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L'Opinione Rassegna Stampa
17.05.2006 Il terrorismo islamista: un fenomeno mal compreso
intervista a Magdi Allam

Testata: L'Opinione
Data: 17 maggio 2006
Pagina: 3
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Intervista con Magdi Allam: Le quinte colonne italiane del terrorismo islamico»
Su L'OPINIONE di mercoledì 17 maggio 2006 Stefano Magni intervista Magdi Allam su come l'opinione pubblica italiana si confronta al fenomeno dei terrorismo islamista.
Ecco il testo:

Terroristi suicidi considerati “resistenti”, Israele equiparato al nazismo, predicatori della jihad difesi da associazioni dei diritti umani. In questa nuova fase storica che si è aperta con l’11 settembre, l’opinione pubblica italiana ha perso la bussola? Ne abbiamo parlato con Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera, il quale ha appena pubblicato un libro dal titolo molto significativo: “Io amo l’Italia – ma gli Italiani la amano?”. Mentre lo intervistiamo, infuria la polemica tra la Comunità Ebraica e il quotidiano Liberazione, organo di Rifondazione Comunista, che ha appena pubblicato una vignetta che raffigura la barriera difensiva di Israele come il recinto del campo di sterminio di Auschwitz. “È un atteggiamento che sottintende l’ostilità preconcetta nei confronti di Israele” – commenta Magdi Allam – “che non vede le ragioni per cui quel muro è stato costruito, che non considera il beneficio di quel muro per la popolazione israeliana, la quale ha visto calare drasticamente il numero degli attentati suicidi palestinesi in Israele. È un approccio che continua a perpetuare il luogo comune del terrorismo reattivo (mentre il terrorismo è aggressivo) e che non vuol mettersi nei panni delle vittime. Alla fine giustifica il terrorismo e pone quantomeno sullo stesso piano vittime e carnefici”

Questo atteggiamento preconcetto anti-israeliano fa bene alla causa dei Palestinesi?
No, perché è il terrorismo il principale nemico del popolo palestinese. Il terrorismo è il principale ostacolo alla pace e alla costruzione di uno Stato palestinese indipendente. Lo Stato palestinese è ormai una prospettiva condivisa dalla maggioranza degli israeliani e a impedirlo è soltanto il terrorismo e l’ideologia che lo alimenta, fondata sul rifiuto dell’esistenza di Israele.

L’altra polemica che infuria in questi giorni riguarda il rapimento di Abu Omar, che viene presentato come una grave violazione dei diritti umani. E’ un passo indietro verso uno stato di polizia o un metodo necessario per combattere la guerra al terrorismo?
Il problema si pone perché l’Italia non è consapevole del fatto che siamo in guerra. Non è consapevole che c’è una guerra scatenata contro tutta la civiltà occidentale e di conseguenza l’enfasi viene posta sull’applicazione formale delle leggi. Non si considera la realtà del contesto. Gli Americani, resi consapevoli, purtroppo, dalla tragedia dell’11 settembre, hanno deciso di cambiare regole. Io credo di comprendere che il personaggio in questione è un pericoloso predicatore d’odio, è un apologeta del terrore e non possiamo metterci nella condizione di chi pone sullo stesso piano il terrorismo e chi lo combatte.

Qual è, allora, il confine tra chi esprime liberamente una sua opinione e chi fa apologia al terrore?
Noi dobbiamo far riferimento sempre all’esperienza. Se noi analizziamo la genesi degli attentati terroristici, individuiamo nella predicazione violenta l’inizio del processo. Il lavaggio del cervello iniziale porta alla “produzione” del terrorista. La predicazione violenta non si può considerare separatamente da tutto il percorso che sfocia nell’attività terroristica vera e propria. La predicazione violenta, dunque, implica l’istigazione a delinquere. Quando si nega a Israele il diritto di esistere, anche usando un eufemismo come: “io sono favorevole ad un unico stato democratico in cui convivano ebrei, musulmani e cristiani”, in un contesto dove Israele oggi esiste, ma in futuro non dovrà più esistere, si sottintende il ricorso alla violenza per cancellare l’attuale Stato di Israele. Ecco perché anche una frase che potrebbe essere considerata normalmente come una libera opinione, dovrebbe invece essere considerata come apologia del terrorismo ed essere sanzionata come tale, se viene calata nel contesto attuale, in cui la negazione dell’esistenza di Israele è il principale collante ideologico che consente a questo terrorismo di fare proseliti e di creare un bacino di contiguità all’interno di altri estremismi presenti in Occidente. Noi non possiamo considerare la libertà di espressione decontestualizzandola. Non possiamo far finta di non vedere che oggi la nostra stessa vita è minacciata dal terrorismo. La vita è la premessa della libertà: senza di essa la libertà non potrebbe manifestarsi.

Ciò che fa paura di questo conflitto, però, è la sua durata indeterminabile. Non c’è una potenza nemica che si può sconfiggere, ma gruppi trasversali e senza confini. Non rischiamo di rimanere eternamente in stato di guerra?
Il terrorismo non è un nemico eterno. E’ sicuramente un fenomeno di lunga durata ed è un prodotto di un processo di involuzione religiosa, ideologica e politica nei Paesi arabi e musulmani, ma è anche un fenomeno che cambia giorno dopo giorno e viene sempre più isolato all’interno degli stessi Paesi musulmani. Per un fatto molto semplice: la maggior parte delle vittime del terrorismo islamico sono musulmani. E i musulmani stanno sempre più comprendendo che se non combatteranno la radice dell’odio che alimenta questo terrorismo, non riusciranno mai a disfarsene. Dar vita ad una cultura del rispetto richiederà del tempo, però il fatto stesso che già oggi noi possiamo registrare una ribellione all’interno dei Paesi musulmani, la crescita di un movimento liberale laico (che oggi è ancora confinato all’interno di siti Internet, come Elaph e Middle East Transparent) e che ha come protagoniste tante donne musulmane, fa capire come il terrorismo, in futuro, sarà emarginato e definitivamente sconfitto. Oggi viviamo ancora in una fase di piena attività del terrorismo, ma questo non esisteva in un passato recente e non esisterà nemmeno in futuro. Non è strutturale all’Islam.

In Occidente ci sono delle ideologie che fiancheggiano il terrorismo. Ma è nato prima l’uovo o la gallina? E’ l’islamismo che ha attinto dalle ideologie totalitarie occidentali, o sono queste che vedono l’islamismo come un compagno di strada?
Sono due fenomeni distinti, ma legati strettamente tra loro: c’è un terrorismo nato all’interno del mondo arabo e musulmano, come quello in Algeria; e c’è un terrorismo che nasce da una vita condotta in Occidente che ha finito per generare un rapporto di amore e odio. Amore per la materialità dell’Occidente e odio per la sua spiritualità, come nel caso di Bin Laden. Il problema è che oggi l’Occidente si è trasformato in una roccaforte del terrorismo islamico, che trova sostegno ideologico anche in altri estremismi. E’ una cultura dell’odio trasversale. Nel mio libro “Io amo l’Italia – Ma gli Italiani la amano?” ho riportato anche un testo tratto dal sito Internet del campo anti-imperialista: un omaggio pieno di amore e di lode alla terrorista suicida belga che si è fatta esplodere in Iraq. E mi sono domandato: come è possibile? Gente dell’estrema sinistra, atea, che elogia una terrorista suicida islamica? Lo scopri leggendo il testo: c’è l’antiamericanismo, c’è l’odio nei confronti di Israele, l’odio per il capitalismo e per la civiltà occidentale. Questi sono i tratti comuni tra i due estremismi. Se vogliamo, l’Occidente, da questo punto di vista, ha un nemico ancor più insidioso rispetto a quello presente nei Paesi islamici. E certamente l’Occidente ha il compito, non meno impegnativo, di riattribuirsi un’identità e risultare credibile, in primo luogo per la propria gente, prima di avere le carte in regola per vincere la sfida contro il terrorismo islamico.
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