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L'Opinione Rassegna Stampa
17.12.2006 Il rapporto Baker sarebbe andato bene, al limite, per la Guerra Fredda
o forse neppure per quella: le critiche dei conservatori americani

Testata: L'Opinione
Data: 17 dicembre 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Usa, conservatori contro Baker. l’Iraq study group è feudo democratico»
Da L'OPINIONE del 17 dicembre 2006:

Il rapporto della Commissione Baker-Hamilton piace a tutti i partiti, soprattutto europei, perché restituirebbe la parola alla politica. I neoconservatori attaccano il rapporto, perché lo ritengono “irrealistico”, incapace di comprendere la realtà del Medio Oriente, soprattutto nel momento in cui la commissione suggerisce di coinvolgere attivamente nel processo di pace anche Siria e Iran, cioè i principali destabilizzatori del Medio Oriente. Ma da chi è composto l’Iraqi Study Group? È guidato dall’ex segretario di Stato James Baker e dall’ex congressman democratico Lee Hamilton. Ed è costituito, appunto, da una maggioranza di “ex”: ex funzionari ed ex alti ufficiali delle forze armate. Si sa che, se un generale combatte sempre la guerra precedente, un generale in pensione difficilmente ha idee più moderne. E infatti l’idea di coinvolgere l’Iran e la Siria nel processo di pace presuppone ancora uno scenario da Guerra Fredda, in cui Usa e Urss si contendevano l’amicizia scomoda dei dittatori mediorientali per sottrarli all’influenza del nemico. L’Iran era considerato dall’ex consigliere di Carter, Zbignew Brzezinski, come un tassello importante per destabilizzare l’Unione Sovietica… nel 1979, però.

Il professor Eliot Cohen, sulle colonne del Wall Street Journal, non può fare a meno di notare come James Baker abbia persino sbagliato la sua analisi storica: l’ex segretario di Stato di Bush padre, presentando il rapporto, ha ricordato che il dialogo con l’Unione Sovietica portò al disgelo, ma ha dimenticato di dire che, mentre dialogava, Reagan faceva di tutto per minare il nemico, boicottandone l’economia, passando armi ai suoi nemici in Afghanistan, sostenendo la resistenza di Solidarnosc in Polonia. “Ciò di cui abbiamo bisogno in Iraq non è un’Offensiva Diplomatica, ma più energia e competenza nel condurre la lotta”. Il professore della John Hopkins University ricorda che, in caso di crisi in guerra per uscirne, un buon comandante deve circondarsi di un ristretto nucleo di esperti, che conducano un’accurata ispezione sul campo, parlando “…non solo con i politici e i generali, ma anche con i capitani e i sergenti. Dovrebbero vedere il campo di battaglia con i loro stessi occhi. Dovrebbero visitare almeno una base operativa avanzata nei pressi di Tikrit; dovrebbero passare un po’ di tempo assieme ai soldati a Taji; dovrebbero avere il coraggio di unirsi a un convoglio per al Asad o anche a una pattuglia in Tel Afar”. Gli anziani membri della Commissione, al contrario, hanno passato solo quattro giorni in Iraq, di cui tre all’interno della sicurissima Zona Verde di Baghdad. Che valore possono avere i loro suggerimenti?

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