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L'Opinione Rassegna Stampa
25.09.2006 Come comportarsi con l'Iran?
mentre i repubblicani americani si interrogano, i politici italiani fanno la cosa sbagliata

Testata: L'Opinione
Data: 25 settembre 2006
Pagina: 0
Autore: Arturo Diaconale - Stefano Magni
Titolo: «I pellegrinaggi alla Cancelleria di Teheran - Sono cinque anni che gli Stati Uniti non hanno ancora deciso come comportarsi con l’Iran. Il dibattito interno è molto forte e complesso, non solo tra democratici e repubblicani, ma anche all’interno degli amb»
Da L'OPINIONE del 24 settembre 2006, un editoriale di Arturo Diaconale:

Teheran come Berlino. Ahmadinejead come Hitler. Molti dicono che il paragone non regge. Perché il regime komeninista non è un regime nazista. Perché il premier iraniano non ha nulla a che spartire con il dittatore tedesco. Perché il nazifascismo islamico è una invenzione di Bush. E perché gli iraniani di oggi hanno il petrolio e sono degli utili interlocutori per rapporti commerciali, forniture militari, accordi industriali ed affari di qualsiasi genere mentre i tedeschi dell’epoca nazista avevano carbone e tecnologia industriale e, più che al businnes, pensavano agli spazi vitali. Sarà tutto vero. Ma è un fatto che la recente visita di Pierferdinando Casini nella capitale iraniana in qualità di Presidente dell’Unione Interparlamentare ed il successivo incontro di Romano Prodi a New York con Ahmadinejead, hanno risvegliato una inquietante memoria storica. E suscitato un seria preoccupazione per il futuro. La memoria riporta alla prima metà degli anni ’30. Quando Berlino era diventata la meta preferita dei politici delle democrazie occidentali in cerca di notorietà presso le opinioni pubbliche pacifiste dei rispettivi paesi.

La tragedia della prima guerra mondiale era ancora fresca nella memoria dei popoli europei. E recarsi nella tana del dittatore tedesco in nome della necessità di privilegiare sempre e comunque il negoziato alle maniere forti era un modo comodo e sicuro di raccogliere facili consensi tra gente che non voleva ritrovarsi di nuovo in guerra. Hitler si prestava di buon grado al gioco. Perché in questo modo prendeva tempo per il riarmo del proprio esercito, accentuava le divergenze tra le classi dirigenti ed i governi dei paesi democratici ed impressionava i propri interlocutori inoculando loro il dubbio che i sistemi democratici fossero al tramonto e che il futuro fosse ormai nelle mani ferree delle dittature. Quei pellegrinaggi presso la Cancelleria del dittatore nazista non solo non ottennero il risultato sperato di salvare la pace. Produssero l’effetto opposto. Favorirono la guerra, quell’immane conflitto mondiale che avrebbe provocato più di quaranta milioni di morti. La storia si ripete? Sembrerebbe di sì. Prodi e Casini hanno aperto la strada. D’ora in avanti Teheran sembra destinata ad essere la meta del moderno pellegrinaggio dei fautori del pacifismo idealista e del realismo affaristico. Si dirà che Ahmadinejad non è Hitler, che il regime komeinista iraniano non è quello nazista, che l’Iran è lontano e non è il cuore dell’Europa come la Germania e che il dialogo con i governanti iraniani è indispensabile per la pace mondiale e per le necessità petrolifere dell’Occidente. Si dirà tutto ed il contrario di tutto. Ma di sicuro c’è solo che non s’incontra e non si omaggia chi propone la “soluzione finale” per Israele.

Sempre sull'OPINIONE del 24 settembre, Stefano Magni passa in rassegna le le opzioni di risposta alla crisi iraniana proposte da alcune delle diverse componenti ideologiche del Partito Repubblicano (dal realismo politico conservatore di Henry Kissinger al libertarismo del Cato Institute, fino al neoconservatorismo) .
Ecco il testo:

Sono cinque anni che gli Stati Uniti non hanno ancora deciso come comportarsi con l’Iran. Il dibattito interno è molto forte e complesso, non solo tra democratici e repubblicani, ma anche all’interno degli ambienti repubblicani. Henry Kissinger (ex Segretario di Stato dei presidenti Nixon e Ford, nonché uno dei più autorevoli commentatori di politica internazionale) non ha mai parlato di cambiare il regime iraniano, ma lamenta la scarsa pressione internazionale esercitata sull’Iran. Il pericolo iraniano è duplice: il suo appoggio al terrorismo e il suo programma nucleare. L’obiettivo è quello di riportare alla ragione l’attuale regime e nel farlo occorrono sanzioni serie, non minacce vaghe e ultimatum che scadono, vengono disattesi e non comportano sanzioni (come quello del Consiglio di Sicurezza dell’Onu scaduto lo scorso 31 agosto). Il rischio è soprattutto quello di perdere credibilità. Kissinger paragona l’attuale crisi internazionale a quella del 1935, quando la Società delle Nazioni impose sanzioni deboli all’Italia fascista in risposta alla sua invasione dell’Abissinia e non ottenne alcun risultato. Questo è il rischio che corriamo con l’Iran. Kissinger non ha mai parlato di uso della forza militare, ma allo stesso tempo non lo esclude, nel caso le trattative e le sanzioni non impediscano al regime di Teheran di dotarsi di armi atomiche.

Ad escludere tassativamente l’uso della forza sono, semmai, i libertari del Cato Institute. Ted Galen Carpenter, vicepresidente del noto think tank di area repubblicana, esclude le sanzioni, perché ritenute inutili: affamerebbero il popolo e non fermerebbero il programma nucleare. Esclude un’opera di regime change, perché “appoggiando i dissidenti iraniani si minerebbe la loro legittimità”. Esclude un’operazione militare, perché comporterebbe il grave rischio di una risposta massiccia iraniana, sia contro le truppe americane nel Golfo, sia nel resto del mondo attraverso organizzazioni terroristiche amiche. E poi perché “Un intervento in Iran alienerebbe la simpatia della popolazione musulmana in tutto il mondo e renderebbe più probabile la prospettiva di un vero scontro di civiltà”. E quindi, che fare? Niente: i libertari suggeriscono di ammettere a pieno titolo l’Iran “nel club delle potenze nucleari” e affidarsi alla deterrenza americana (pur sempre la prima potenza nucleare al mondo) per affrontare eventuali minacce. La prospettiva cambia drasticamente per un altro ambiente repubblicano, quello dei neoconservatori. Per i neoconservatori, il regime iraniano è il vero problema e occorre cambiarlo.

Nelle trattative del passato, Teheran si è sempre dimostrata pronta a mentire, per cui non è affidabile quando propone concessioni. E gli Stati Uniti non possono contare sulla loro forza deterrente: come ammettono gli stessi libertari, il regime di Teheran mantiene legami molto forti con organizzazioni terroristiche. Un terrorista suicida non si ferma di fronte a una minaccia di rappresaglia. Dunque lo scopo degli Stati Uniti, secondo quanto suggeriscono la Heritage Foundation, l’American Enterprise Institute e la rivista National Review, è quello di rovesciare il regime iraniano prima che questo si doti della bomba atomica. Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati Uniti devono evitare comunque di usare la forza (se non come ultima risorsa) e appoggiare i dissidenti interni. Quale linea seguirà l’amministrazione Bush? Il suo discorso alle Nazioni Unite fa pensare che abbia già optato per la strategia proposta dai neoconservatori. Ma tra il dire e il fare…


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