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Bet Magazine Rassegna Stampa
10.02.2017 I passi che la Chiesa deve fare per lottare contro l'antisemitismo: vicinanza a Israele e contrasto dell'antisionismo
Intervento di Rav Giuseppe Laras

Testata: Bet Magazine
Data: 10 febbraio 2017
Pagina: 7
Autore: Rav Giuseppe Laras
Titolo: «Rav Laras: 'Solo il vero Dialogo può salvare il futuro dell'Europa'»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità Ebraica di Milano di febbraio 2017, a pag. 7-8, con il titolo "Rav Laras: 'Solo il vero Dialogo può salvare il futuro dell'Europa' ", l'intervento di Rav Giuseppe Laras.

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Rav Giuseppe Laras

Pubblichiamo qui di seguito l’intervento di Rav Giuseppe Laras per la visita dell’Arcivescovo Angelo Scola, il 17 gennaio: non potendo partecipare di persona, il discorso di rav Laras è stato letto da Roberto Jarach, Vice Presidente del Memoriale per la Shoah.

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Una scritta con ingiurie antisemite

Esistono molte tentazioni -più o meno subdole, più o meno sanguigne-, e cedervi può ben accadere. Lo sperimentiamo tutti. Tutti possiamo cedere alla tentazione di ritenere il dialogo ebraico-cristiano irrilevante, dato che coinvolge pochi interpreti, le cui fila sono rese sempre più esigue da frizioni intestine; ricerca di un “posto al sole”; provvedimenti improvvidi da parte di persone di cui si vorrebbe potersi fidare, spesso presentati sottoforma di “aperture”; età media altissima dei partecipanti; presunti intellettuali lontani dal reale e dalla concretezza, noiosi e autoreferenziali. Che dire poi del fatto che in tutte queste nostre iniziative manchino i giovani -e i giovani reali, quelli che sosterranno le nostre comunità e la vita culturale, politica ed economica del Paese nel futuro-? Senza giovani non si va da nessuna parte, siamo condannati! E la nostra società, appunto, a causa di pessime filosofie, che si sono insinuate nelle ultime decadi, è invecchiata. Tutto ciò sta portando e porterà ancora tanto male e si sta abbattendo come una scure sia sulle Chiese che sulle Comunità Ebraiche in Occidente.

Si può lamentare che il Dialogo ebraico-cristiano sia un’appendice della vita del cristianesimo, poco praticata e mai realmente fattivamente additata dai suoi pastori alla maggior parte dei fedeli. Un’appendice -tuttavia- interessantissima e promettente, rispetto a un passato funesto e doloroso e a un presente per nulla facile. Purtroppo gli insegnamenti conciliari e successivi sul dialogo tra cristiani ed ebrei -unico e speciale da entrambe le parti- sono restati spesso lettera morta, anche nelle omelie quotidiane di insigni uomini di Chiesa. Ci si può lamentare che gli ebrei siano spesso restii a questo dialogo, con molte perplessità, timori, risentimenti, amarezze. E che si rivendichi troppo spesso il passato a fronte del futuro. Se questo può esser vero, va tuttavia ricordato che la storia antica e recente subita da parte ebraica in relazione al cristianesimo ha un enorme peso, che affatica e rallenta il passo. Inoltre, anche a livello sociologico, è naturale che una “minoranza assoluta” -gli ebrei- eriga attitudini di difesa rispetto a una “maggioranza assoluta” -i cristiani-, inevitabili per sopravvivere e non farsi fagocitare, pur riconoscendo le effettive buone intenzioni di questi ultimi.

E che dire, infine, del fatto che, per motivi strumentali e ideologici, come anticaglia dismessa, dalle “radici ebraico-cristiane” dell’Occidente, si sia passati all’affermazione del futuro “islamocristiano” dell’Europa? Le parole hanno un peso enorme, al pari della loro assenza (in questo caso l’espunzione dell’aggettivo “ebraico” in relazione al futuro comune), e lasciano intendere molte cose. E allora? Chiudiamo “baracca e burattini” oppure, come talvolta sostengono i detrattori, continuiamo elegantemente “a prenderci in giro”? No! Questo ci obbliga a individuare caparbie nuove strategie per l’incremento e il rafforzamento del dialogo ebraico-cristiano. Questo ci obbliga a resistere ai disfattisti bipartisan e ai colpi di mano di alcuni, anche se in altissimo loco. Non possiamo e non vogliamo cedere per non tradire la memoria di quegli eroi cristiani, laici o religiosi, che -in quanto cristiani- difesero gli ebrei, anche a costo della vita, non solo perché essere umani in generale, bensì proprio perché ebrei, individuando così tra noi un vincolo unico. Non possiamo e non vogliamo cedere, dissipando il patrimonio, pur fragile, conquistato sinora, per non tradire la memoria e la fiducia di quegli ebrei -religiosi e no- che, con non minore coraggio, hanno ritenuto di riaprire i loro cuori e menti a cristiani amichevolmente disposti verso Israele e il suo mistero, cosa che passa necessariamente oggi anche per la ritrovata sovranità nazionale ebraica in Terra di Israele, dato che la maggior parte del nostro Popolo vive lì e che da lì per lo più promana la voce della Torah nella nostra generazione.

L’antisionismo è la terza grande riedizione dell’antisemitismo, che fu dapprincipio religioso e poi, una volta laicizzatosi, razziale. Tale sentimento e ideologia è forse una riedizione del veleno subdolo di Marcione, che fu dapprima teologico, poi etico, infine forse politico, proiettante comunque sugli ebrei -che vogliono essere tali e che lo vogliono per la propria discendenza- le medesime ombre di disprezzo e di morte. Stia oggi ben attenta la Chiesa ad evitare il “richia- c mo della foresta”, avvelenato e devastante, di Marcione, considerando che essa medesima nel distaccarsi dalla propria matrice perderebbe ineluttabilmente ogni significanza e giustificazione a esistere. Spetta stavolta, in questo rapido e decisivo snodo della storia occidentale, a tutti noi, cristiani ed ebrei, cogliere l’opportunità per fare della Bibbia il futuro, diverso eppur sinergico, delle nostre due Comunità di fede, ridando linfa alla civiltà occidentale.

E spetta con urgenza, ancora a noi, restituire alla Bibbia la sua voce reale, escatologica e divina, che non può essere in alcun modo ridotta a manuale laico per assistenzialismi, buonismi e pacifismi di sorta. Quest’ultima dilagante, perversa attitudine coincide con l’offesa della moralità e dell’intelligenza dei non credenti e con lo svilimento del ruolo e dell’identità del credente, che è anch’egli per nulla esente da colpe o meschinità. La riduzione della Bibbia a etica mondana o a utopia è una forma né coraggiosa né onesta di ateismo. È la Bibbia che, pur spesso in versione laicizzata, ha fatto innamorare l’Occidente delle libertà individuali -un bene assolutamente non negoziabile!- a fronte delle libertà collettive degli antichi. È la Bibbia che ha reso, attraverso l’economia straordinaria dell’Alleanza, l’uomo libero anche rispetto al suo Dio e non assoggettatoGli, ancorché in partnership con il suo Creatore. È ancora la Bibbia che ha insegnato a declinare la libertà non in arbitrio ma in responsabilità, accettando liberamente il giogo divino. Tacere tutto questo per compiacere il mainstream ci rende non autentici, deboli e forse anche stupidi! Se perderemo questo tempo difficilissimo e unico, oziando, chiudendo gli occhi o dissimulando, andremo in perdizione e con noi andrà in perdizione il lascito sofferto dei nostri padri e il futuro dei nostri nipoti, cosa quest’ultima ancor più intollerabile. Forse sarà solo il vero dialogo ebraico-cristiano a poter salvare, se la Chiesa e gli ebrei ci crederanno e oseranno, il futuro dell’Europa e del mondo libero.

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