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L'Opinione Rassegna Stampa
18.09.2006 La guerra che i fondamentalisti ci hanno dichiarato e che non vogliamo combattere
e la voglia di trovare negli ebrei un capro espiatorio

Testata: L'Opinione
Data: 18 settembre 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni - Romano Bracalini
Titolo: «L’allarme non raccolto di Oriana. Eurabia continua a crescere - L’Ebreo, ecco il nemico!»
Da L'OPINIONE del 18 settembre 2006, un articolo di Stefano Magni :

Oriana Fallaci denunciò al grande pubblico il progetto di Eurabia, una grande area geopolitica che comprende sia il mondo arabo che l’Europa occidentale. Per la prima volta, in Italia (negli Stati Uniti, la storica Bat Ye’or lo denunciava già da anni), si seppe che l’atteggiamento reticente dei governi europei occidentali nei confronti delle dittature arabe e dei movimenti radicali islamici non era frutto di indecisione politica, ma era programmatico. Era parte di un disegno tracciato da De Gaulle alla fine degli anni ’60 che prevede, da una parte, l’appoggio tacito delle dittature arabe nella loro guerra contro Israele (l’unica democrazia nel Medio Oriente), dall’altra una politica della porta aperta nei confronti dell’immigrazione musulmana per facilitare lo sviluppo economico dei Paesi di origine. Dalla metà degli anni ’70, questo progetto è diventato letteralmente uno standard per la politica mediorientale di tutti i governi europei occidentali, soprattutto per motivi economici (dipendenza petrolifera). Anche in seguito alla progressiva islamizzazione della società e di molte dittature del mondo musulmano, il programma di Eurabia non è cambiato. Anzi: ha continuato ad influenzare il pensiero e l’azione della maggior parte delle élite politiche dell’Europa occidentale.

I movimenti islamisti e i dittatori che li appoggiano non vogliono una “emancipazione nazionale”, non vedono l’emigrazione musulmana verso l’Europa come un’opportunità di crescita economica e di integrazione nelle società ospiti, ma solo come uno strumento fondamentale per l’esportazione della Jihad, della guerra santa contro un’Occidente liberale e laico, dunque nemico. Però le politiche di integrazione, l’appeasement con i regimi dittatoriali del mondo arabo e musulmano, la reticenza nel combattere il terrorismo (Hamas fu riconosciuta come un’organizzazione terroristica dall’UE solo nel 2004), l’ostilità diplomatica nei confronti di Israele sono rimaste delle costanti in tutti i governi europei, anche dopo l’11 settembre. E soprattutto, sul piano culturale, in Europa (e in parte anche negli Stati Uniti) ci si rifiuta ancora di prendere atto che esiste un problema islamico. Una sorta di autocensura diffusa impedisce ad analisti e giornalisti europei di parlare apertamente della minaccia islamista, per paura di offendere l’Islam, i governi mediorientali e le comunità musulmane.

Oriana Fallaci, con la sua Trilogia, ha lanciato un sasso contro questa cappa culturale, ma ha avuto seguito? Si direbbe di no, se solo si leggono alcune notizie degli ultimi giorni. Il 14 settembre, il governo turco (un governo laico che sta trattando per l’ingresso nell’Unione Europea) chiede a Papa Benedetto XVI le scuse ufficiali, perché il Pontefice ha denunciato e condannato la violenza del totalitarismo islamico. Il 13 settembre, il ministro della giustizia olandese Donner (ministro del Paese che ha subito l’assassinio di Theo Van Gogh) ha dichiarato che: “Se i due terzi degli Olandesi mi chiedessero di instaurare la sharia anche domani, ebbene questa possibilità deve esistere”. In Italia, per l’anniversario dell’11 settembre, alla Camera, la Islamic Anti-Defamation League ha organizzato un convegno caratterizzato da un anti-sionismo esplicito. In Inghilterra, a un anno dall’attentato di Londra, i radicali islamici affiggono ancora manifesti in cui si chiede la distruzione di Israele. Nonostante gli impegni presi, nessuno ha ancora vietato la predicazione dell’odio contro Israele e contro l’Occidente.

Di seguito, uno di Romano Bracalini:

Sarà stato l’anniversario dell’11 settembre, che più si allontana e più consente all’immaginario complottista di generare mostri e ipotesi da manicomio, ma è sembrato che il livore antisemita, complice la breve campagna del Libano, sia in pericolosa crescita e ciò che più conta non abbia più timore di apparire per quello che è: l’intramontabile antisemitismo vecchio stampo che il fascismo aveva reso impresentabile e che ora torna a manifestarsi senza più le cautele e le ipocrisie d’una volta. Le persecuzioni razziali e l’Olocausto, e un complesso di colpa collettivo, avevano suggerito fin qui una forma di riguardo, una specie di salvacondotto, e insomma non si poteva parlare male degli ebrei. C’era nella coscienza europea il timore di passare per antisemiti per partito preso anche solo ad azzardare una critica, un minimo rilievo. Da quando l’Olocausto è stato messo in discussione dal “negazionismo” di destra e la politica di Israele equiparata dalla sinistra comunista al nazismo hitleriano la condanna di Israele è diventata un appuntamento fisso e reiterato dell’antisionismo di maniera. Era perciò inevitabile che il mastice dell’odio antiebraico finisse per mescolare nella medesima e inedita miscela fondamentalismo musulmano, avanzo di comunismo recidivo, e rabbini dissidenti senza gregge e sinagoga.

Ed è stato per festeggiare degnamente l’11 settembre che la famigerata “Islamic anti-defamation league”, contigua al fondamentalismo mascherato dell’Ucoii, ha organizzato il convegno contro l’imperialismo e il sionismo con la partecipazione straordinaria di tale Moishe Friedmann, sedicente rabbino antisionista di Vienna messo al bando dall’Unione delle comunità ebraiche austriache. Tutto lecito, intendiamoci, non siamo l’Arabia Saudita. Però la libertà di cui essi approfittano non si può separare dalla decenza e dal buon gusto. Sennò diventa arbitrio, effrazione. Lo diciamo anche per il compagno Diliberto che a nome del partito dei comunisti italiani, ma non si sa con quale autorità, ha gentilmente offerto alla congrega l’ospitalità gratuita dell’aula di Montecitorio. Il sigaro di Bertinotti non ne sapeva nulla, Diliberto s’è dileguato, forse è riparato a Cuba, e tutto il mondo musulmano avrà capito che lo stato italiano mette le proprie istituzioni al servizio della Jihad. E questo a causa di un governo che la Bielorussia ci invidia. A sua volta Matrix, trasmissione di Canale Cinque, per rafforzare il concetto, ha invitato nientemeno che Giulietto Rublo Chiesa, già salariato dell’Unità da Mosca e tale Maurizio Blondet, cattolico di destra (di meglio non c’era sulla piazza), e tutti e due in perfetta sintonia hanno ripetuto la favola del complotto sionista contro le torri gemelle, Bush era ovviamente d’accordo, e nessuno ha chiamato il neurodeliri. Lo scopo? Ma per far ricadere la colpa sugli arabi notoriamente innocenti, pacifici e laboriosi e giustificare la guerra.

Si comprende il livore antisemita e antiamericano del povero Giulietto che ha visto crollare il suo mondo di stracci, ma qualcuno dovrebbe avvertirlo che l’ex Unione Sovietica, in stato di avanzata decomposizione, è caduta dal becco, come la beccaccia giunta al punto giusto di frollatura. Non è stata la Cia. Formulare un’accusa senza fornire una prova convincente appartiene al metodo dei gesuiti e alla scuola moscovita - alla quale il Giulietto s’è abbeverato da vivo - scuole per le quali la menzogna è parte integrante di ogni dottrina mistico-totalitaria che non fornisce spiegazioni ma dogmi. Non crediamo che Mentana, invitando i due reperti archeologici, abbia ceduto alla vanità e all’impulso di impressionare il pubblico con vecchie “sole” che non pubblicherebbe nemmeno il Travaso, ma sia caduto vittima dell’improvvisazione e del proprio inadeguato bagaglio. Nella campagna di diffamazione contro Israele non poteva mancare il sussidio culturale del camerata Fo, che in fondo, ripetendo logori stereotipi, finisce che non li riconosce più come un avanzo della propaganda repubblichina, propaganda che, stavo per dire stranamente, coincide con quella del clericalismo antisemita alla padre Agostino Gemelli e dell’antisionismo comunista d’ogni epoca. Così si può dire che l’antisemitismo professionale italiano, dalle leggi razziste del ’38 in poi, può contare sul carattere di una felice continuità di intenti e di programmi.

Ora, Giulietto con quella bocca può dire tutto ciò che vuole - siamo in democrazia anche se non per merito suo -, ma Mentana per giustificare la “bufala” propalata via etere, e a spese del cavaliere, non può, come ha fatto, scomodare la libertà di stampa, di cui nei paesi liberi si fa un uso più appropriato e corretto. In ogni caso, se proprio vogliamo parlarne, la libertà di stampa merita paladini migliori di Giulietto il moscovita.

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