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Bet Magazine-Mosaico Rassegna Stampa
11.06.2016 Unesco: 'Cosa c'entrano gli ebrei con il Kotel e con il Monte del Tempio? Qui non c'era nessun Tempio...'
Commento di Fiona Diwan

Testata: Bet Magazine-Mosaico
Data: 11 giugno 2016
Pagina: 10
Autore: Fiona Diwan
Titolo: «Unesco: 'Cosa c'entrano gli ebrei con il Kotel e con il Monte del Tempio? Qui non c'era nessun Tempio...'»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, giugno 2016, a pag.10, con il titolo "Unesco: 'Cosa c'entrano gli ebrei con il Kotel e con il Monte del Tempio? Qui non c'era nessun Tempio...'", il commento di Fiona Diwan.

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Fiona Diwan

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 La cosa avrebbe qualcosa di grottesco se non fosse un’autentica infamia. Una decisione che va nella direzione del più inquietante revisionismo storico. L’Unesco ci aveva abituato da tempo a prese di posizione quanto meno sconcertanti, ma quest’ultima le supera tutte. Si tratta della risoluzione votata il 16 aprile 2016 (ma se ne parlerà ancora per lungo tempo), con esito favorevole circa il progetto “Palestina occupata” che mirerebbe a negare il carattere etnico, religioso, storico e geografico del popolo ebraico e del suo legame con la Terra d’Israele e la città di Gerusalemme. Proposto da un pool di stati arabi e islamici, la risoluzione è stata approvata da 33 stati (tra cui Francia, Russia, Spagna, Svezia), 17 i Paesi astenuti, e sei quelli contrari (Stati Uniti, Estonia, Germania, Lituania, Paesi Bassi, Regno Unito). Il progetto contenuto nella risoluzione si concentra soprattutto sulla negazione di ogni benchè minimo legame tra il Monte del Tempio e il sito dei due antichissimi templi d’Israele, quello di re Salomone (distrutto da Nabuccodonosor del 586 a. E. V.), e quello di Erode (distrutto da Tito nel 70 E. V.), a loro volta edificati sul biblico Monte Morià, il luogo dove sarebbe avvenuto il mancato sacrificio di Isacco per mano di Abramo, più precisamente l’Akedat Itzchak o legatura di Isacco, come chiama l’episodio la tradizione ebraica. Stesso trattamento per la Tomba dei Patriarchi, a Hebron, la Machpelà, e la Tomba di Rachele a Betlemme. Non solo: il testo della risoluzione trascrive i luoghi santi solo con termini arabi e utilizza il termine Muro Occidentale tra virgolette e soltanto dopo averlo fatto precedere dal suo equivalente arabo Al-Buraq, (naturalmente e sempre, beninteso, “nel rispetto del dialogo reciproco e nell’intento di non alterarne l’integrità e l’autenticità”, come aveva dichiarato il 19 aprile il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova). Questi i contenuti della recente mozione, da cui si evincerebbe quindi che tutti i siti sopracitati sarebbero luoghi sacri all’islam, appartenenti alla tradizione di Maometto, e invitando così, implicitamente, gli ebrei a non profanarli. Stavolta, il Consiglio esecutivo dell’ONU per l’educazione, la scienza e la cultura, meglio noto con la sigla Unesco, ha davvero superato se stesso, cancellando tremila anni di storia e decidendo che il Monte del Tempio nulla c’entra con il popolo ebraico, con il suo passato, con il suo retaggio culturale e religioso. E non bastano a giustificare la cosa le argomentazioni di chi sostiene che la risoluzione Unesco è stata dettata in realtà dalla preoccupazione di mettere un freno ai fanatismi religiosi (specie quelli di parte ebraica), che ogni nuova scoperta archeologica infiamma fino a voler pensare di ricostruire il Terzo Tempio (come? dove? radendo forse al suolo le moschee della spianata?). Di fatto, un falso storico resta un falso storico, qualunque sia la motivazione, nobile o infame, che ci sta dietro. L Negare l’evidenza storica serve ad aiutare il processo di Pace? Certamente no. Manipolare il passato porta solo a delegittimare Israele e non certo a sostenere la diplomazia, come pretende invece l’Unesco, con una risoluzione che nega ogni legame tra il Monte del Tempio e i due Batei HaMigdash, quelli di Salomone e Erode Presentata da Paesi notoriamente in prima fila nell’inesausta lotta per i diritti umani – Sudan, Qatar, Egitto, Libano, Oman, Marocco, Algeria -, va sottolineato che la mozione è stata votata anche con il plauso favorevole della Francia, lasciando sbigottita l’opinione pubblica e il mondo ebraico d’Oltralpe davanti a un esempio così sfacciato di revisionismo storico (sui media francesi è scoppiata una polemica a colpi di dibattiti e articoli che non ha risparmiato nessuno, dal Presidente Hollande in giù, fino addirittura al Grand Rabbin de France, Haim Korsia, accusato di cerchiobottismo e di non essersi sbilanciato in una decisa condanna del voto francese alla risoluzione dell’Unesco per non guastare i rapporti con l’Eliseo). Per chi nutrisse ancora qualche dubbio circa l’obiettività dell’Unesco, basti registrare che nella mozione, Israele veniva sempre accompagnato dalla dizione “Potenza occupante”. Negando il legame ancestrale tra il popolo ebraico e Gerusalemme, cercando di cancellare tutte le tracce dell’ebraismo in ciò che ha di più simbolico, si potrebbe addirittura arrivare a dire che l’Unesco si pone sullo stesso piano dell’Isis, il quale distrugge i tesori culturali di Bamyan, di Palmira e altri Patrimoni dell’Umanità, solo perché non collimano con la sua visione della storia. Intendiamoci, non è certo così. Tuttavia, non è la prima volta che l’Unesco usa due pesi e due misure, specie quando si tratta di Israele, arrivando a trasformarsi, di fatto, in un campo di battaglia del conflitto tra religioni. La lista è lunghissima e non basterebbe lo spazio di questo articolo per elencare tutte le nefandezze delle mozioni degli ultimi anni, guarda caso sempre quando si tratta del legame tra “Popolo ebraico, Terra d’Israele, Lingua, Libro”, vedi la Torà. La presenza ebraica testimoniata dal Monte del Tempio come sito storico del Beit Hamigdash potrebbe forse rischiare di legittimare Israele? Inconcepibile. Lasciar credere che “l’entità sionista” abbia qualche fondamento storico? Inaudito. Nella mozione “Palestina occupata”, apprendiamo che gli israeliani “hanno installato false tombe ebraiche nei cimiteri musulmani e che hanno convertito numerose vestigia islamiche e bizantine in sedicenti miqvè o sinagoghe”. Nemmeno un rigo di condanna sull’incendio della Tomba di Giuseppe a Nablus nell’ottobre 2015 da parte palestinese, non una parola sui bulldozer che hanno spazzato via una chiesa del VII secolo, a Gaza, agli inizi di aprile 2016. O, andando più indietro, non c’è voce che si sia mai alzata per denunciare le migliaia di lapidi tombali sradicate dai cimiteri ebraici del Monte degli Ulivi dalla Legione araba e utilizzate per lastricare le strade all’indomani dell’annessione di Gerusalemme Est da parte della Giordania nel 1948. E che dire dei 34 luoghi di culto ebraici distrutti nella città vecchia di Gerusalemme, sempre nel 1948? Su tutto ciò l’Unesco non ha mai emesso un fiato. L’indignazione è a geometria variabile, una specialità dei menù avvelenati serviti dall’Unesco e dall’ONU. Tuttavia, con questa epocale mozione, come scrive lo storico Shmuel Trigano sul portale JForum, siamo di fronte a un salto di qualità, a qualcosa di ancor più estremo e nuovo, un “avvenimento totale”: «Il fatto più evidente e irradiante che questo evento dà a vedere concerne la condizione ebraica. Il verdetto iniquo dell’Unesco pretende di annullare 30 secoli di storia ebraica che riscrive interamente a vantaggio della visione etnocentrica dell’islam e negando la storia occidentale, cristiana ed ebraica. La narrazione della realtà storica e politica che questa mozione tenta d’imporre, nega agli ebrei i diritti religiosi più fondamentali e implica che le asserzioni dell’ebraismo circa i luoghi e i contenuti della sua storia non siano altro che menzogne. Siamo davanti a un’aggressione simbolica dell’ebreo e della personalità ebraica in tutte le sue dimensioni, una delegittimazione che porta con sè, in nuce, una violenza totale nei suoi riguardi. Non mira solo alla sicurezza degli ebrei: concerne l’essenza stessa dell’esistenza ebraica. Che una istituzione deputata a difendere il “patrimonio dell’Umanità” si presti a una tale mistificazione disvela la profonda corruzione della pseudo “comunità internazionale” e ci mostra la “giungla” nella quale siamo immersi e dove tutto può accadere».

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