Progettavano un massacro di infedeli arrestati terroristi a Milano
Testata: Corriere della Sera Data: 03 dicembre 2008 Pagina: 18 Autore: Alberto Berticelli, Biagio Marsiglia - Fiorenza Sarzanini - Guido Olimpio Titolo: «Terrorismo, arresti a Milano «Puntavano al Duomo» - «L'Italia uccide a Kabul Dobbiamo vendicarci» - Maroni: situazione nuova e preoccupante Attenzione altissima -Kamikaze «fai da te» presi dalla Rete»
Arrestati a Milano terroristi islamici che progettavano attentati a decine di obiettivi in Lombardia. Di seguito, cronache, analisi, e stralci delle intercettazioni che hanno portato all'incriminazione del gruppo.
Da pagina 18 del CORRIERE della SERA del 3 dicembre 2008, la cronaca di Alberto Berticelli e Biagio Marsiglia "Terrorismo, arresti a Milano «Puntavano al Duomo»":
MILANO — Predicava la pace, preparava la guerra. Anzi, la guerriglia, pianificando attentati a caserme dell'esercito italiano, caserme dei carabinieri e uffici della polizia, immaginando bombe da piazzare nei centri commerciali del Milanese, ma anche in piazza del Duomo e alla Standa, perché «...di questi cani miscredenti ne devono morire tanti in un colpo solo, cento... trecento... anche di più...». Sognava di farsi esplodere come un kamikaze alla guida di un camion imbottito di tritolo, e guadagnarsi così il paradiso «con qualcosa che resterà nella storia». Solo progetti, quelli del marocchino Rachid Ilhami, 31enne, operaio saldatore, in Italia da quando ne aveva dieci, la fedina penale pulita, una moglie, due figli, il più piccolo chiamato Osama in onore di Bin Laden e l'altro, di due soli anni, indottrinato perché imparasse il Corano e a usare il Kalashnikov. Progetti di morte in nome della Jihad, che tali resteranno perché all'alba di ieri lui e l'amico fraterno Abdelkader Ghafir, 43 anni, muratore, sono stati arrestati nelle loro abitazioni di Giussano dalla Digos in esecuzione di un ordine di custodia cautelare emesso dal gip Silvana Petromer (che per altri 5 indagati ha rifiutato l'arresto), su richiesta del pm Nicola Piacente. L'accusa è di terrorismo internazionale (270 bis c.p.) e, per la prima volta in Italia, di concorso esterno alla rete terroristica di Al Qaeda. Di giorno Rachid predicava la bontà nel centro «Pace Onlus» di Macherio, a pochi chilometri dalla villa del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E sempre lì, la notte, durante riunioni clandestine si allenava a fare il terrorista. Studiava come costruire bombe, dal web scaricava di tutto, verificava la potenzialità distruttiva dell'onda d'urto di un'esplosione e intanto mandava perfettamente a memoria i discorsi di Bin Laden, che per suo figlio Youssef è lo «zio Osama». Assieme a Ghafir il marocchino aveva già individuato dove colpire, magari «proprio per Natale ». Ecco gli obiettivi: la caserma dell'esercito «Perrucchetti», la sede del terzo reparto mobile della polizia di Stato in cui si lavora ai permessi di soggiorno, piazza del Duomo, l'Esselunga e il bar Mistral di Seregno, l'Esselunga e la caserma dei carabinieri di Giussano. Ma anche la Standa, un ospedale e una discoteca. La polizia gli stava addosso da un anno. Grazie al gps e a una microspia piazzata sulla vettura lo seguiva e registrava i suoi progetti di morte ovunque andasse.
Sempre Berticelli e Marsiglia, a pagina 18 e 19 del CORRIERE, riportano nell'articolo intitolato "«L'Italia uccide a Kabul Dobbiamo vendicarci»" le intercettazioni che hanno rivelato i piani dei terroristi :
MILANO — Li hanno fermati perché cercavano di contattare qualcuno che potesse vendergli dell'esplosivo e bombole di gas, perché si dicevano oramai pronti a passare all'azione e diventare martiri. «Perché con questi miscredenti — si dicono Rachid e Ghafir mentre stanno girovagando a bordo di una Toyota Corolla tra la Brianza e Milano — non si può trovare il modo di collaborare... pensa agli italiani mandati in Afghanistan, vanno lì e ammazzano solo gli innocenti... dobbiamo praticare la Jihad qui, abbiamo a portata di mano questa roba qui, ...io combatto, giuro che combatto... io e te dobbiamo fare i sopralluoghi, individuare gli obiettivi...». L'integralista Rachid è certamente il più deciso. E quando Ghafir gli dice di sapere che «certi italiani vendono l'esplosivo...» che «...certi italiani per soldi ti vendono proprio di tutto...», Rachid inizia a immaginare. E fantastica ad occhi aperti quello che vorrebbe fare. Sogna addirittura una bomba in piazza del Duomo. «A Natale andrò in Duomo e metterò qualche bomba cinese... le vendono i cinesi... fanno pum... di quelle, con i nostri soldi possiamo comprarne anche cento o duecento pezzi... li mettiamo in una macchina... ». E allora anche Ghafir partecipa al sogno. «Servono le bombole di gas — dice — te lo giuro su Dio... esplode tutto insieme... ci vuole una pianificazione studiata bene...». Ma intanto i pensieri di Rachid corrono già altrove: «Se entrassi in una Standa — dice — li raggrupperei tutti con un insulto perché sono combattenti dei musulmani, perché loro ci ammazzano i figli e allora anche noi dobbiamo ammazzare i loro figli». «Non si può morire nel proprio letto — indottrina il saldatore — c'è una grande differenza tra il morire nel Jihad e morire così... E meglio ancora è se ammazziamo i militari... ». E Ghafir il muratore, in questi giorni a casa per via di un infortunio subito al cantiere, dice che a lui «va bene...», giura che anche lui vuole «morire da martire... non vedo l'ora...». Anzi, a Rachid, l'amico marocchino spiega di averlo già confidato alla moglie: «Io — spiega — ho già avuto il consenso di mia moglie che mi ha detto... "se vuoi andare a combattere per fare guadagnare il paradiso anche a noi, vai pure"... la vera moglie è quella che ti incoraggia per andare al Jihad. Mi ha detto che devo comprarle solo la casa e poi se voglio vado». Sorride, Rachid. E mentre guida piano senza lontanamente immaginare di essere spiato da un rilevatore satellitare e di essere intercettato, annuisce: «Sì, la casa è importante, così lei può badare ai figli... e poi alla fine moriremo tutti». Già, i figli. Rachid il saldatore, uno che Bruno Megale, il dirigente della Digos di Milano, definisce perfettamente integrato in Italia, di figli ne ha avuti due. A Youssef, il primo, parla chiaro da subito: «Devi imparare a memoria il Corano e devi imparare a usare la spada... Guarda come è bello lo zio Osama... lo zio Osama è grande... Vieni qui Youssef che ti insegno a usare il Kalashnikov, dai... pam... pam... L'Islam deve intervenire con la spada, altrimenti nulla verrà risolto». Tra tutti, credono gli investigatori e scrive anche il gip nella sua ordinanza, il primo reale obiettivo avrebbe potuto essere il «Mistral cafè», il bar con il parcheggio che si trova tra l'intersezione tra via Umbria e via Campania, nelle immediate vicinanze di un megastore dell'Esselunga. Un luogo in cui Rachid Ilhami passava ogni giorno per recarsi al lavoro e per rientrare a casa. Il progetto è di agire alla sera per incendiare le macchine nel parcheggio, quando il locale si riempie di gente: «Queste sono le macchine alle quali ho pensato — immagina Rachid — un giorno, giuro su Dio grandioso... un giorno esco di notte... esco di notte e verso della benzina su tutte». L'amico gli fa notare che nel parcheggio potrebbero esserci le telecamere. Ma Rachid ci ha guardato bene: «No, non ci sono telecamere... accendo il fuoco... però ci vado senza la mia macchina, mi metto una mascherina e vengo a buttare benzina... e poi scappo via da questo giardino».
Sempre sul CORRIERE Fiorenza Sarzanini, a pagina 19 scrive delle reazioni del Viminale,nell'articolo "Maroni: situazione nuova e preoccupante Attenzione altissima"
ROMA — La riunione del Comitato per la sicurezza era stata convocata dopo gli attacchi di Mumbai, ma la coincidenza con gli arresti di Milano è stata l'occasione per il ministro Roberto Maroni per ribadire che «l'attenzione è altissima e le nostre forze di polizia sono in grado di scongiurare rischi derivanti dal terrorismo internazionale ». Perché al Viminale viene presa in grande considerazione l'inchiesta della procura di Milano, anche se si ribadisce che il «progetto è stato fermato ben prima che gli indagati riuscissero a procurarsi l'esplosivo ». E perché dopo quanto accaduto in India, l'allarme per le azioni dei fondamentalisti è tornato alto in tutto il mondo. La Commissione del Congresso Usa sulla prevenzione contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa sostiene che «senza un'azione preventiva è molto probabile che i terroristi possano effettuare un attacco nucleare, biologico o con altre armi non convenzionali entro i prossimi cinque anni». In un rapporto si sottolinea come «i margini di sicurezza dell'America si stanno restringendo anche a fronte di Paesi come Iran e Corea del Nord che stanno sviluppando programmi nucleari militari». Ben diversa la situazione italiana, anche se in serata il titolare dell'Interno va al Tg1 e sostiene la «necessità di prendere provvedimenti per mettere in sicurezza i cittadini e combattere il terrorismo internazionale ». Commentando quanto emerso dalle indagini svolte dalla Digos milanese, Maroni parla di «situazione nuova e preoccupante perché per la prima volta parliamo di persone che avevano progettato un attentato in Italia ed è importante che si sia riusciti a intervenire prima che si muovessero». In realtà negli anni passati altre inchieste avevano portato all'arresto di cittadini extracomunitari accusati di aver progettato attacchi nel nostro Paese — il caso più eclatante è stato il presunto progetto contro la basilica di san Petronio a Bologna — anche se gli accertamenti successivi avevano dimostrato come si trattasse di intenzioni non supportate da una pianificazione effettiva. E infatti non appare casuale che lo stesso ministro poi puntualizzi che «stiamo verificando se quello di Milano sia un caso isolato » o se invece gli indagati siano inseriti «in una rete più estesa». Il rischio per l'Italia — come hanno ribadito anche negli ultimi giorni gli analisti della polizia di Prevenzione — rimane legato ai possibili tentativi di emulare quanto avviene in altri Stati. Per questo, durante il Comitato, il ministro ha ribadito la necessità di tenere aggiornata «la mappa dei centri culturali, delle moschee, dei luoghi dove si fa proselitismo e si raccolgono anche fondi per il terrorismo e sono concentrati soprattutto nelle regioni del Nord». Internet Fabbricare bombe, far saltare un palazzo: gli arrestati scaricavano istruzioni e foto dal web
"Kamikaze «fai da te» presi dalla Rete ": il titolo sintetizza bene la breve analisi di Guido Olimpio, a pagina 19 del CORRIERE:
L'Iraq è lontano. L'Afghanistan ancora di più. Una distanza resa ancora più profonda dalla mancanza di veri contatti con formazioni estremiste. Un gap che gli aspiranti terroristi «fai da te» colmano con Internet. Ogni sito qaedista che consultano ha l'effetto di una carica a molla: li infiamma, accende il desiderio di farsi saltare per aria. Sono delle potenziali bombe a scoppio ritardato, dove però il tempo rischia di bagnare la polvere. Dentro questa bolla virtuale costituiscono il gruppo, coinvolgendo una cerchia ristretta di amici e parenti. Si servono di Internet per cercare i «fratelli» e quelle nozioni militari che non hanno mai avuto. Ma bisogna davvero essere in gamba per trasformare i dati di un manuale online in un ordigno. Il web fa credere loro di essere parte di realtà più ampia, pensano di obbedire agli ordini di Osama. E lo seguono come fosse il sentiero per la Jihad. A volte li conduce per davvero a compiere qualcosa, molto più spesso però non li porta da nessuna parte. E gli «aspiranti» restano chiusi — per fortuna — nel loro microcosmo qaedista.
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