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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.05.2010 Una donna musulmana coraggiosa è favorevole al divieto del burqa
Perchè il titolo del Corriere dice il contrario ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 maggio 2010
Pagina: 16
Autore: Alessandra Muglia
Titolo: «Lubna, la sudanese arrestata per i pantaloni: Sono contro i divieti»

Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Alessandra Muglia dal titolo " Lubna, la sudanese arrestata per i pantaloni: Sono contro i divieti "

Nell'articolo vengono riportate le dichiarazioni di Lubna Hussein, perseguitata dal regime di Omar Bashir in Sudan perchè portava i pantaloni.
Il titolo dell'articolo lascia intendere che Lubna Hussein sia contraria al divieto del burqa. Non è così. Ecco che cosa ha detto riguardo a burqa e niqab : "
Respingo tutte le forme di copertura del viso, sono favorevole al divieto di coprirsi la faccia, ma con qualsiasi indumento, e non soltanto con il burqa o il niqab. E in nome del diritto sacrosanto, che ognuno di noi ha, di guardare in faccia chi gli passa accanto o chi gli sta seduto vicino in metropolitana. Il volto rappresenta l’identità di una persona. Nascondendolo si possono commettere i crimini più nefasti ". Per questo motivo il titolo è fuoriviante. Non è ben chiaro per quale motivo la redazione del Corriere abbia scelto una titolazione così scorretta. Forse perchè non è politicamente corretto che una donna si dichiari contraria al burqa?
o c'è l'intervento della solita " manina infarinata " ?
Ecco il pezzo:


Lubna Hussein

«Ho indossato il niqab la prima volta per scappare dal Sudan. Con il volto coperto, nessuno mi ha riconosciuto». Perseguitata dal regime di Omar Bashir perché indossava i pantaloni, Lubna Hussein è riuscita a beffarsi di chi la voleva costringere a vestirsi da «brava musulmana». E ha usato per il suo piano di fuga l’arma del nemico: l’ampio e lungo vestito che si è vista recapitare un giorno nella sua dimora di Khartoum come monito da un islamista. «Ho visto l’abito e mi è venuta l’idea di fare come molte donne cristiane dell’Arabia Saudita e dell’Iran che riescono a entrare illegalmente in Sudan proprio nascondendosi sotto il niqab». Detto, fatto. «Ero terrorizzata, temevo che la polizia mi potesse riconoscere comunque» racconta via Skype dalla sua nuova casa parigina, dove da novembre divide il suo tempo tra la scrittura e l’impegno civile. Un libro già pubblicato («40 coups de fouet pour un pantalon», 40 colpi di frusta per un pantalone) e un altro in uscita sul Corano e i diritti delle donne, è da poco rientrata dal forum internazionale sui diritti umani di Oslo, dove è intervenuta al fianco di noti attivisti come il russo Garry Kasparov e l’ex presidente polacco Lech Walesa.

Fuggita da un Paese che l’ha messa in carcere perché rivendicava il diritto delle donne a vestirsi come vogliono e a scegliere il proprio destino («contro quell’indecenza che è la legge sulla decenza»), si è ritrovata in uno Stato, la Francia, che vuole obbligarle a non coprirsi, vietando il velo integrale nei luoghi pubblici. C’è chi teme che legiferando oggi sul burqa, Parigi possa domani farlo anche sulla barba o, magari, sui pantaloni. Lei no, non ha di questi timori. «Respingo tutte le forme di copertura del viso, sono favorevole al divieto di coprirsi la faccia, ma con qualsiasi indumento, e non soltanto con il burqa o il niqab. E in nome del diritto sacrosanto, che ognuno di noi ha, di guardare in faccia chi gli passa accanto o chi gli sta seduto vicino in metropolitana. Il volto rappresenta l’identità di una persona. Nascondendolo si possono commettere i crimini più nefasti» si accalora Lubna, 36 anni, vedova da cinque (si era appena sposata con un giornalista di 40 anni più vecchio, per sua scelta, dice), dimessasi da addetta stampa della sede sudanese dell’Onu per non godere dell’immunità, attirare l’attenzione del mondo e portare fino in fondo la sua battaglia sui diritti delle donne. Le foto di lei in pantaloni con un foulard sul capo hanno fatto il giro del mondo la scorsa estate. Ora i capelli ondulati sono a vista, sciolti, a volte raccolti sulla nuca. Lubna distingue: «Non è ammissibile invece il divieto di coprirsi la testa: rivendico la libertà individuale di scegliere cosa mettere sul capo — come su qualsiasi altra parte del corpo, a parte il viso —. Sennò oltre che il velo bisognerebbe proibire anche cappelli e cappucci. E poi perché solo alle donne? Sarebbe discriminatorio rispetto agli uomini. Risulterebbe inoltre un divieto assurdo e impossibile da far rispettare. Controllare il modo di vestire delle persone è cosa da stato di polizia».

Il velo (integrale e non, come l’hijab) è proibito nelle scuole francesi dal 2004, in nome della laicità dello Stato. Ora Parigi si appella alla difesa della dignità della donna per il bando totale di burqa e niqab. E a quanti oppongono motivi religiosi, Lubna, di dichiarata fede musulmana, risponde: «Il Corano non prescrive di coprirsi il volto, anzi alla Mecca è obbligatorio scoprirlo».

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