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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.04.2010 Sarkozy continua la lotta contro il burqa
Il resto d'Europa è pronto ad imitarlo?

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 aprile 2010
Pagina: 18
Autore: Massimo Nava - Abdel Wahab Meddeb - Stefano Montefiori
Titolo: «Linea dura di Sarkozy: Il burqa sarà illegale in tutta la Francia - Quel panno uccide la bellezza sui volti delle donne - Divieti così estesi sono inapplicabili»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/04/2010, a pag. 18, l'articolo di Massimo Nava dal titolo " Linea dura di Sarkozy: Il burqa sarà illegale in tutta la Francia ", l'articolo di Abdel Wahab Meddeb dal titolo "  ", l'intervista di Stefano Montefiori a Olivier Roy dal titolo " Divieti così estesi sono inapplicabili ", preceduta dal nostro commento. Ecco i pezzi:

Massimo Nava : " Linea dura di Sarkozy: Il burqa sarà illegale in tutta la Francia "


Nicholas Sarkozy

PARIGI— La Francia vieterà in modo rigoroso il burqa negli spazi pubblici. Il disegno di legge del governo sarà discusso all’Assemblea in maggio, ha annunciato il portavoce Luc Chatel al termine del consiglio dei ministri. Lo «spazio pubblico» è concetto più vasto del luogo pubblico. In pratica, la Francia vuole proibire il burqa non solo nell’ambito delle istituzioni e dei servizi (scuole, ospedali, amministrazioni, trasporti), secondo quanto era stato immaginato nella prima fase di un dibattito in corso da mesi, ma anche nei luoghi esposti al pubblico, quali ad esempio uffici, mercati, banche, locali.

Nel primo caso sarebbero sufficienti regolamenti amministrativi, equiparabili al divieto di presentarsi a volto coperto (ad esempio il casco integrale del motociclista), ovvero una misura di polizia. Nel secondo, si colpisce la visibilità del burqa, confinato di conseguenza all’ambito privato e al diritto individuale. La distinzione diventa sostanziale e risponde alla volontà del presidente Sarkozy, il quale, con un occhio alla disaffezione dell’elettorato moderato, ha modificato la posizione iniziale, orientata a un messaggio educativo più che repressivo. «Il velo integrale— è il suo pensiero — deve essere considerato un’offesa alla dignità della donna e al principio della parità: il burqa non è benvenuto in Francia». «E’ una legge per arginare un fenomeno che aggrava la deriva comunitaristica e il rigetto dei valori repubblicani», ha commentato Chatel.

Il fenomeno, in verità, è circoscritto. Secondo stime del ministero dell’Interno, non più di duemila donne porterebbero il burqa in Francia (inclusi territori d’Oltremare e Mayotte). Ma la questione va al di là delle cifre per percorrere inquietudini della società e comportamenti elettorali. Il divieto assume un valore emblematico, rispetto a fenomeni più profondi e complicati, come la poligamia, la proliferazione di correnti islamiste, le barriere invisibili che separano molte banlieues dalle regole repubblicane.

Quanto la legge possa trovare un ampio consenso parlamentare e un’effettiva applicazione è tutto da verificare. La strada del disegno di legge aggira le raccomandazioni del Consiglio di Stato, la più alta giurisdizione francese, che ha messo in guardia dai rischi di un divieto generalizzato che non troverebbe fondamenti nel dettato costituzionale, venendo in qualche modo a ledere il principio delle libertà individuali. Secondo i giudici, ogni applicazione potrebbe innescare un ginepraio di ricorsi e polemiche sulla stampa. Da più parti, si sottolinea il rischio di una reazione identitaria da parte di oltre 5 milioni di musulmani, la maggior parte dei quali è integrata e aderisce a valori repubblicani.

Con il dibattito attorno al burqa, la Francia si avvia a rivivere la traumatica riflessione collettiva sulla legge per la laicità, voluta a suo tempo dal presidente Jacques Chirac. Di fronte a cronicizzate questioni socio-politiche, Sarkozy sceglie una strada analoga: l’esaltazione simbolica dei valori dello Stato francese, senza progredire nella sfera delle disparità e dell’esclusione sociale. Ciò che il dibattito non dice è che il presidente ha dovuto fare concessioni a quelle correnti interne della sua maggioranza che reclamano un ritorno «ai fondamentali» del programma. Correnti che stanno trovando un punto di coagulo attorno al capogruppo Jean-François Copé, giovane stella del gollismo, il quale si è fatto promotore della legge. Copé già sogna un futuro all’Eliseo. Magari al turno successivo, nel 2017. Ma si prepara, facendo il Sarkozy. Quello vero, versione 2007.

Abdel Wahab Meddeb : " Quel panno uccide la bellezza sui volti delle donne "

Semplice usanza e non obbligo, il velo integrale strapazza la libertà, l'uguaglianza e la dignità della donna. Il burqa si moltiplica nello spazio pubblico francese ed europeo. Il volto che sparisce spaventa. Il criterio di un'identità palese scompare. Come rispettare l'integrità del corpo? La conquista secolare dell’habeas corpus non esige forse un volto e un corpo visibili, riconoscibili nella concordanza del nome col viso affinché lo stato civile e il patto democratico funzionino senza equivoci? L'eclissi del viso occulta la luce del volto, dove si riconosce l’epifania divina che ha ispirato lo spirito e il cuore nell’Islam. I sufi vedevano il segno di Dio nel miracolo del volto umano, soprattutto quando esso si adorna di bellezza femminile. L'occultamento del viso con un tessuto nero come quello che avvolge la Ka’ba (il cubo della Mecca, ndr) priva l'umano della zona franca che esigono la politica e l'estetica, l'etica e la metafisica. Il burqa è un crimine che uccide il volto, bloccando l'accesso perpetuo all’altro. E' un tessuto che trasforma le donne in prigione o in feretri semoventi, esibendo nel cuore delle nostre città fantasmi che ostruiscono l'accesso alle verità invisibili del visibile. Il niqab, che pure lascia scoperti gli occhi, è stato proibito negli spazi scolastici e universitari di Al-Azhar, al Cairo, la più alta istituzione sunnita. Il suo capo, il professor Tantawi, ha ricordato che il niqab non è un obbligo divino, una farid'a, né una disposizione del culto, una ibâda, ma una âda, un'usanza. E il muftì egiziano, Ali Juma, conferma questa asserzione: si tratta di un’usanza araba preislamica che l'Islam è in grado di dissolvere. La prescrizione che impone il velo alle donne emana dalla società in cui è nato l'Islam, quindici secoli fa: una società endogama — che incoraggia il matrimonio fra cugini —, dove prevale l'ossessione della genealogia, dove la sessualità è indissociabile dalla filiazione. Il burqa radicalizza l'ossessione dell'uomo di fronte all'incontrollabile libertà della donna. La struttura antropologica che è alle origini del velo è integralmente superata con l'universalizzazione della contraccezione, rendendo effettiva la distinzione tra sesso e filiazione, tra godimento e procreazione. Con la ricerca del solo godimento, si organizzano ontologicamente la libertà e l'eguaglianza dei sessi, che condividono una stessa dignità. Questa situazione situa la condizione dell'umanità moderna lontano dagli arcaismi che l'Islam continua a intrattenere in maniera polemica. Inoltre, con il burqa, siamo confrontati alla strategia dell'erosione lenta. Al di là dei rari casi di adesione religiosa autentica, non bisogna mai perdere di vista che esistono islamisti e anche devoti salafisti che applicano le raccomandazioni del Consiglio europeo della fatwa. In questa istituzione, i militanti sono esortati ad agire nella legalità al fine di ottenere, in Europa, frammenti di visibilità in favore della legge islamica. È quindi il dispositivo giuridico secolare ad essere preso di mira dal burqa. La difesa del velo integrale riesuma valori di altri tempi oggi asserviti a una tradizione immobile. Che paralizza l'invenzione intellettuale e ostacola l'adattamento all’evoluzione dei costumi.

Stefano Montefiori : " Divieti così estesi sono inapplicabili "

Olivier Roy si dichiara contrario al burqa, ma anche ad una legge che lo proibisca. Non è ben chiaro quale sia, allora la soluzione. Forse, in nome del tanto osannato multiculturalismo e del politicamente corretto, continuare a far finta che il problema non ci sia e permettere la sua circolazione per le strade?
Ecco l'intervista:


Olivier Roy

È d’accordo con il divieto del burqa? «No, una proibizione generale — e non solo in certi luoghi come scuole o aereoporti— mi sembra sbagliata e inapplicabile», dice Olivier Roy, specialista francese dell’Islam, dall’autunno scorso professore all’Istituto universitario europeo di Firenze e autore di «La santa ignoranza - Religioni senza cultura» (Feltrinelli).

Che pensa delle donne che lo indossano? «Non credo che, almeno in Francia, siano costrette a farlo da mariti o padri violenti. È una loro scelta, che a me non piace affatto. Ma non farei ricorso a una legge». Ci sono ragioni di sicurezza. «Quelle possono valere in alcune situazioni: per le mamme che vanno a prendere i bambini a scuola o al controllo dei passaporti. Altrimenti si tratta di motivi religiosi, e credo che il governo avrà molti problemi giuridici a questo riguardo». Prevede ricorsi? «Non credo che una legge simile supererà il vaglio del Consiglio di Stato, della Corte costituzionale ed eventualmente della Corte di Strasburgo. Infine, non riesco a immaginare degli agenti che si mettono a togliere veli nelle banlieue». Quante donne sono coinvolte? «Poche centinaia. In maggioranza convertite. Indossano il burqa più per l’esibizionismo del neofita che per l’espressione di una vera religiosità. È solo una moda». Perché Sarkozy ha indurito la sua posizione? «Dopo la batosta alle regionali il presidente ha paura del Front National in forte recupero. Vuole recuperare i vecchi toni da primo poliziotto di Francia».

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