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Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.08.2012 Hillary Clinton contraria al divieto del burqa
Massimo Nava in piena condivisione

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 agosto 2012
Pagina: 1
Autore: Massimo Nava
Titolo: «Se anche il Burqa divide Usa ed Europa»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/08/2012, a pag. 1-32, l'articolo di Massimo Nava dal titolo "Se anche il Burqa divide Usa ed Europa".

Ambiguo il pezzo di Massimo Nava, ambiguo fino alle ultime due frasi, dove, tutto si chiarisce. Massimo Nava scrive : "La vecchia Europa (...)è alla ricerca di un nuovo equilibrio fra libertà di coscienza individuale e riconoscimento dell'individuo nella comunità religiosa di appartenenza. Riconoscimento che in alcuni casi si spinge al controllo dell'individuo stesso, del suo modo di presentarsi in pubblico, del suo corpo. Ma è proprio qui che finisce la libertà e comincia la regressione.". Nava, insomma, condivide la definizione di Hillary Clinton. Vietare il burqa sarebbe una forma di "regressione della libertà religiosa".
Niente di più diverso dalla realtà. La laicità non limita la libertà religiosa. Semplicemente la definisce per ciò che è, un qualcosa di privato.
Il burqa, poi, non ha nulla a che vedere nè con cultura, nè con religione, ma solo con misoginia e discriminazione della donna. E' un simbolo di segregazione e sottomissione. Non c'è 'libertà' di portare il burqa.
Per altro non è ben chiaro per quale motivo la definizione di 'regressione religiosa' venga applicata solo al divieto del burqa. In Francia la legge sulla laicità vieta l'ostentazione di tutti i simboli religiosi, senza eccezioni. Ma Clinton non vede regressione religiosa nel divieto  di ostentare crocifissi e kippà. Perchè il burqa dovrebbe fare eccezione ?
Ecco l'articolo:

Proibire il burqa, come deciso in Francia e Belgio (e come vorrebbe una legge in discussione in Italia) è un segnale di regressione della libertà religiosa in Europa.
A sostenerlo non è qualche predicatore islamico della «banlieue» parigina, bensì Hillary Clinton, a commento dell'annuale rapporto del Dipartimento di Stato sulla libertà religiosa nel mondo. Il rapporto (riferito al 2011) denuncia le continue aggressioni contro cristiani in Africa, la repressione cinese in Tibet, la crescita dell'antisemitismo, ma l'analisi non risparmia il Vecchio Continente, quasi che gli europei avessero abolito l'editto di Nantes e fossero avviati a nuove guerre di religione. Il giudizio, per quanto sommario, merita tuttavia qualche riflessione. È ovvio che alcune leggi di Stati europei non vengono messe sullo stesso piano delle stragi di cristiani in Nigeria, o di copti in Egitto, ma la concezione americana e anglosassone della libertà di culto non prevede altri limiti che non siano il rispetto delle libertà individuali. Tende quindi a considerare divieti di abbigliamento o di segni religiosi ostentati come forme di repressione/regressione. L'America che teorizza il comunitarismo e tollera anche le sette più fanatiche o folkloristiche ha quindi difficoltà a comprendere l'approccio laico della legislazione francese (o belga) che — come ha ricordato ieri il portavoce del Quai d'Orsay — considera l'insegnamento e i servizi pubblici una zona neutra di rispetto e tutela della libertà del cittadino. In questa visione, proibire il burqa non significa ledere la libertà di culto, ma difendere i diritti della persona e in particolare della donna. È opportuno ricordare che la proposta di divieto italiana è sostenuta da una deputata di origine marocchina.
È probabile tuttavia che i rilievi del dipartimento di Stato americano non nascano tanto dalla preoccupazione per una legge oggetto di polemiche negli stessi Paesi in cui è stata approvata, quanto dal clima sociale e politico che l'ha provocata. In questo ambito, è un'evidenza che accanto a forme di antisemitismo, in particolare nell'Est europeo, il processo di stigmatizzazione dell'Islam e delle comunità musulmane sia un fenomeno in crescita. Pregiudizi, forme di razzismo e pur ragionevoli esigenze di sicurezza hanno finito per mescolare questioni religiose e problemi di ordine pubblico. In Francia, la strage di Tolosa ha messo in evidenza, oltre alle falle dell'apparato di sicurezza contro il terrorismo di matrice islamica, quanto sia ancora lunga la strada dell'integrazione e quanto invece progredisca la deriva dell'intolleranza e del comunitarismo. In Germania, sono di questi giorni le polemiche scoppiate in seguito alla proposta di proibire la circoncisione e alla discussione, in Bassa Sassonia, di una normativa che dovrebbe consentire a insegnanti, datori di lavoro e operatori sociali di segnalare comportamenti anomali o sospetti di giovani di religione musulmana. Regressione evidente, proprio in uno dei Land più avanzati nel promuovere integrazione, come ad esempio l'insegnamento della religione islamica nelle scuole fin dal 2004.
Nelle società globalizzate e sempre più esposte all'immigrazione, è inimmaginabile mettere un freno al pluralismo religioso. La vecchia Europa, dopo la rinuncia al richiamo alle radici cristiane nel trattato costituzionale, è alla ricerca di un nuovo equilibrio fra libertà di coscienza individuale e riconoscimento dell'individuo nella comunità religiosa di appartenenza. Riconoscimento che in alcuni casi si spinge al controllo dell'individuo stesso, del suo modo di presentarsi in pubblico, del suo corpo. Ma è proprio qui che finisce la libertà e comincia la regressione.

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