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Il Mattino Rassegna Stampa
25.01.2006 Tutti "moderati" nelle elezioni palestinesi
senza alcun bisogno di dimostrarlo

Testata: Il Mattino
Data: 25 gennaio 2006
Pagina: 1
Autore: Vittorio dell'Uva
Titolo: «In Palestina l'incognita estremista»

Fioccano i "moderati" nelle elezioni palestinesi, secondo il MATTINO  di mercoledì 25 gennaio. Persino Hamas ormai lo è diventata per diritto, senza aver dovuto darne alcuna prova, e anzi  continuando arivendicare il terrorismo e la finalità della distruzione di Israele.
Di seguito, pubblichaimo l'articolo di Vittorio Dell'Uva , "In Palestina l'incognita estremista":

 

Bisognerà guardare soprattutto alla seconda fila degli schieramenti dopo il voto di oggi a Gaza e nei territori palestinesi giudicato cruciale per il futuro del processo di pace. Uomini simbolo nella lotta contro Israele, chiamati a catalizzare il consenso, finiranno per un motivo o per l’altro per essere messi da parte siano o meno gonfi di gloria elettorale. È a politici con il passo più felpato e con capacità di mediazione che verrà affidata la gestione del potere. Al Fatah, lasciata da Arafat in uno stato abbastanza confusionale, spera che dal carisma del suo capolista Marwan Barghouti, leader della seconda intifada, arrivi il plusvalore che modifichi le deludenti indicazioni di sondaggi che collocano il movimento a una incolmabile distanza dalla maggioranza assoluta e insidiato troppo da vicino da Hamas, il partito degli estremisti. Ma Barghouti è sostanzialmente una bandiera. E come tale destinata a essere ammainata. Appesantito da cinque condanne all’ergastolo per terrorismo, partecipa alle elezioni legislative molto da lontano, da una cella di un carcere israeliano la cui porta è probabilmente destinata a rimanere chiusa per più anni stando a informazioni raccolte, appena ieri, dal Jerusalem Post. A sperare nella efficacia del suo ruolo di apripista è soprattutto Nabir Shaat, il ministro della Informazione accusato dagli avversari politici di avere contribuito alla allegra gestione delle finanze palestinesi, ma anche esponente di spicco del «gruppo di Tunisi» che seguì Yasser Arafat nell’esilio imposto da Sharon. Al ruolo di premier si è preparato in campagna elettorale battendo soprattutto il tasto «del negoziato imprescindibile» che piace agli occidentali. Una posizione non dissimile da quella di un altro candidato in pectore a primo ministro, Saed Erekat, il «moderato di Gerico» chiamato dall’Anp alla guida del team che dialoga con Israele. Va da sè che il toto-premier, che al momento poco appassiona i vertici di Al Fatah, angosciati dai rilevatori di umori elettorali, è strettamente legato alla entità del consenso. Se anche il «movimento guida» dei palestinesi riuscisse ad arginare l’offensiva di Hamas, il futuro impone - stando alle previsioni - un governo di coalizione con alleati che, per quanto affidabili, potrebbero chiedere un prezzo molto alto, inclusa la guida del nuovo governo. La «Terza via», il partito un tantino elitario della signora Hanan Ashawri accreditato del 5 per cento, a questo sembra aver lavorato candidando l’economista Salam Fayyad, già ministro della economia. Si è laureato all’università americana di Beirut, ha approdondito i suoi studi nel Texas. Piace agli Stati Uniti e all’Europa costituendo in ambito moderato un elemento di discontinuità con il passato. È Fayyad, con esperienza nel Fondo monetario internazionale, che ha cercato di mettere a posto i conti palestinesi avviando una serrata battaglia contro il male endemico della corruzione. L’altro fronte, quello di Hamas, che ha ancorato la sua lotta politica alla violenza, ma che molto è cresciuto attraverso la rete di «solidarietà islamica», non si è risparmiato nel mettere in campo tutti gli uomini-traino. Gaza, che è la sua roccaforte, potrà esercitarsi in un plebiscito per Mohamed Al Zahar ritenuto uno degli eredi dello sceicco Yassin. Dalla Cisgiordania potrebbe arrivare una forte affermazione per Hassan Yussef, leader d’area confinato in carcere così come una trentina di candidati del movimento che si ispira all’Islam radicale e rifiuta gli accordi di Oslo. Ma se dovesse verificarsi un trionfo elettorale, molti sarebbero i passi indietro, in qualche misura già programmati. La rivoluzione al potere non potrebbe, sullo scenario palestinese, imporre i ritmi che le sono propri nella contrapposizione ad Israele. Meglio affidarsi a Ismail Hanyeh, il «numero due», braccio destro di Al Zahar, considerato il più pragmatico tra i leader del movimento e «ufficiale di collegamento» con i nemici di Al Fatah.

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