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L'Opinione Rassegna Stampa
08.05.2006 L'Iran promuove apertamente il terrorismo, il regime egiziano lo invoca come pretesto per difendere se stesso
stati canaglia e dittature del Medio Oriente

Testata: L'Opinione
Data: 08 maggio 2006
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni - Martin Pillitteri
Titolo: «L’Iran promuove il terrorismo, lo dichiara e se ne vanta pure - Per Mubarak l’Egitto è sempre minacciato»
Da L'OPINIONE di lunedì 8 maggio 2006 un articolo di Stefano Magni sullo spudorato sostegno al terrorismo da parte dell'Iran:

 L’Iran fa paura perché minaccia di usare l’arma del terrorismo come rappresaglia a un attacco americano. È questo il motivo principale della prudenza delle diplomazie e degli analisti occidentali. Ahmadinejad, sin dall’anno scorso, dichiara che a un attacco risponderebbe colpendo “gli interessi occidentali ovunque nel mondo”. La settimana scorsa ha aggiunto che il primo ad essere colpito sarà (ovviamente) il popolo israeliano. Con queste dichiarazioni, però, gli Iraniani non fanno altro che ammettere la loro colpa principale: di essere uno Stato sponsor del terrorismo islamista internazionale. Non serve nemmeno cercare delle fonti di intelligence per affermarlo: basta leggere su un settimanale iraniano qualsiasi per trovare annunci pubblicitari di questo genere: “Per essere pienamente preparati contro i nemici dell’Islam e della sacra Repubblica Islamica, per proteggere i fondamenti dell’Islam, la Guarnigione degli Amanti del Martirio sta organizzando una divisione di martiri per ogni provincia del Paese, formate da coloro che aspirano al martirio e da eroiche forze popolari, fornendo loro un addestramento specializzato. Noi chiediamo ai nostri devoti fratelli e alle nostre devote sorelle, che sono consapevoli e determinati a difendere l’Islam, di fornirci due loro foto, una copia della loro carta di identità e di riempire il modulo che alleghiamo.

Spedire il tutto al seguente indirizzo…”. Questo annuncio, con tanto di modulo da compilare e indirizzo era apparso sul settimanale Parto-Sokhan lo scorso luglio. In Iran il sostegno al terrorismo suicida è talmente esplicito da risultare ingenuo. Lo scorso ottobre, ad esempio, il terrorismo è stato pubblicamente esaltato in una cerimonia ufficiale per reclutare 40.000 aspiranti suicidi. Non c’è niente di nascosto nelle intenzioni del regime iraniano, insomma. Anche Ahmadinejad stesso, nei suoi discorsi più sinceri, è giunto a definire il “martirio” come la “più alta delle forme d’arte”. Difficile trovare un regime contemporaneo che esalta a tal punto la violenza e la sua bellezza. Forse, per un europeo medio, occorre risalire a prima della I Guerra Mondiale per trovare alcuni cantori della bella morte e della bella guerra. E anche in quel caso non si parlava di esaltazione del terrorismo, non si parlava di suicidio a scopo omicida, ma di guerra convenzionale, alla luce del sole.

Il terrorismo sponsorizzato dall’Iran non è solo locale, ma proviene da tutto il mondo musulmano ed è esportato all’estero. Un ufficiale disertore della Guardia Rivoluzionaria iraniana ha parlato di ben 20 campi di addestramento per terroristi in territorio iraniano, sotto la supervisione e il comando della Guardia Rivoluzionaria, in particolare delle Forza Qod, la branca della Guardia per le operazioni internazionali: “Le Forze Qod hanno un network molto ramificato” – spiega l’ex ufficiale a Iran Focus – “che sfrutta le strutture delle ambasciate iraniane e degli uffici commerciali, delle attività culturali e di alcune organizzazioni religiose”. Il tutto per “reclutare islamisti radicali in tutte le comunità musulmane in Occidente. Dopo un addestramento preliminare e i primi controlli nei Paesi d’origine, le reclute sono spedite in Iran passando da Paesi terzi e finiscono nei campi di addestramento gestiti dalle Forze Qod”. La destinazione finale? “L’Iraq, seguito dai territori palestinesi, è diventato il punto focale delle attività delle Forze Qod. Molte delle reclute provengono da queste due aree, ma altri arrivano da un gran numero di paesi, compresi gli Stati arabi del Golfo Persico e del Nord Africa, nonché dal Sud-Est asiatico. In molti campi di addestramento, i sunniti sono più numerosi degli sciiti”.

I servizi segreti israeliani da tempo sostengono che il terrorismo palestinese è, non solo foraggiato, ma anche infiltrato direttamente da terroristi addestrati in Iran. Hizbollah, che continua a combattere Israele dal Libano, è emanazione diretta della Repubblica Islamica, della sua ideologia e della sua politica estera rivoluzionaria. Ma è in Iraq che sono rivolte le maggiori attenzioni della guerra sotterranea iraniana. L’ordigno esploso a Nassiriya che ha provocato la morte dei nostri tre militari, ha riportato drammaticamente in luce un fenomeno di cui si parla poco: la bomba era, con tutta probabilità, uno dei tantissimi ordigni che dall’Iran vengono fatti affluire nel Sud dell’Iraq. Le infiltrazioni di esplosivi e agenti iraniani hanno provocato numerosi incidenti militari e altrettante proteste da parte delle autorità irachene. I confini occidentali dell’Iran (con l’Iraq e con la Turchia) sono molto insicuri, al punto che, per colpire unità di ribelli curdi, l’artiglieria iraniana ha aperto il fuoco contro il territorio turco e iracheno, provocando l’ennesimo incidente militare. Durante la guerra del 2003, secondo un’inchiesta condotta dal Time l’estate scorsa, gli Iraniani infiltratisi clandestinamente in Iraq ammonterebbero a 12.000. Però: “prima della guerra non c’era terrorismo”. Così si dice oggi dell’Iraq. Ci scommettiamo che si dirà la stessa cosa dell’Iran, nel caso dovesse scoppiare un conflitto?

E uno di Martin Pillitteri sul regime egiziano che, proclamando la necessità di far fronte alla minaccia terroristica, mira in realtà ad accrescere il proprio potere limitando ancora la già scarsa libertà dei suoi sudditi.
Ecco il testo:
 
Il governo egiziano ha rinnovato la legge dell’emergenza. Essa vieta agli egiziani di riunirsi in assemblee dove ci sono più di tre persone, proibisce la libertà di stampa e permette alla polizia di arrestare eventuali sospetti senza prove e tenerli in carcere arbitrariamente. Questa legge, promossa dallo stesso Mubarak dopo l’assassinio di Sadat, è l’oggetto del contenzioso tra i conservatori del potere nell’entourage di Mubarak e le aspirazione di rinnovamento politico e civile della popolazione egizia. Nonostante le promesse del rais di accelerazione del processo democratico, alla prova dei fatti essa è stata rinnovata senza se e senza ma.

Infatti, pressato dall’amministrazione americana, il regime egizio aveva fatto intendere come la legge in questione sarebbe stata sostituita con misure ad hoc contro il terrorismo. Dopo l’attentato di Dahab però, l’establishment egizio l’ha estesa per altri due anni provocando le ire di tutti gli egiziani i quali sanno benissimo che questo pacchetto emergenza non è concepito per difenderli, bensì per tutelare il regime stesso. Chi aveva delle speranze che l’Egitto potesse diventare una forza trainante nel processo di democratizzazione e secolarismo nel medio oriente, dovrebbe guardare con realismo al fatto che tutte le istanze a favore di un processo democratico esposte in campagna elettorale da Mubarak, sono state smentite dai fatti: il regime ha fatto sparare ai votanti che si recavano ai seggi, fatto arrestare e condannare a 5 anni di lavori forzati l’unico vero riformista Ayman Nour, negato i permessi per la formazione di nuovi partiti, e fatto perseguire un centinaio di giudici che hanno protestato per le frodi elettorali avvenute durante le ultime elezioni presidenziali. L’unico atto permissivo è stato quello di lasciar entrare in parlamento quasi un centinaio di fratelli musulmani.

C’erano le condizioni di emergenza per rinnovare una delle leggi che ha contribuito al collasso della società civile e democrazia egiziana a discapito del nepotismo e del fondamentalismo? Secondo i giornali del regime la decisione era inevitabile a causa della minaccia del terrorismo in Egitto che guarda caso attribuiscono esclusivamente alla situazione in Irak e in Palestina. Alla fine il copione è sempre lo stesso. I regimi arabi devono sempre contare su una congetturata minaccia per giustificare una concentrazione del potere. Per anni la minaccia è stata l’ipotetica espansione della “grande” Israele, da oggi è il terrorismo omettendo trattasi di matrice islamica locale.

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