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Il Mattino Rassegna Stampa
17.07.2006 Ecco la "solidarietà" per il popolo di Israele
quando i razzi di Hezbollah provocano una strage

Testata: Il Mattino
Data: 17 luglio 2006
Pagina: 2
Autore: Nino Spampinato - la redazione
Titolo: ««Non si può distruggere il Libano per la propria difesa» - «Contro Beirut usate anche armi proibite»»

Sul MATTINO i titoli sui bombnardamenti del Libano adoperano un linguaggio crudo, molto forte. Le parole d’ordine erano: “bombardamenti”, “strage”, “civili”, “bambini”. Titoli e (tanti) articoli altrettanto “violenti” su una Beirut duramente colpita dalle bombe. Tutto questo nella completa indifferenza (non un titolo, non un articolo, non un reportage, non una foto) per la difficilissima situazione in Israele. Poi succede che uno delle centinaia di missili sparati contro la popolazione israeliana ad Haifa fa una strage: 8 civili uccisi. Ed ecco, però, che improvvisamente il modo di dare le notizie e soprattutto il vocabolario cambiano: non più “strage”, non più “civili”, non più una serie sterminata di articoli. Quello che è successo ad Haifa? In prima c’è questo titolo “Razzi di Israele, Libano sotto assedio” e il sottotitolo “Hezbollah colpisce Haifa: 8 morti. Messaggio tv del leader Nasrallah: è solo l’inizio” . All’interno la notizia viene trattata in un articolo di cronaca che riferisce della situazione sui due fronti e non specificatamente la situazione in Israele (l’articolo è stato scritto da Beirut). La notizia, dunque, va annacquata il più possibile. Il titolo non è altro che la riproposizione del sottotitolo della prima pagina, nessun dettaglio in più: “I missili di Hezbollah su Haifa: otto morti”. Capito, tutto quello che Il Mattino riesce a scrivere nei suoi titoli per i morti civili israeliani è “8 morti”. 
Altro grande assente dalle pagine del quotidiano napoletano sono le ragioni di Israele, le ragioni di un intero popolo che, senza distinzione di colore, si è unito saldamente dietro i suoi dirigenti politici. Esemplare in questo senso l’articolo di Davide Frattini per Il Corriere della Sera di oggi. Vi sono le voci anche degli intellettuali (Oz, Yehoshua, Grossmann) sempre tirati in ballo quando le loro parole di volta in volta offrivano l’occasione per l’ennesima critica ad Israele. E Il Mattino è tra quanti non hanno mai perso occasione, pur di attaccare più o meno esplicitamente Israele, di tirarli in ballo. Interviste, articoli pur di suggerire al lettore che “Israele sta sbagliando ancora, sono gli stessi israeliani a dirlo”. E non importava se la salda maggioranza della nazione stava comunque col governo, le uniche voci degne di pubblicazione erano quelle dei pensatori, degli scrittori critici con la classe politica. E allora uno si aspetterebbe di leggere anche in questa occasione il parere delle “menti illuminate”, che questa volta esprimono pieno consenso al governo del paese. Ma questa volta il “pensiero illuminato” non conta e, come nella più becera tradizione anti-israeliana de Il Mattino, sì dà fiato alla tromba israeliana che più anti-israeliana non si potrebbe, una firma nota ai lettori di IC, quello Zvi Shuldiner che quasi quotidianamente delizia i lettori de Il Manifesto con i suoi scritti carichi di odio di sé. “Non si può distruggere il Libano per la propria difesa” è il titolo dell’intervista, sottotitolo “Zvi Shuldiner, professore all’università di Gerusalemme e pacifista accusa: se non si risolve il problema palestinese non ci sarà pace”. A conferma che l’unica cosa che conta per Il Mattino è la propaganda anti-israeliana, e non importa se in questo modo si fa torto ad un intero paese e un intero popolo con cui, in più di un occasione quando sono piovute critiche dai lettori per il pregiudizio anti-israeliano del quotidiano, si è detto ) di solidarizzare. Ancora una volta, nelle occasioni che contano, la solidarietà è venuta fuori. Le ragioni di Israele per il quotidiano napoletano sono da cestinare.
Ecco l'intervista a Shuldiner:

«Non si può distruggere il Libano per la propria difesa»

Zvi Shuldiner, professore all’università di Gerusalemme e pacifista accusa: se non si risolve il problema palestinese non ci sarà pace

NINO SPAMPINATO «Ormai siamo in una guerra vera e propria e, come sempre, a pagarne le conseguenze sono soprattutto i civili». Il professor Zvi Shuldiner, capo del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Sapir, nel Neghev, è una delle voci ”contro” all’interno di Israele e anche davanti a questa nuova crisi non risparmia critiche al suo governo: «Ci ritroviamo in questa situazione per l’avventurismo degli Hezbollah, che agiscono in maniera criminale, ma anche per la risposta sproporzionata che ha dato Israele». Cosa avrebbe dovuto fare il suo Paese? «Evitare di cadere nelle provocazioni, perché chi ha iniziato l’attacco sapeva benissimo quale reazione sarebbe seguita. E anche se trova molto consenso tra la popolazione israeliana, l’uso della forza militare non può essere l’unica risposta: non si può distruggere un Paese come il Libano, riportandolo indietro di trent’anni, per garantire la propria difesa». Si aspettava di ritrovarsi in uno scenario di guerra? «Sì, perché al di là degli Hezbollah, il vero problema del Medio Oriente è quello palestinese: finché a Gaza si continuerà a vivere in condizioni disastrose, ci saranno sempre le basi per nuove guerre. Invece di arroccarsi nella sua politica unilaterale, il governo di Israele dovrebbe cominciare a negoziare con Hamas». Ma intanto deve fronteggiare gli attacchi dei guerriglieri Hezbollah. Stanno agendo da soli? «Le milizie sciite non agiscono da sole, ma è come se operassero su due livelli: intanto, combattono per garantire la propria presenza in Libano, ma contemporaneamente fanno il lavoro per conto dell’Iran e della Siria». Teme che il conflitto possa allargarsi a questi due Paesi? «È difficile, ma sarebbe un vero e proprio inferno, non solo per Israele ma per tutto il Medio Oriente. Per questo dico che bisogna fare molta attenzione, non solo all’Iran che viene considerato come un pericolo più concreto, ma anche alla Siria che dispone di un grande arsenale». Chi può evitare che si arrivi alle conseguenze più drastiche? «In questo momento stiamo assistendo all’empasse della comunità internazionale, divisa tra gli Stati Uniti, che pensano che Israele possa imporre una buona soluzione in Libano, e l’Unione Europea che non riesce a parlare in maniera chiara ed univoca. Con questa situazione, per arrivare ad un cessate-il-fuoco serve un intervento internazionale, che dovrebbe essere guidato dall’Onu». Le Nazioni Unite riuscirebbero a garantire una tregua? «Al momento non vedo altre possibilità, anche se l’azione internazionale dovrebbe essere affiancata dalla mediazione di alcuni Paesi arabi come l’Egitto e l’Arabia Saudita che, tra l’altro, hanno forti interessi economici in Libano». Se in Israele Ariel Sharon fosse ancora al potere, si sarebbe arrivati alla crisi di questi giorni? «Il governo attuale, guidato da Olmert, è la naturale conseguenza di quello del suo predecessore. E siccome non condivido le analisi che hanno indicato Sharon, nell’ultima fase della sua attività politica, come un uomo di pace, allora dico che non sarebbe cambiato niente. Per cercare di aprire un dialogo non basta il ritiro unilaterale da Gaza attuato la scorsa estate, ma si dovrebbe iniziare un negoziato serio con gli Hezbollah e, soprattutto, con Hamas. Se non si risolve la questione palestinese, il Medio Oriente non avrà pace».

A pagina 3 un trafiletto riporta una notizia assolutamente non verificata, di fonte libanese:


«Contro Beirut usate anche armi proibite»

Secondo un portavoce militare libanese, Israele sta utilizzando su Beirut bombe proibite, tra cui «bombe a vuoto» che una volta esplose consumano all’istante tutto l'ossigeno circostante, provocando una forte onda d'urto verso l'interno. Secondo alcuni media libanesi gli israelian avrebbero impiegato anche bombe a base di fosforo incendiario e bombe sonore.

 

 

 

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