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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Mattino Rassegna Stampa
06.10.2005 Ignorare o coprire i problemi dell'Anp e intervistare chi attacca Israele
la linea editoriale del quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 06 ottobre 2005
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio - un giornalista - Vittorio Dell'Uva
Titolo: «Gaza, via il governo palestinese - Iraq, in video due spie decapitate - «Israele è fuori da Gaza, ma attenti a Sharon»»
Se Abu Ala viene costretto alle dimissioni è per per problemi di salute. Questa è l’idea, destituita di fondamento, fatta passare dal sottotitolo ("Giallo sulla salute del premier Abu Ala: è in un ospedale in Giordania per curarsi") di un articolo di Michele Giorgio pubblicato dal MATTINO di giovedì 6 ottobre 2005 per coprire i problemi seri di ordine, sicurezza e giustizia che affliggono i territori palestinesi amministrati dall’Anp.

Ecco il testo:



Gerusalemme. C’è un mistero intorno alle condizioni di salute del premier Abu Ala, che ha improvvisamente lasciato i Territori palestinesi per recarsi all’estero e per sottoporsi a urgenti cure mediche. La notizia del premier ammalato ha aggiunto nuova incertezza ad un quadro già segnato dall’annuncio fatto ieri dal quotidiano «Al-Ayyam» delle dimissioni, previste la prossima settimana, del governo, sfiduciato dal Consiglio legislativo (il parlamento palestinese). Al momento nessuno sa, incluso il presidente Abu Mazen, se Abu Ala accetterà di formare una nuova compagine governativa. Il premier incontrerà Abu Mazen al suo ritorno dall’estero e solo allora comunicherà le sue intenzioni. Secondo indiscrezioni, intenderebbe candidarsi alle elezioni per il rinnovo del Parlamento (25 gennaio 2006) e, pertanto, non può rimanere in carica. La legge elettorale stabilisce che i candidati non debbano svolgere funzioni istituzionali. Ma la crisi che si consuma sul versante palestinese, non impedisce l’attivismo sul versante dei rapporti con Israele: il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen si incontreranno l'11 ottobre, in seguito all'opera di mediazione svolta da re Abdallah II di Giordania, che li ha contattati ieri. Il luogo dei colloqui non è stato comunque indicato. Ad alimentare il clima di incertezza politica che regna nei Territori, sono ora le voci contrastanti circa le condizioni di salute del primo ministro. L’agenzia di stampa palestinese «Maan» ieri ha riferito che Abu Ala aveva subito un infarto ed era stato ricoverato d'urgenza in un ospedale di Amman, in Giordania. Un'ora dopo questa notizia è stata smentita dall'ufficio del primo ministro. Abu Ala, 72 anni, nei mesi scorsi, in seguito ad un malore, si è dovuto sottoporre ad un intervento di angioplastica per dilatare un vaso sanguinoso ristretto e collocare uno stent (una reticella metallica) nell’arteria. Secondo altre voci, il premier sarebbe partito per la Francia assieme ad uno dei figli affetto da una malattia grave. La crisi interna si era aperta lunedì scorso quando i deputati palestinesi si erano pronunciati per la costituzione di un nuovo governo, approvando una mozione che chiede, entro 15 giorni, una nuova compagine ministeriale in grado di porre fine al caos che regna nei Territori. In quell’occasione il capo della commissione parlamentare sui servizi di sicurezza, Hassan Kreisheh, aveva accusato il ministro degli Interni Nasser Yusef - nominato da Abu Mazen per porre fine al caos - di aver «fallito la sua missione». In caso di dimissioni di Abu Ala, il presidente potrebbe formare un governo di emergenza - presieduto da lui e con nove ministri - che resterebbe in carica fino al voto di gennaio. Un’ipotesi che non dispiace al parlamento, che in un esecutivo di emergenza vede la risposta idonea allo stato di anarchia che regna in Cisgiordania e soprattutto a Gaza. Ieri un ragazzo palestinese ha cercato di accoltellare alcuni militari israeliani a un posto di blocco vicino Nablus (Cisgiordania). Il giovane, un 18enne, si è lanciato verso i soldati con un coltello in mano che gli hanno sparato ferendolo. Sempre ieri un ufficiale dell'intelligence militare palestinese, Bassam Azam, è caduto in un’imboscata tesagli da uomini col volto coperto nel quartiere di Sheikh Radwan (Gaza), una roccaforte del movimento islamico Hamas. Le sue condizioni non sono gravi. Azam aveva lavorato alle dipendenze del generale Musa Arafat, l'ex-capo dell'intelligence militare palestinese, assassinato da decine di miliziani armati penetrati nella sua abitazione a Gaza. Nessuno dei responsabili di quel delitto è stato ancora identificato.
IL MATTINO pubblica anche un articolo riguardante il nuovo macabro filmato della barbara uccisione di due iracheni. Per il titolo ("Iraq, in video due spie decapitate" ) non ci sono dubbi: erano delle spie. L’articolo spiega che i due uomini hanno ammesso di essere al soldo degli americani. Sì, dinanzi a una "corte di giustiza" in seguito aun "giusto processo".... Incredibile.

Ecco il testo:

Baghdad. Torna l'orrore delle decapitazioni mostrate su registrazioni video visibili su siti Internet solitamente usati dagli estremisti islamici iracheni. Questa volta a subire il supplizio sono due iracheni che confessano di essere spie al soldo degli americani. Il video - che riporta al data del 12 settembre - è stato realizzato dal gruppo Ansar al Sunna, noto per essere spietato e non nuovo a simili manifestazioni di ferocia. Erano molti mesi, esattamente dallo scorso gennaio, che non venivano immessi in rete simili documenti. Il video visto ieri su Internet mostra inizialmente due uomini che vengono interrogati da guerriglieri che restano fuori campo. «Io lavoro con spie americane e ebree contro i mudjiahiddin e sono caduto nelle mani dei mudjiahiddin - dice Shaker Mahmoud Jassem - Chiunque lavori per gli americani o gli ebrei deve smettere di farlo. Esorto tutti a unirsi alla guerra santa», aggiunge. Il secondo prigioniero, Tiyadh Najm Abdallah, dice di essere un guardiano ma anche una spia che ha fornito informazioni sugli insorti sauditi presenti nell'area di Baghdad. I due sono seduti, sembrano calmi. Alla fine del video vengono portati all'aperto e fatti inchinare. Con la spada viene loro tagliata la testa che poi viene appoggiata sul loro corpo. Intanto la guerriglia torna ad alzare il tiro con un nuovo attentato kamikaze. Sono 25 le persone rimaste uccise e 87 quelle ferite da un'autobomba esplosa ieri a Hilla, 100 km a sud di Baghdad.
Mercoledì 5 ottobre 2005 IL MATTINO aveva ignorato il caos a Gaza esi era concentrato su un argomento che sicuramente offriva più oppurtunità didisinformare ai danni di Israele: la partenza dall’Italia di Nemer Hammad, per oltre vent’anni portavoce dell’istanze più estremiste del campo palestinese. E' bastato, in realtà, pubblicare un’intervista a questo personaggio intrisa dalla solita propaganda anti-israeliana, questo con l’estrema complicità dell’intervistatore che offre all’intervistato il destro per attaccare Israele. Partiocolare menzione meritano l'ultima domanda(1- Dell’Uva, autore del pezzo, dovrebbe spiegare chi sono quelli che definiscono "muro dell’apartheid" la barriera israeliana – coloro che odiano Israele! 2- non è a detta di israele che la barriera ha fermato gli attentati, trattasi, invece, di dati di fatto tangibili, quantificabili, inoppugnabili) e la conseguente risposta di Hammad che arriva adire che il terrorismo non è fermato dalla barriera difensiva ma ... dall'Anp!. Tra le diverse cose dette da Hammad quale poteva essere ripresa per il titolo ( «Israele è fuori da Gaza, ma attenti a Sharon» ) se non quella che più di altre mira a gettare ombre e sospetti su Israele e Sharon?

Ecco l'articolo:

Nel 1978, da delegato dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, fu accolto dagli ambienti conservatori italiani con più di un sospetto. Aveva frequentato l’effervescente università del Cairo, tappa di un lungo esilio cominciato a sette anni, quando era stato costretto ad abbandonare il suo villaggio della Galilea. Erano tempi in cui l’ala dura dell’Olp imponeva azioni terroristiche e molte porte restavano sbarrate ai portavoce della causa palestinese. Tra un mese Nemer Hammad lascerà l’Italia con il ruolo che sia pure informalmente gli viene riconosciuto di ambasciatore a Roma dell’Anp. Lo aspetta, a Ramallah, l’incarico di consigliere politico del presidente Abu Mazen alla cui campagna elettorale ha contribuito in prima persona.



Nemer Hammad, parte portandosi dietro molti rimpianti e qualche segreto?



«Ventisette anni sono tanti. Nascono amicizie. Si crea una ragnatela di relazioni». Non sempre facili. «La società italiana è complessa come la sua politica. Si può essere compresi a destra come a sinistra. C’è un partito trasversale con cui si può dialogare. Debbo dire però che era più semplice durante la prima repubblica. Il ruolo dei partiti era diverso. Dai loro dirigenti e dalle loro sedi partivano indicazioni per i ministri. Oggi se si vuole parlare con Alleanza nazionale bisogna rivolgersi a Fini e per Forza Italia cercare direttamente il contatto con Berlusconi».



I tempi cambiano. Quale è stato, nel passato, il suo migliore interlocutore?

«Andreotti, era Andreotti. Poi c’erano molti leader della sinistra».



E il peggiore?

«I rapporti più difficili li ho avuti con il partito repubblicano. Giovanni Spadolini era più israeliano degli israeliani».



Troverà in Palestina una situazione instabile e in evoluzione. Se non, guardando a Gaza, abbastanza caotica. Due giorni fa per opporsi allo strapotere delle milizie, la polizia ha dovuto «occupare» per qualche ora il parlamento.

«Sono solidale con quei poliziotti. Chiedono mezzi per poter imporre l’ordine pubblico. Le milizie vanno sciolte e disarmate ma la situazione non è per niente disperata. La comunità internazionale dovrebbe aiutarci a ricostruire le nostre strutture».



Basterà a contenere la sfida di Hamas?

«L’Autorità palestinese riuscirà ad imporsi creando condizioni di sicurezza. E non solo. Abbiamo bisogno di scuole e di apparati statali che funzionino. Hamas risulterà fatalmente l’espressione di una minoranza».



Al momento non le manca certo il consenso. Favorito anche dagli scandali per corruzione.

«Non nego la corruzione. Ma la stiamo combattendo. Ci sono 33 grandi ladri finiti innanzi ai nostri magistrati. Hamas ha creato una struttura sociale che aiuta le fasce più deboli. Questo conta in una società in cui il 70 per cento della popolazione è fatta di disoccupati ed il 60 per cento vive sotto la soglia di povertà. Noi abbiamo bisogno di stimolare il commercio per creare posti di lavoro e aspettative concrete»



In questo Israele non aiuta.

«Siamo chiusi da terra, dal mare e dal cielo. I coloni che producevano fiori a Gaza riuscivano ad esportarli in Olanda nel giro di dieci ore. I nostri agricoltori trovano ostacoli insuperabili. Diciamo che i nostri fiori fanno prima ad appassire».



Agli occhi del mondo Sharon ha compiuto una inversione di rotta radicale abbandonando Gaza e creando le premesse per la nascita dello Stato palestinese. Si fida di lui?

«Io mi attengo a quello che ha detto e a quello che fa. Certo ha lasciato Gaza ai palestinesi. Ma guardiamo ai suoi programmi per la Cisgiordania. Vuole dividerla in tre cantoni. Vuole rafforzare gli insediamenti e non soltanto intorno a Gerusalemme. Nel nord, a Nablus, ci sarà una penetrazione di Israele per 25 chilometri in territorio palestinese. La Striscia è soltanto un fazzoletto di terra, non può essere considerata il futuro Stato. Nei territori attraversati dal muro ci saranno oltre trecentocinquanta check point. Sharon ha fatto un grande gesto, ma va valutato anche quello che intende fare».



Il muro è stato definito la barriera dell’apartheid. Israele sostiene, però, che ha fermato il terrorismo.

«È una grande bugia. È l’Anp che lo sta fermando con le sue azioni repressive. Ma va anche aiutata. I kamikaze non sono tutti fondamentalisti. Anzi. Ai giovani cui viene indicato il paradiso va data, in terra, una speranza».
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