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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.11.2010 Pio XII non fece nulla per salvare gli ebrei
La fiction rai non racconta la verità su Papa Pacelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 novembre 2010
Pagina: 51
Autore: Gian Antonio Stella - Paolo Conti
Titolo: «Lo sceneggiato Rai, Pio XII e la Bulgaria - La fiction su Pio XII? Gli intellettuali ebrei dissero sì»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/11/2010, a pag. 51, il commento di Gian Antonio Stella dal titolo " Lo sceneggiato Rai, Pio XII e la Bulgaria ", a pag. 30, l'intervista di Paolo Conti a Ettore Bernabei dal titolo " La fiction su Pio XII? Gli intellettuali ebrei dissero sì ", preceduto dal nostro commento.
Ecco gli articoli:

Gian Antonio Stella - " Lo sceneggiato Rai, Pio XII e la Bulgaria "


Gian Antonio Stella

«Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti figli dell’universo…». Anche chi non è pregiudizialmente ostile a Pio XII, la cui figura è ancora molto discussa come dimostrano i giudizi del mondo ebraico sullo sceneggiato di Raiuno («una patacca», l’ha liquidato il rabbino di Roma, Riccardo Di Segni), si trova sempre a fare i conti con quel messaggio radiofonico del Natale 1942 che cominciava con quelle parole così sproporzionatamente eteree rispetto all’orrore della guerra che stava scannando l’Europa e il mondo: «Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti figli dell’universo…».

Certo, occorre andare coi piedi di piombo nel leggere la storia col metro di oggi. John Cornwell, così convinto delle responsabilità di Pio XII da titolare il suo libro Il papa di Hitler si è poi convinto del contrario: «Aveva una libertà d’azione così limitata che è impossibile giudicare i motivi del suo silenzio durante la guerra, mentre Roma era sotto il tallone di Mussolini e più tardi occupata dai tedeschi».

Detto questo fa male al cuore rileggere (www.vatican.va/holy_father/pius_xii/speeches/1942/documents/hf_pxii_spe_19421224_radiomessagechristmas_it.html)

quel Radiomessaggio del Natale 1942. La deportazione degli ebrei era cominciata da tempo. Il giornale La difesa della razza aveva già pubblicato vignette come quella del luglio 1941 (alla faccia di chi dice: non sapevamo…) con gli ebrei dietro i reticolati dei lager. La «soluzione finale» era avviata. Eppure il Papa, in quel lungo discorso di 6.428 parole (per capirci: quasi il doppio di quelle che saranno necessarie a Giovanni XXIII per aprire il Concilio Vaticano II) non pronunciò mai la parola «ebrei», mai «lager», mai «deportati». E i suoi sostenitori devono aggrapparsi al riferimento «alle centinaia di migliaia di persone le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento». Gli ebrei? Sì, forse, probabile, chissà… Davvero non si poteva fare di più? Mah. Certo impressiona confrontare la prudenza di quel discorso pacelliano con quanto disse durante il Te Deum sul sagrato della cattedrale di Sofia il patriarca metropolita bulgaro, Stefan. Il quale ammonì Re Boris di Bulgaria che Dio lo avrebbe giudicato «dal suo comportamento verso gli ebrei». Dal libro L’uomo che fermò Hitler di Gabriele Nissim, dedicato a Dimitar Pesev, il vicepresidente del Parlamento che incitò alla rivolta morale contro i rastrellamenti, prendiamo il «memorandum al Re» scritto dal patriarca Stefan, a nome del sinodo dei vescovi bulgari: «Preghiamo il re di annullare il provvedimento e di impartire un ordine imperiale per l’abolizione definitiva della legge antiebraica. Con questo nobile gesto Vostra Maestà rimuoverà il sospetto che la Bulgaria sia prigioniera della politica antiebraica di Hitler e permetterà alla nostra patria di non macchiarsi di un orrendo crimine contro l’umanità». E non un ebreo bulgaro se non dalle aree direttamente occupate dai nazisti, ricorda Moni Ovadia che questa storia l’ha portata a teatro, finì ad Auschwitz.

Paolo Conti - " La fiction su Pio XII? Gli intellettuali ebrei dissero sì"

Il commento di Gian Antonio Stella (pubblicato in questa pagina) e la 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di questa mattina (pubblicata in altra pagina della rassegna) sono la risposta alle dichiarazioni di Ettore Bernabei sulla fiction su Pio XII e sul suo ruolo nella Shoah.
Ecco l'intervista:



Ettore Bernabei

ROMA — La fiction su Pio XII prodotto dalla sua Lux Vide sta scatenando molte polemiche, presidente Ettore Bernabei...

«Prima vorrei parlare dei risultati. Con un argomento così complesso e delicato Raiuno ha totalizzato 5.700.000 spettatori battendo di 1.300.000 "Il Grande fratello". Un reality battuto da una realtà tragica e controversa come gli avvenimenti romani tra il luglio ’43 e il giugno ’44».

Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha definito il film tv una «patacca assolutoria».

«Ciascuno è libero di esprimere i propri giudizi. Posso dire che alcuni esponenti della cultura ebraica, che non nomino per riservatezza, avevano visto il film durante il montaggio e lo avevano definito un’opera umana e artistica di valore, certo non da liquidare sbrigativamente. Rispondo così. Questa è una ricostruzione drammaturgica, non un documentario. Sceneggiatori, regista, attori sono professionisti di gran livello. E tutti sono stati rigorosissimi nell’attenersi ai documenti storici ormai noti grazie agli atti del processo di beatificazione di papa Pacelli».

L’accusa è che ci sia stato proprio un intento agiografico.

«Non è così assolutamente. Può immaginare quante pressioni io abbia avuto anche quando ero alla Rai per un’opera veramente agiografica su quel pontefice. Ma non ho voluto proprio perché mancavano i documenti precisi di cui disponiamo oggi. Il racconto che abbiamo proposto parte da due ragazzi ebrei ma contempla tre piani narrativi: ciò che accadeva nel ghetto di Roma; i movimenti nell’alto comando tedesco; tutti gli avvenimenti che si sviluppavano in Vaticano intorno al Pontefice. Proprio per questo non c’è un intento agiografico. Ma solo narrativo, drammaturgico. Abbiamo per esempio attinto dalla deposizione del generale Karl Wolff, incaricato da Hitler di rapire Pio XII e poi sostituito per le sue incertezze, al processo di beatificazione».

Di Segni soprattutto contesta un dato storico. A suo avviso l’intervento di Pio XII non riuscì affatto a fermare il rastrellamento nel ghetto di Roma che, sostiene il rabbino capo, al contrario si concluse secondo i piani.

«Noi non attribuiamo nulla a nessuno. Mostriamo solo l’intervento di un sacerdote tedesco, rettore di un istituto pieno di ebrei rifugiati, che va dal generale Stahel, comandante militare di Roma, e gli chiede di intercedere con Berlino perché la razzia finisca. Vediamo la telefonata, non ne sentiamo il contenuto: solo Stahel che dice "ho cercato di fare il possibile". Ricordo però che, secondo le previsioni della indegna barbarie nazista, gli ebrei da rastrellare a Roma nel calcolo erano 10.000. Alla fine dell’ottobre 1943 ne furono purtroppo deportati, tra la razzia nel ghetto e in altre zone, 2.090. Questo è un dato. Come pure un dato storicamente accertato è che 4.500 ebrei romani furono salvati negli istituti religiosi romani e nella stessa Città del Vaticano per un ordine esplicito di papa Pacelli».

E il silenzio di Pio XII, la mancata protesta internazionale?

«I documenti ci spiegano che preferì azioni concrete come questa a una protesta internazionale che avrebbe recato tragiche conseguenze alla popolazione romana, ebrei inclusi, fino a ciò che era contemplato nei piani sia dei nazisti che degli alleati: la guerra per le vie di Roma. Cioè la sua distruzione. Questo, pacificamente, raccontiamo nel film».

Perché dice pacificamente?

«Perché resto legatissimo all’insegnamento del mio maestro La Pira, sindaco di Firenze, quando andò tra i primissimi nel dopoguerra in uno Stato di Israele ancora teatro di combattimenti. Resto convinto che l’unica via d’uscita, per noi che ci affacciamo su quel gran lago che è il Mediterraneo, sia la convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani».

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