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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.08.2020 Il silenzio di Pio XII sulla Shoah
Analisi di Antonio Carioti

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 agosto 2020
Pagina: 45
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «La Shoah e il Vaticano diviso. Vinse la scelta del silenzio»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/08/2020, a pag. 45, con il titolo "La Shoah e il Vaticano diviso. Vinse la scelta del silenzio", l'articolo di Antonio Carioti.

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Antonio Carioti

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Adolf Hitler, Pio XII

La questione del silenzio di Pio XII sulla Shoah esplose negli anni Sessanta ma il problema era già ben presente allo stesso Papa e ad altri esponenti della Chiesa durante la guerra. Tanto che il gesuita padre Pietro Tacchi Venturi, addetto in precedenza al rapporti della Santa Sede con il regime fascista, propose nel dicembre 1943, due mesi dopo la razzia del 16 ottobre nel ghetto di Roma, di presentare una nota verbale di protesta alle autorità tedesche per le deportazioni in corso in Italia. E tuttavia non se ne fece nulla, anche perché un altro eminente prelato e futuro cardinale, Angelo Dell'Acqua, richiesto di un parere, criticò il testo e suggerì in un suo promemoria di lasciar perdere. I due documenti, rimasti finora inediti, sono emersi grazie alla decisione, assunta da papa Francesco, di aprire gli archivi vaticani per quanto riguarda il pontificato di Eugenio Pacelli, durato dal 1939 al 1958. Li presenta lo storico americano David Kertzer, al quale sono stati segnalati dal collega italiano Tommaso Dell'Era, sul sito web della rivista «The Atlantic», nell'ambito di un articolo dedicato al «caso Finaly»: l'odissea, su cui lo stesso Kertzer si propone dl tornare più ampiamente insieme allo studioso Roberto Benedetti, di due piccoli fra teli ebrei francesi, rimasti orfani e fatti battezzare dalla direttrice cattolica dell'asilo dove erano rimasti nascosti per sfuggire alla persecuzione, che solo dopo una lunga battaglia legale e complesse trattative vennero affidati alla zia residente in Israele. «Entrambe le vicende riflettono il radicamento del pregiudizio antiebraico nelle gerarchie ecclesiastiche anche durante il genocidio perpetrato dai nazisti, di cui il Vaticano era ben informato, e persino dopo la guerra» di chiara al «Corriere» Kertzer. «Nel 1953 Giovanni Battista Montini — continua — sull'affare Finaly seguì la linea del Sant'Uffizio, per cui i due bimbi dovevano essere educati nella fede cattolica. Eppure in seguito, divenuto papa Paolo VI, avrebbe segnato una svolta nei rapporti tra la Chiesa e il mondo ebraico con la dichiarazione Nostra retate del Concilio Vaticano II». Torniamo ai documenti del 1943. Il giudizio di Kertzer è netto: «La nota proposta da Tacchi Venturi, per quanto il suo scopo fosse indurre i tedeschi a cessare le deportazioni, non era benevola verso i perseguitati. Parlava dl "gravi indiscutibili inconvenienti causati dal giudaismo quando arrivi a dominare o a godere di molto credito in una nazione". E sosteneva che l'influenza ebraica in Italia era già stata limitata dalle leggi razziali del fascismo e quindi non si vedeva la necessità di misure brutali come quelle poste in atto dalle autorità di occupazione tedesche». Più articolata la valutazione dello storico Andrea Riccardi, autore del libro L'inverno più lungo (Laterza) su Roma e il Vaticano sotto l'occupazione nazista: «Tacchi Venturi non era certo un filosemita. Dopo la caduta del fascismo il 25luglio 1943, aveva fatto presente al governo italiano che forse non conveniva abrogare del tutto le leggi razziali. Tuttavia si rendeva conto della drammaticità di una situazione che, dopo la razzia nel ghetto, vedeva in quel periodo una recrudescenza della persecuzione. Si era anche adoperato a favore di alcuni ebrei. In questo documento, che in parte era già noto (lo richiamo anch'io nel mio libro), si sforza di entrare nella mentalità dei tedeschi, per convincerli che non è utile neppure dal loro punto di vista proseguire in una condotta così brutale. E comunque prospetta un intervento pubblico della Chiesa per "commiserare altamente, innanzi a tutto il mondo, la sorte di uomini e donne non colpevoli di alcun delitto", cioè degli ebrei. E un linguaggio forte, non da diplomatico». Però Dell'Acqua il 20 dicembre 1943 disapprovò il testo preparato da Tacchi Venturi: «E non solo — osserva Kertzer — per evitare di turbare i rapporti con la Germania usando espressioni di condanna a suo avviso troppo forti o esplicite. Dell'Acqua, pur consapevole della gravità delle persecuzioni naziste, scriveva che comunque "diffidare dell'influenza degli ebrei" poteva essere "cosa assai opportuna". Ricordava i provvedimenti presi in passato dai pontefici proprio "per limitare l'influenza degli ebrei". E suggeriva soltanto di parlare con l'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, "raccomandandogli che non si aggravi la già grave situazione degli ebrei". Un atteggiamento di carattere esclusivamente umanitario, dal quale comunque traspare la persistenza di un'antica avversione che nemmeno la Shoah riusciva ad attenuare». Secondo Riccardi, lo scritto di Dell'Acqua «riflette da una parte una scarsa comprensione della tragedia in corso, dall'altra un'impostazione rigidamente diplomatica. Si chiede se sia il caso di rinfacciare ai tedeschi le loro atrocità, prendendoli di petto, e consiglia un atteggiamento più morbido. Evidentemente non aveva sviluppato verso le vittime dei nazisti la pietas che troviamo In altri esponenti della Chiesa». Colpisce comunque la frase con cui Dell'Acqua concludeva il suo promemoria, affermando che «bisognerebbe anche far sapere ai Signori ebrei di parlare un po' meno e di agire con grande prudenza...». Si riferiva a un popolo vittima di un'azione spietata di annientamento. «Sono parole che suonano sprezzanti - nota Riccardi - nelle quali si può avvertire un fondo antisemita. Ma credo che rivelino soprattutto l'inadeguatezza di un funzionario vaticano di fronte a una situazione senza precedenti, della quale non coglieva le spaventose implicazioni».

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