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L'Opinione Rassegna Stampa
05.12.2006 L'alleanza tra Venezuela e Iran e il "blocco terzomondista"
l'analisi di Stefano Magni

Testata: L'Opinione
Data: 05 dicembre 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Il blocco terzomondista contro l’“imperialismo” occidentale»
Dall'OPINIONE del 5 dicembre 2006:

Era praticamente scontata la vittoria di Hugo Chāvez in Venezuela. La sorpresa (relativa) č un’altra: nella sua campagna elettorale per il terzo mandato, il presidente bolivariano ha goduto del sostegno diretto di altri capi di Stato apparentemente estranei al Venezuela e alla sua nuova “rivoluzione”. Il dittatore libico Gheddafi, per esempio, in occasione del vertice tra Paesi africani e sudamericani che si era tenuto in Nigeria proprio nei giorni precedenti alle elezioni, aveva lanciato un appello ai Venezuelani perché votassero Chāvez. Secondo Gheddafi avrebbero dovuto “votare per il loro presidente, perché č amico dei poveri e ha fatto molto per il Venezuela, per il Sudamerica e per il mondo”. Cosa c’entra Gheddafi con Chāvez, verrebbe da chiedere… E invece c’entra. Perché si sta formando un blocco unico terzomondista molto trasversale. Significativo il “tour” compiuto da Chāvez il luglio scorso prima dell’inizio della campagna elettorale: in Bielorussia da Lukashenka, poi in Russia, poi nel Qatar e infine a Teheran, proprio nel periodo in cui gli Hezbollah lanciavano i loro razzi contro Israele. In quella occasione Chāvez aveva incontrato Ahmadinejad per esprimere tutta la sua solidarietā con la causa degli Hezbollah, utilizzando una retorica terzomondista contro l’“imperialismo” occidentale.

Il presidente venezuelano aveva paragonato Israele al nazismo e accusato Olmert di genocidio. Quella tra Iran e Venezuela non č un’alleanza formalizzata, ma si sta pian piano consolidando nel nome di un unico interesse comune: la guerra contro le democrazie occidentali e gli Stati Uniti in particolare. E anche di un’ideologia comune, anch’essa espressa in termini negativi: contro la globalizzazione. Il sostegno dato da Gheddafi a Chāvez diviene comprensibile in questa ottica: il dittatore libico si č dichiaratamente opposto all’integralismo islamico, ma non ha mai rinunciato alla politica terzomondista. Ha sempre cercato di fare della Libia la “nazione guida” dell’Africa, non certo per aprire il continente nero al mercato globale, ma per promuovere uno sviluppo “alternativo”: la Libia stessa, nonostante qualche riforma recente, risulta essere uno dei Paesi economicamente pių chiusi e repressi del mondo. Molti elementi dell’ideologia di Gheddafi (nazionalismo, economia pianificata, controllo sociale delle masse, promozione della “dignitā” del “Sud del mondo” contro la globalizzazione) sono analoghi al bolivarismo. Ma anche un altro aspirante guida del continente africano, Robert Mugabe, presidente/ dittatore dello Zimbabwe, sta diventando un tassello di questa nuova alleanza.

Chāvez e Mugabe, il 17 ottobre del 2005, in occasione del World Food Day tenutosi a Roma, avevano lanciato accuse congiunte contro gli Stati Uniti e i loro alleati. Chāvez aveva parlato di un “Impero Nord-Americano che minaccia tutto il pianeta”, mentre Mugabe aveva paragonato Bush e Blair rispettivamente a Hitler e Mussolini. Anche Mugabe si rifā ad un’ideologia di estrema sinistra, nel nome della quale ha requisito tutte le terre degli agricoltori bianchi riducendo il Paese alla fame. Il dittatore africano, come Chāvez e come Ahmadinejad, giustifica il suo regime con la necessitā di lottare contro un “nuovo imperialismo”. Due settimane fa, Mugabe, aveva espresso al suo collega Ahmadinejad la sua posizione politica in questi termini: “Ci troviamo uniti di fronte a Paesi come gli Stati Uniti che pensano che il mondo appartenga a loro. Dobbiamo pensare a difenderci. L’Iran e lo Zimbabwe sono stati descritti come membri di un’Asse del Male, ma chi sono loro per giudicarci? Quei Paesi che ragionano come noi, dovrebbero riunirsi”.

E Ahmadinejad aveva risposto positivamente, in termini ancor pių espliciti: “Noi non accettiamo il dominio statunitense e britannico in tutto il mondo e coopereremo per porre fine a questa dominazione”. Da notare che i tempi del colonialismo sono finiti da un pezzo. E che gli Stati Uniti non sono mai stati una potenza coloniale, né in Africa, né in Asia. Anzi: dopo la brevissima esperienza coloniale a Cuba e nelle Filippine, fu proprio Washington ad impegnarsi maggiormente nel processo di decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia. Non c’č alcuna “dominazione” dalla quale liberarsi, dunque. Quello di cui stanno parlando dittatori come Chāvez, Mugabe, Ahmadinejad e Gheddafi, non č la difesa della loro indipendenza nazionale, giā acquisita da un pezzo, ma la conservazione del loro potere, il rigetto della democrazia simboleggiata dagli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali, l’odio nei confronti del libero mercato (che sarebbe in grado di corrodere la presa dei loro regimi sulla popolazione), da essi identificato, ideologicamente, come il prodotto di una cospirazione guidata dalle potenze occidentali. Da questo punto di vista, i loro regimi, ideologicamente diversissimi tra loro, stanno formando un fronte unito, con obiettivi sempre pių omogenei. Proprio mentre le democrazie occidentali dimostrano di non avere una coscienza comune.

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