venerdi 03 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Mattino Rassegna Stampa
08.09.2005 Una cronaca ambigua dell'omicidio di Moussa Arafat
sul quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 08 settembre 2005
Pagina: 8
Autore: Vittorio Dell'Uva
Titolo: «Esplode la faida a Gaza, ucciso il cugino di Arafat»
Articolo di Vittorio Dell'Uva sull'omicidio di Moussa Arafat, sul MATTINO di giovedì 8 settembre 2005. A parte l'uso dei termini "militanti" o "combattenti" per indicare i terroristi (che Moussa sarebbe stato disposto a "vendere" un allusione ai brevi periodi in cui alcuni di loro erano incarcerati dall'Anp), l'articolo si segnala per una frase ambigua che ipotizza dietro lo scontro interno ai palestinesi un piano di destabilizzazione, i cui risultati consentirebbero a Sharon di definire Gaza un' area "dominata da bande armate".

Inappropriato anche l'uso del termine "flirtare" per i rapporti tra Moussa e i servizi di sicurezza israeliani. Rapporti del tutto naturali, dato che Moussa diresse per lungo tempo quelli palestinesi che avrebebro dovuto cooperare nella lotta al terrorismo.
Avrebbero dovuto, ma non lo fecero, giova ricordarlo.

Ecco il testo:

Era fatale che a Gaza, trasformata dalla mossa di Ariel Sharon nel primo vero embrione del futuro Stato palestinese, scoppiasse quella che oggi può essere definita la «intifaida». La volontà di porre opzioni sul futuro suggerisce ai gruppi oltranzisti di mostrare la propria forza anche con il ricorso ad operazioni di tipo militare. Il tramonto della vecchia guardia arafatiana comimcia ad essere segnato dalla attesa resa dei conti. Ma i 23 proiettili che hanno chiuso a 65 anni l’esistenza di Mussa Arafat e la morte cui sembra condannato il figlio Manhal il suo braccio destro, non saldano soltanto conti che da tempo erano rimasti in sospeso con un uomo che non lascia troppi rimpianti. Inaugurano piuttosto una nuova stagione in cui la lotta politica non soltanto può farsi brutale, ma anche essere affiancata da quella tra bande che inseguono gli interessi economici destinati a materializzarsi con la ricostruzione promessa da molti donatori in nome della pace possibile. Mussa Arafat, che il «grande cugino», il defunto presidente Yasser, aveva fatto generale affidandogli la guida della «sicurezza palestinese», era stato assiduo frequentatore delle scuole del potere e dell’intrigo prima di essere messo in un angolo buio dalla nuova leadership guidata da Abu Mazen. Da combattente di Al Fatah si era guadagnato più «medaglie», durante la guerra dei Sei giorni, come in Libano e Giordania. La fedeltà al vecchio rais l’aveva pagata con l’umiliazione dell’esilio a Tunisi finita grazie agli accordi di Oslo. Ma sempre e molto era stato attento a gestire i propri affari e ad inseguire le proprie ambizioni. Filtrando se necessario con l’intelligence israeliana che pure gli attribuiva comportamenti ambigui e la responsabilità per il mancato controllo dei gruppi armati palestinesi in grado di compiere incursioni e attentati. Dotandosi di un piccolo esercito che si dice fosse formato da duemila uomini. Di lui si diceva che aveva in qualche misura «stregato» anche Yasser Arafat che, costretto da una rivolta popolare a rimuoverlo dal ruolo, che gli aveva affidato ne aveva fatto pur sempre il responsabile dei «servizi» nella fascia di Gaza. Offrendogli nuove opportunità mai tralasciate. Il giudizio emesso dal gruppo che è riuscito ad eliminare Mussa Arafat dopo che altri tentativi erano falliti, coincide in pieno con quello emesso dalla opinione pubblica palestinese. Per molti era il simbolo della corruzione ed anche del collaborazionismo con il nemico. Pronto a porre tangenti su tutto, a «vendere» i combattenti della «intifada», ad offrire i propri servigi alle banche per «convincere» i debitori a pagare, a ricattare quanti nell’Anp e in Al Fatah avevano accumulato disinvoltamente tesori. Nonchè ad utilizzare a fini personali le informazioni di cui per il suo ruolo veniva in possesso. Un curriculum di tale portata lascia intravedere dietro la sua esecuzione molti possibili mandanti. Le circostanze della sua morte non fanno che rendere il quadro quanto più confuso possibile. Per 45 minuti cento uomini armati hanno dato l’assalto alla sua casa di un quartiere residenziale, utilizzando anche armi pesanti, senza che le forze della sicurezza dell’Anp avvertissero la necessità di intervenire. Troppo modesta per essere credibile è la capacità di mobilitazione delle brigate Sallah-a-din che a nome di un piccolo ngruppo il «Comitato di resistenza popolare», hanno rivendicato l’operazione. Ma soprattutto, senza che vengano versate troppe lacrime, un personaggio ingombrante scompare nel momento delicatissimo della consegna di Gaza ad Abu Mazen inducendo Israele ad anticipare il ritiro dei propri soldati da un area che Sharon può oggi definire dominata da bande armate. Al sospetto che un processo di destabilizzazione sia stato avviato con la morte di Mussa Arafat se ne affiancano altri. Ci potrebbero essere gruppi che, uscita Israele dalla «striscia», vorrebbero imporre il proprio modello di «normalizzazione». Indicando alla nuova leasdership, costretta a proclamare lo stato di emergenza, che se troppo moderata dovrà misurarsi con uno scontro interpalestinese per il potere ed i suoi derivati.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de IL MATTINO. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

posta@ilmattino.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT