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L'Opinione Rassegna Stampa
11.09.2006 La guerra contro il terrorismo non ha l'appoggio dell'opinione pubblica mondiale
e i nostri nemici lo sanno

Testata: L'Opinione
Data: 11 settembre 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Cinque anni di guerra al terrore. Ma vogliamo ancora combattere?»
Da l'OPINIONE dell'11 settembre 2006:

 Nel 2010, un padre porta i bambini a visitare Ground Zero. Un bambino chiede: “Papà, chi è che ha distrutto le Torri Gemelle?” “Dei terroristi arabi”. Passano alcuni momenti di stupore: “Papà, ma che cosa sono gli Arabi?”. Questa era una barzelletta che circolava nei giorni immediatamente successivi l’11 settembre di cinque anni fa. Assieme a tanti altri gadget sullo stesso tema: la vignetta di un parcheggio per McDonald’s al posto dell’Afghanistan, un finto meteo in cui erano previsti 500.000 gradi a Teheran (con tanto di funghetto atomico sulla cartina, al posto della classica nuvoletta o del sole) e tante altre amenità di questo genere. Nei giorni successivi l’11 settembre, tutti si aspettavano una reazione spropositata degli Stati Uniti contro gli Stati sponsor del terrorismo internazionale. C’era chi temeva l’uso di armi nucleari e chi lo invocava a gran voce come giusta risposta ad un attacco nel cuore degli Stati Uniti. E chi, come abbiamo visto, preferiva scherzarci sopra. Ma tutti, in un modo o nell’altro, si sarebbero aspettati una reazione massiccia, immediata e unilaterale. Che invece non c’è stata. La più grande potenza militare del mondo, dal 2001 ad oggi, non ha mai usato l’atomica, ha mobilitato una piccola parte delle sue forze convenzionali, si è limitata ad attaccare solo due Stati sponsor del terrorismo, l’Iraq e l’Afghanistan, due regimi che erano già isolati sul piano internazionale prima dell’11 settembre.

In nessuno dei due conflitti, gli Stati Uniti incominciarono a usare l’esercito senza prima aver condotto una campagna diplomatica per raccogliere il necessario consenso internazionale. Una campagna politica e mediatica che è perfettamente riuscita nel caso dell’Afghanistan, ma clamorosamente fallita nel caso dell’Iraq. Washington, insomma, non ebbe una reazione “di pancia” come tutti si aspettavano, ma una fredda reazione “di testa”. È stata una scelta di successo? Oggi gli Stati Uniti sono in difficoltà: in Afghanistan e in Iraq combattono ancora contro i terroristi e i residui dei passati regimi, sono ancor più odiati dall’opinione pubblica internazionale e la stessa opinione pubblica americana è divisa. In questi mesi sono alle prese con l’Iran, il principale sponsor conclamato del terrorismo islamico e non hanno ancora preso in considerazione l’opzione di usare la forza militare. E c’è chi si domanda se gli Stati Uniti siano ancora in grado di combattere la guerra al terrorismo. Se lo chiede lo storico Victor Davis Hanson: l’opinione pubblica non ha realizzato di essere in guerra con un nuovo totalitarismo espansionista. Come scrive sulla National Review, attualmente il grosso della popolazione si ritrova in una sorta di “limbo”, né in guerra né in pace (un po’ come nel primo anno della II Guerra Mondiale: guerra già dichiarata, ma non ancora veramente combattuta) e tende a credere che questa fase transitoria sia permanente.

Di fatto quasi nessuno crede che il totalitarismo islamico sia un nemico reale e un pericolo concreto e dunque il rischio è quello di abbassare troppo la guardia. Anche l’economista liberale Walter Williams sottolinea il fatto che: “Gli Stati sponsor del terrorismo conoscono la nostra potenza militare” - scrive sulla rivista Capitalism Magazine - “ma sanno anche che a causa dell’opinione pubblica mondiale, che spesso pare essere dalla loro parte, noi non la useremo mai”. Constata che lo spirito con cui si sta combattendo questa guerra è l’opposto rispetto a quello che dominava durante la II Guerra Mondiale: “I nostri nemici nel Medio Oriente dispongono di armi che i nostri ex nemici dell’Asse non si sognavano nemmeno di avere: la stampa e l’opinione pubblica occidentali.

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