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Il Mattino Rassegna Stampa
30.01.2006 Opinioni su Hamas, selezionare con cura
per preparare a una conclusione già scritta: col gruppo islamista Israele, se volesse, potrebbe trattare

Testata: Il Mattino
Data: 30 gennaio 2006
Pagina: 8
Autore: la redazione
Titolo: «Hamas: sì al dialogo con Europa e America»

Come "sdoganare" Hamas? In attesa di trovare il modo di sostenere la natura pacifista del gruppo terroristico il MATTINO  del 29 gennaio 2006 mette a confronto opinioni ,guarda caso quasi tutte pro- Hamas, o quanto meno pro-dialogo con Hamas. Washington "indica" i membri dell'organizzazione terroristi, ma gli arabi li "classificano" come "difensori dei propri diritti". il quotidiano non prende posizione in merito a questa divergenza di "opinioni". Chissà, è possibile che uccidere civili  inermi sugli autobus o nei mercati sia effettivamente, come vuole il "rispettabile" punto di vista "arabo" una "difesa dei propri diritti".  Per la Siria "le prevaricazioni ed il rifiuto della pace di Israele spiegano la stragrande vittoria del movimento", per George Soros la vittoria elettorale renderà più moderata Hamas, per Uri Avnery l'atteggiamento del governo israeliano verso Hamas è cieco quanto quello verso l'Olp prima di Oslo. Ecco il testo:    

Damasco. Il capo di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, da Damasco fa sapere al mondo che, in seguito alla vittoria elettorale il suo movimento «è desideroso di dialogare con Stati Uniti ed Europa sarà capace di fare politica con un approccio molto realistico. Porgettiamo un nuovo esercito palestinese trasversale a tutte le fazioni,«come quello di ogni altro paese; e che comunque non rinuncia all' obiettivo della resistenza» contro Israele. Con grande efficacia e relativa enfasi, Meshaal - che agenti israeliani avevano tentato di uccidere qualche anno fa in Giordania e fu salvato dal tempestivo intervento di re Hussein - si riafferma numero uno dell'organizzazione che fino a ieri ha pagato giovani palestinesi per farsi esplodere contro obiettivi israeliani, ed annuncia un programma politico. Tra le priorità inserisce i rapporti internazionali - se si bloccasssero farebbero esaurire molte delle fonti finanziarie che garantiscono la sopravvivenza di molti palestinesi - e la volontà di trovare una strada per «fare politica», alternativa agli attacchi armati, sia, è immaginabile, nel rapporto con il tradizionale «nemico», sia in quello con i palestinesi perdenti e fino a ieri al potere, Al Fatah. In un albergo del centro di Damasco, sovraffollato da giornalisti e operatori tv, e sotto il rigoroso controllo dei servizi di sicurezza siriani, Meshaal ha detto che il dialogo con il movimento del presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen) «è indispensabile per mettere fine alle contraddizioni tra i programmi politici di Hamas e di Abbas». Al mondo che ha espresso sorpresa o sembra rifiutare la vittoria di quelli che Washington indica come «terroristi», e che gli arabi classificano «difensori dei propri diritti, Meshaal confuta che «faremo contatti con gli europei e diremo loro quello che vogliono i palestinesi. Diremo che i palestinesi hanno preso una decisione ed hanno scelto Hamas. Chi pensa che Hamas fallirà nel processo politico sbaglia». Meshaal ha anche affermato che Hamas onorerà gli impegni presi dall’Autorità Palestinese con Israele,a patto che questi servano agli interessi dei palestinesi. A spiegare in parte quello che è rimasto non detto da Meshaal - ma qualcuno legge in queste altre parole l' applicazione di quella che Washington ha definito per altre situazioni «costruttiva ambiguità» - un altro espondente del movimento integralista, Mahmud Zahhar, precisa che «Hamas non riconoscerà Israele e non vuole essere riconosciuto da Israele. Noi non metteremo da parte le nostre armi perchè sappiamo che il nemico israeliano non ci darà Gerusalemme attraverso negoziati, nè il diritto del ritorno dei profughi palestinesi, nè il ritiro dagli insediamenti». Alla voce della Siria, grande protettore e ospite di Hamas, secondo la quale «le prevaricazioni ed il rifiuto della pace di Israele spiegano la stragrande vittoria del movimento» si aggiungono alcune altre valutazioni. Il finanziere George Soros ritiene che quella vittoria «può portare ad una svolta perchè ora che Hamas ha il potere, questo comporta un obbligo nei confronti dei palestinesi e quindi dovrà agire responsabilmente». Un altro punto di vista sui risultati a favore di Hamas viene dall'ex parlamentare israliano Uri Avnery, che non se ne meraviglia: «Hamas garantiva da tempo l'unica assistenza sanitaria, scolastica, logistica e sociale. Negli anni ’70 e ’80, il governo di Israele dichiarò che non avrebbe mai e poi mai negoziato con l'Olp. Sono terroristi, affermavano. Hanno uno statuto che chiede la distruzione di Israele. Arafat è un mostro, un altro Hitler. E quindi mai e poi mai. Oggi risentiamo le stesse cose».

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