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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.11.2021 Winston Churchill, l'uomo che fermò Hitler
Commento di Antonio Carioti

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 novembre 2021
Pagina: 39
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «Il leader che si oppose al nazismo. Siamo tutti in debito con Churchill»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/11/2021, a pag. 39, con il titolo "Il leader che si oppose al nazismo. Siamo tutti in debito con Churchill", l'articolo di Antonio Carioti.

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Antonio Carioti


Splendore e viltà di Erik Larson. Churchill e la seconda guerra mondiale  dal numero 10 di Downing StreetWinston Churchill - la copertina (Neri Pozza ed.)

Winston Churchill è un mito, tuttora rinverdito dalla cinematografia, ma anche un bersaglio, perché certo il personaggio aveva caratteristiche piuttosto sgradevoli per la sensibilità dei giorni nostri, acuita da tanti decenni di pace nei quali si è perso per molti versi il senso di quanto la storia sia tragica. Splendore e viltà, il libro di Erik Larson oggi in edicola con il «Corriere», ce lo mostra nel momento più difficile e al tempo stesso più glorioso della sua lunghissima carriera politica: quando venne chiamato a guidare la Gran Bretagna mentre le armate di Adolf Hitler stavano travolgendo la Francia, nel maggio del 1940, e per un anno il suo Paese si trovò a combattere da solo contro le potenze dell'Asse (alla Germania in giugno si era aggiunta anche l'Italia fascista) che dominavano l'Europa continentale. Non si trattava soltanto di fronteggiare gli attacchi dell'aviazione tedesca che miravano a neutralizzare le forze aeree britanniche in vista di un'invasione oltre la Manica, nella famosa «battaglia d'Inghilterra». C'erano anche i sommergibili del Terzo Reich che colpivano il naviglio di sua maestà. E in Nord Africa si lottava per il controllo del Mediterraneo: finché si trattava di fronteggiare gli italiani tutto filò liscio per le truppe del Commonwealth, ma all'inizio del 1941 sbarcò in Libia il brillante generale tedesco Erwin Rommel e contro il suo Afrika Korps fu tutt'altra musica. Anacronismo Non è ragionevole misurare con il metro di oggi un politico che era nato nel 1874 Churchill, in quell'anno terribile tra il 1940 e il 1941 raccontato da Larson, prima che Hitler si lanciasse nella folle avventura d'invadere l'Unione Sovietica, ebbe il grande merito di tenere la barra dritta, di non cedere alle lusinghe della Germania, che avrebbe volentieri concluso una pace separata con Londra per rivolgere poi tutte le sue forze militari verso est. Alcuni — di solito in Italia si tratta di nostalgici del Duce — gliene fanno persino una colpa, così come lo accusano di cedevolezza nei riguardi di losif Stalin. In realtà Churchill aveva capito la natura profonda del regime di Hitler, lo considerava giustamente una minaccia mortale per i valori dell'Occidente liberale, anche interpretati in senso conservatore. E quando il dittatore tedesco gli fece il favore di gettarsi in un'impresa temeraria nelle sconfinate pianure russe, non poteva non approfittarne, anche a costo — lui, un anticomunista granitico della prima ora — di stringere un'alleanza con il despota del Cremlino. Del resto l'obiettivo principale del premier britannico era un altro, come osserva giustamente Larson: trascinare in guerra dalla propria parte gli Stati Uniti, la cui potenza industriale vedeva giustamente come garanzia di vittoria. Non fu un'impresa facile, perché negli Usa l'isolazionismo aveva basi solide: ci volle il proditorio attacco giapponese a Pearl Harbor per convincerli a prendere le anni. Oggi però le prevalenti accuse postume contro Churchill sono di tutt'altro tenore rispetto a quelle della destra estrema. Alla base di un suo monumento hanno scritto l'infamante epiteto di «razzista». E gli si addebita di aver compiuto un genocidio lasciando morire di fame i bengalesi durante la Seconda guerra mondiale per assegnare la massima priorità agli obiettivi bellici. In realtà le accuse riguardanti la carestia che effettivamente colpì il Bengala tra il 1943 e il 1944 sono ampiamente esagerate, mentre vale la pena di soffermarsi sugli attacchi contro la visione del mondo di Churchill, che era sicuramente quella di un uomo che credeva nella «missione civilizzatrice» dell'Impero britannico — il «fardello della uomo bianco» di cui parlava Rudyard Kipling — e aveva gravi pregiudizi verso le popolazioni extraeuropee, pur apprezzando, per esempio, il valore dei soldati indiani arruolati sotto le insegne di Londra. Il fatto è che misurare con il metro di oggi un leader nato nel 1874 significa cadere in un palese anacronismo, dimenticare che ogni epoca ha le sue convinzioni diffuse e i suoi errori. Soprattutto sul piano storico non si può confondere l'eurocentrismo otto-novecentesco, fondato su un'idea di progresso forse ingenua e certamente ingiusta verso i popoli africani e asiatici, con l'ideologia razzista che divide gli esseri umani in superiori e inferiori non per questioni di sviluppo civile, ma su base biologica agitando al mito del sangue. In quei giorni del 1940 e del 1941, mentre si preparava la Shoah, Churchill era schierato con tutte le sue energie dalla parte opposta al razzismo. E una sua sconfitta avrebbe aperto prospettive orribili, una volta che l'Europa intera fosse stata saldamente in mano agli sterminatori di Auschwitz. Il premier britannico aveva difetti e debolezze, come sottolinea Larson nel suo libro, ma in quella lotta titanica fu il difensore della libertà. Non solo quella dei britannici, ma quella di tutti gli uomini, compresi gli italiani e i tedeschi suoi nemici.

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