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L'Opinione Rassegna Stampa
27.07.2006 "Proporzionalità" o autodifesa ?
a quale principio è giusto ispirare la propria condotta in guerra ?

Testata: L'Opinione
Data: 27 luglio 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Repubblicani contro liberal la teoria della guerra giusta»

Da L'OPINIONE del 27 luglio 2006:

Gli israeliani non stanno radendo al suolo le città libanesi. Non stanno conducendo dei bombardamenti a tappeto. Non stanno nemmeno bombardando indiscriminatamente i quartieri civili di Beirut, ma solo quelle aree della città controllate dagli Hizbollah, dove nemmeno la polizia libanese riesce ad entrare. Ci sono vittime civili? Sicuramente sì, ma perché i depositi di armi e le basi stesse degli Hizbollah sono in mezzo ai civili. Per evitare vittime collaterali, gli israeliani sono giunti persino a lanciare volantini prima di sganciare le bombe, per avvertire i civili di andarsene. Prima di lanciare l’offensiva di terra, Israele ha condotto una vasta campagna di propaganda per spingere tutti i cittadini residenti nel Sud del Libano ad abbandonare le loro case. Israele ha reso chiaro sin da subito che questa è una guerra contro gli Hizbollah, non una lotta senza quartiere contro il Libano. E’ una battaglia volta ad espellere dal Libano quel vero e proprio “Stato nello Stato” che si è rafforzato negli ultimi sei anni (dal momento in cui l’esercito israeliano ha abbandonato la fascia di sicurezza oltre il suo confine settentrionale) grazie all’ingerenza dell’Iran e con la complicità della Siria. I raid dell’aviazione israeliana sono tutti volti a minare la capacità di resistenza degli Hizbollah: hanno colpito autostrade, porti e aeroporti nelle retrovie (per impedire l’afflusso dei rifornimenti), radar (per prevenire ulteriori lanci di missili contro navi israeliane), centrali elettriche, depositi di armi e rifornimenti (per fiaccare la capacità di combattere del nemico). Eppure il rimprovero che viene maggiormente mosso a Israele, è quello di aver risposto in modo “sproporzionato” all’offesa subita. Cosa potrebbe fare Israele per essere più “proporzionato”? Dovrebbe, secondo i critici, seguire più strettamente i precetti della dottrina della “guerra giusta”, così come sono prescritti dal teorico liberal Michael Walzer, il quale in “Just and Unjust Wars”, scrive, tra le altre cose: “Se salvare le vite dei civili implica il rischio della vita dei propri soldati, ebbene questo rischio deve essere corso”. Le regole della “guerra giusta” e in particolare i precetti della “proporzionalità” e della “discriminazione” dei bersagli, sono state seguite alla lettera dalla Coalizione nella guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003. Nella campagna del marzo-aprile 2003, infatti, furono risparmiate tutte le infrastrutture irachene: ponti, strade, nodi strategici, porti, aeroporti civili, centrali elettriche furono accuratamente escluse dalla lista dei bersagli, con l’intento di ricostruire l’Iraq dopo la guerra e non infliggere danni alla popolazione. Dai porti del Sud incominciarono ad affluire aiuti umanitari per gli iracheni, sin dai primi giorni di guerra. Gli inglesi, per conquistare Bassora, hanno rischiato la vita dei loro uomini, mandando avanti la fanteria a combattere nelle case e nelle strade, senza grandi bombardamenti di preparazione, proprio per evitare vittime civili. Gli anglo-americani seguirono alla lettera il criterio di proporzionalità: il nemico era il regime di Saddam Hussein e dunque colpirono solo ed esclusivamente ciò che rispondeva direttamente a quel regime. Se gli israeliani seguissero gli stessi criteri con lo stesso zelo, molto probabilmente le loro operazioni militari in Libano si limiterebbero a: tiri di artiglieria contro le postazioni di lancio nemiche in azione, bombardamenti contro le postazioni degli Hizbollah (lontane dai centri abitati), qualche raid di commando per appoggiare i bombardamenti. Non verrebbero colpiti altri obiettivi all’infuori del Libano meridionale, né le infrastrutture civili utilizzate dai guerriglieri per far affluire i rifornimenti al fronte. Il principio di proporzionalità è veramente il miglior criterio morale e pratico per combattere una guerra? I pacifisti lo condannano come “ipocrita” e si oppongono a tutte le guerre ma solo pochi teorici lo confutano “da destra”. Ad elaborare una critica dettagliata contro il principio di proporzionalità e la “guerra giusta” in generale, sono gli Oggettivisti, le voci meno ascoltate della destra americana, ma le più coerenti nel difendere i valori di libertà individuale su cui gli Stati Uniti si fondano. Per dimostrare che i principi della guerra giusta sono sbagliati, gli editorialisti Yaron Brook e Alex Epstein del “The Objective Standard”, una delle riviste di riferimento del movimento oggettivista, portano ad esempio proprio la guerra in Iraq. Gli americani e gli inglesi, benché siano i vincitori indiscussi della campagna irachena, non sono riusciti a conquistare “cuori e menti” né degli iracheni, né dell’opinione pubblica araba, né di quella europea. E sia Bush che Blair stanno perdendo consensi anche nel loro stesso elettorato, mentre una guerriglia a bassa intensità prosegue in Iraq. Questo perché la popolazione irachena che appoggiava Saddam Hussein non si sente affatto sconfitta. In Germania e in Giappone la guerra finì subito dopo la loro resa, proprio perché la volontà di combattere delle popolazioni fu piegata in cinque anni di sconfitte e bombardamenti. I tedeschi e i giapponesi tuttora pensano che la guerra di aggressione non paga, che i regimi del secolo scorso erano colpevoli di averli portati alla distruzione contro un nemico più potente. Non si può dire la stessa cosa per gli iracheni, né per i palestinesi, né tantomeno per gli Hizbollah. Qual è, allora, il criterio morale che una nazione aggredita dovrebbe seguire per combattere e vincere la guerra? Quello dell’auto-difesa, sostengono gli oggettivisti, non quello della “guerra giusta”. L’auto-difesa mira prima di tutto ad ottenere la sicurezza dei propri cittadini tramite una sconfitta decisiva dell’aggressore e, nel corso della guerra, alla minimizzazione delle perdite dei propri soldati. Scrivono Brook ed Epstein: “Raggiungere il fine dell’auto-difesa vuol dire ripristinare completamente la protezione dei diritti individuali e dunque il ritorno a una vita normale in seguito alla completa eliminazione della minaccia esterna”. E’ dovere del difensore minimizzare le proprie perdite e non le perdite dei civili nemici, soprattutto se ciò comporta maggiori rischi. Ayn Rand riteneva che la morte di civili innocenti fosse sempre responsabilità dell’aggressore: la morte di centinaia di migliaia di tedeschi sotto le bombe alleate non è imputabile tanto ai comandi alleati, quanto a Hitler, che li ha trascinati nel suo folle progetto di conquista. Ed anche ai civili tedeschi stessi, che invece di ribellarsi hanno preferito seguire acriticamente il loro capo. Questo discorso vale ancor di più nelle guerre mediorientali, dove gruppi di terroristi usano la popolazione (che in molti casi li osanna) come un vero e proprio scudo umano, pronti a chiedere la compassione del mondo alle prime vittime civili. Nel combattere la guerra nel Libano, Israele sta seguendo maggiormente il criterio dell’auto-difesa: fa tutto quanto è necessario per rendere nuovamente sicure Haifa e le cittadine del Nord dalle continue aggressioni di Hizbollah, cerca di eliminare in modo permanente la capacità di combattere del nemico terrorista. Per permettere ai cittadini israeliani di tornare a vivere una vita normale.

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