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L'Opinione Rassegna Stampa
22.09.2006 Iran: gioco delle parti tra "falchi" e "colombe", chiusura al mondo, repressione del dissenso
anatomia di un regime sempre più violento e instabile

Testata: L'Opinione
Data: 22 settembre 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «In Iran la morsa della censura imbavaglia il dissenso interno»
Da L'OPINIONE del 22 settembre 2006:

In Occidente si ha l’impressione che la leadership iraniana sia divisa al suo interno, tra “falchi” e “colombe”. Ma il fatto stesso che i ruoli cambino così di frequente (solo adesso il presidente Ahmadinejad fa la parte della “colomba”), dovrebbe suggerire un’altra interpretazione: che il regime iraniano è compatto, cambia atteggiamento a seconda delle circostanze. Non è per pregiudizio che il presidente Bush considera l’atteggiamento diplomatico di Ahmadinejad come un espediente “per prendere tempo”, ma la constatazione di una realtà di fatto: il programma nucleare iraniano procede e la repressione interna all’Iran aumenta. E le dichiarazioni di principio non sono smentite: Ahmadinejad ha difeso esplicitamente il terrorismo suicida, nella sua intervista rilasciata alla rete televisiva statunitense Nbc il 21 settembre, proprio negli stessi giorni in cui si mostra “pragmatico”. Semmai la divisione interna all’Iran è un’altra: quella tra il regime di Teheran e la sua popolazione. Ma, dopo la repressione delle ultime proteste studentesche, esiste ancora un dissenso interno all’Iran? Non lo si può sapere con certezza, perché l’Iran è un mondo sempre più chiuso, soprattutto da quando è al potere Ahmadinejad.

La censura ha cancellato sia l’informazione indipendente cartacea che quella via Internet. “Stiamo filtrando più di 10 milioni di siti Internet” - dichiara con orgoglio Esmail Radkani, il presidente dell’agenzia iraniana di sorveglianza della rete – “Ogni mese aggiungiamo un migliaio di pubblicazioni on line alla nostra lista nera, su richiesta delle autorità competenti. Disponiamo anche di software che, ogni giorno, aggiornano il nostro database con gli indirizzi di 200-300 siti Internet proibiti”. La proibizione riguarda, per sua stessa ammissione, siti considerati “immorali”, categoria in cui rientrano soprattutto quelli che riguardano la condizione della donna. Se Internet, in alcuni casi, sfugge alle maglie del controllo e sui siti degli esuli appaiono anche foto e notizie clandestine prese in Iran, la stampa è invece completamente imbavagliata. Il più famoso giornale indipendente, lo Shargh, è stato chiuso due settimane fa perché parlava troppo liberamente delle trattative sul nucleare iraniano e si era addirittura “permesso” di scherzarci sopra con delle vignette: il presidente Ahmadinejad veniva rappresentato come una scimmia che giocava a scacchi. L’editore, Mohammad Antriafar, subito dopo la chiusura spiegò che: “È chiaro che non si tollera che un movimento riformista metta le sue radici qui in Iran”.

Alla morsa della censura non sfugge nemmeno il premio Nobel Shirin Ebadi, la cui organizzazione, il “Centro per la diffusione dei diritti umani” non ha ottenuto la necessaria autorizzazione governativa. Il ministro degli Interni è stato esplicito in merito: “Le attività dell’organizzazione sono illegali e chi violerà questa decisione verrà perseguito legalmente”. Il dissenso non può esprimersi, ma esiste. Vi sono diversi sintomi che suggeriscono la sua diffusione. Non vi sono più ribellioni massicce e organizzate, come l’ultima protesta degli studenti, ma tante piccole insurrezioni (prevalentemente su base etnica come l’ultima rivolta araba nelle province occidentali e la continua tensione nel Kurdistan) e soprattutto tanti segni di disaffezione nei confronti del regime. L’atteggiamento della popolazione iraniana è una sorta di protesta passiva, già ben visibile nel corso delle ultime elezioni (quelle che portarono al potere Ahmadinejad) quando, nonostante le statistiche ufficiali, i seggi furono disertati in massa. In questi giorni si è assistito allo stesso tipo di passività per la protesta contro le parole di Papa Benedetto XVI: appena 200 studenti coranici hanno risposto all’appello del mullah Khatami e sono scesi in piazza. Il corrispondente di Asia News (l’agenzia del PIME), constata che: “La condanna dell’idea della jihad non è un insulto per la maggioranza degli Iraniani. Per le strade di Teheran vi sono grandi affreschi inneggianti alla gloria degli shahid (cosiddetti martiri) locali. Vi è pure quello di una madre palestinese, pronta a suicidarsi con lo slogan ‘Amo il mio bambino, ma amo ancora di più il martirio’.

Ma quasi nessuno ci crede: i passanti, un po’ impacciati o disgustati, non vi prestano attenzione. Del resto a Teheran, dopo la ‘divina vittoria’ dello sciita Nasrallah in Libano, non vi sono state manifestazioni di gioia”. L’Iraniano medio è sicuramente più preoccupato per la crisi economica del suo Paese. Un report pubblicato dallo stesso ministero dell’Economia iraniano e ripreso dal giornale on line Rooz il 20 settembre, mostra come la politica populista di Ahmadinejad abbia prodotto una crescita dell’inflazione e della disoccupazione. Negli ultimi cinque mesi, nessun iraniano ha acquistato titoli di Stato. Il che, detto in parole povere, significa: nessun Iraniano ha fiducia del suo governo. Un’inchiesta del giornalista Azadeh Moaveni, pubblicata sul Time, rivela questa sfiducia generalizzata: la maggioranza dei cittadini intervistati, anche coloro che hanno votato l’attuale presidente, considera Ahmadinejad come “l’ultimo di una lunga catena burocratica inefficiente”. Oltre al dissenso “passivo”, vi è ancora qualcuno che sfida le invadenti misure repressive per protestare ancora apertamente. Le femministe hanno protestato due volte in tre mesi e hanno pagato duramente il loro coraggio.

Il 13 giugno, cinquemila tra donne e sostenitori della causa femminista hanno manifestato a Teheran al grido di “basta con la misoginia di Stato” e “Siamo esseri umani, ma non abbiamo diritti”. E sono state caricate dalla polizia. Una seconda manifestazione è avvenuta il 19 settembre. Questa volta le donne erano centinaia e protestavano per un caso specifico: la condanna a morte di Kobra Rahmampour, condannata per un omicidio che, probabilmente, era legittima difesa. Anche in questo caso, la polizia ha caricato e disperso la folla, arrestando dozzine di manifestanti. La seconda categoria dissidente, quella degli studenti, è sotto stretta sorveglianza. Il governo li teme palesemente: in occasione della riapertura delle scuole e dell’anno accademico, ha istituito un nuovo corpo di polizia apposta per sorvegliare università, campus e scuole. Il nuovo apparato, secondo le autorità della polizia deve “Aiutare a prevenire ogni possibile crimine dentro le scuole”. Le università hanno espulso 200 studenti (che pure avevano regolarmente passato gli esami) per motivi politici. A partire da questo anno accademico, ogni studente sarà classificato con una, due o tre stelle e alla terza stella segue l’espulsione. Con questi metodi, il dissenso è stato completamente messo a tacere, anche preventivamente. Ma se non ricorresse all’uso della forza, per quanto tempo rimarrebbe al potere il regime di Teheran?

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