le forze regolari siriane. Nel 2000 il governo Barak offrì a Damasco la restituzione di quasi tutto il Golan, conservando solo una fascia di sicurezza sulle rive del Lago di Tiberiade, ma l’offerta fu respinta da Assad. Il cui rifiuto fu riconosciuto in seguito come una delle cause determinanti (perché incoraggiò Arafat a rompere le trattative) della II Intifadah, nel settembre del 2000. Gli Israeliani hanno sempre visto il Golan come un avamposto irrinunciabile: senza il Golan, non vi sarebbe più alcun ostacolo naturale dal confine siriano a Haifa. Il pericolo è sempre imminente. O, per lo meno, viene considerato tale dallo stato maggiore israeliano che, appena martedì scorso, ha effettuato esercitazioni contro un eventuale attacco siriano sul fronte del Golan.

Ovviamente, la notizia delle trattative è stata accolta con entusiasmo dalla sinistra laburista, ma viene rigettata dalla destra, sia likudista che religiosa. La Siria non ha commentato ufficialmente. Ieri, un diplomatico siriano a Londra ha negato che vi siano trattative in corso. Ma il giorno prima, non appena era stata diffusa la notizia del messaggio di Olmert a Damasco, un altro diplomatico siriano aveva dichiarato l’opposto, affermando che anche la Siria era interessata a un accordo di pace definitivo. Ma intanto l’effetto è stato ottenuto: sia vera o no, la notizia delle trattative segrete si è diffusa e rappresenta un messaggio di pace di Israele verso la Siria. E questo sarebbe del tutto coerente con la strategia di Olmert, volta a separare la Siria dall’Iran. Il messaggio informale di pace che Israele ha lanciato alla Siria, va letto assieme alla denuncia ufficiale israeliana dell’Iran presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, seguita all’ultima dichiarazione del presidente Ahmadinejad contro Israele (“è iniziato il conto alla rovescia per cancellare Israele dalla carta geografica”). Ammansendo Damasco e condannando Teheran, Olmert probabilmente spera di ottenere la rottura della loro alleanza.

C’è da chiedersi, però, se una politica simile possa avere successo. I Paesi arabi che circondano Israele, storicamente parlando, non hanno mai fornito garanzie pratiche agli accordi di pace. L’ultimo piano di pace proposto dalla Lega Araba suona come un vero ultimatum: Israele dovrebbe accettare le condizioni e basta. La pace stessa è un concetto relativo per gli Stati che non hanno mai riconosciuto la legittimità di Israele o lo hanno fatto solo dopo ripetute sconfitte militari. Nemmeno l’Egitto è realmente in pace con Israele, nonostante il trattato di Camp David del 1978: secondo il Ministro della Difesa israeliano, le forze armate egiziane non riescono (o non vogliono) fermare il continuo traffico di armi per Gaza e nel Paese l’odio nei confronti dello Stato ebraico è sempre stato maggioritario nell’opinione pubblica (secondo un sondaggio del 2006, 92% degli Egiziani vede Israele come un nemico). Sarebbe solido un accordo con la Siria? Il recente ritrovamento in Turchia di armi iraniane destinate agli Hezbollah (via Siria) dimostra come l’alleanza tra Teheran e Damasco sia ancora solida e motivata da intenti aggressivi anti-israeliani. Intanto si moltiplicano le voci sui preparativi di una vera e propria offensiva siriana. L’ultima testimonianza a favore di questa ipotesi è quella del parlamentare siriano Mohammad al Habash, che ha dichiarato candidamente ad Al Jazeera: “La Siria sta attivamente preparandosi per una guerra con Israele”.
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