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Il Mattino Rassegna Stampa
23.05.2005 Un quotidiano che disinforma sistematicamente
contribuendo a demonizzare Israele

Testata: Il Mattino
Data: 23 maggio 2005
Pagina: 12
Autore: Pietro Gargano - Michele Giorgio - Titti Marrone
Titolo: «La pace ha bisogno di ponti, non di muri - Io cristiano di sinistra, sindaco di Betlemme - Nella Rete dell’antisemitismo»
Posto di fronte ai dati che confutano la disinformazione da lui operata sul MATTINO Pietro Gargano risponde chiamando in causa... l'infallibilità papale.
Che anche per i cattolici però, riguarda la morale e la fede, non la cronaca.
Chiamando "muro" la barriera difensiva israeliana il papa è stato impreciso.
E nessun argomento d'autorità vale a modificare la realtà dei fatti.

Ecco il testo della lettera e della risposta:

A un lettore che qualche giorno fa stigmatizzava il paragone tra il "muro" in costruzione in Israele e il "muro di Berlino Est", il Mattino ha risposto: «Come vuole chiamarlo un muro?». La risposta è deludente, giacchè: 1) definire "muro" quello in Israele è improprio. Esso è una "barriera difensiva", tant'è che per molti chilometri vi è una rete con dei sensori per individuare potenziali "ospiti" non graditi; 2) le statistiche sono incontrovertibili: anche per via della barriera difensiva, gli attentati suicidi sono diminuiti di oltre il 70 per cento e tante vite sono state salvate; 3) il Muro di Berlino fu costruito per impedire che i tedeschi sotto schiaffo sovietico scappassero nella libera Germania federale, cosicché il paragone col "muro" israeliano è anche sbagliato sotto il profilo storico. In ultimo, va ricordato che la barriera difensiva ha creato e crea notevoli disagi nella popolazione palestinese e che il suo tracciato non segue sempre la cosidetta "linea verde", ovvero i confini tracciati dopo il 1967. Speriamo che il processo di pace in corso renda in un futuro prossimo inutile questa barriera e che essa venga abbattuta.

Risponde Pietro Gargano

Mi dispiace per la sua delusione, gentile ingegnere, ma le ricordo una frase di papa Wojtyla in materia: «La pace ha bisogno di ponti, non di muri». Evidentemente anche il Santo Padre fu impreciso.
Il 21 maggio 2005 IL MATTINO pubblica un articolo su Betlemme. Ignorando del tutto le intimidazioni anticristiane degli islamisti a Betlemme, Michele Giorgio e il sindaco della cittadina, "cristiano e marxista", ma alleato di Hamas, descrivono una situazione di concordia sociale turbata solo dalla'occupazione israeliana.

Dopo aver taciuto nei giorni dell'offensiva terroristica antiisraeliana (più di 65 colpi di mortaio tra mercoledì 18 e giovedì 19) il quotidiano napoletano rilancia con un articolo in cui, secondo copione, Israele è l'unico "cattivo".

Ecco il testo:

Gerusalemme. Betlemme, città della Natività considerata uno dei luoghi santi del Cristianesimo, sarà amministrata da una coalizione rosso-verde, formata dai tre consiglieri del Fronte popolare (una formazione di orientamento marxista) e dai cinque del movimento islamico Hamas. L’inedita alleanza politica, che esclude dal potere dopo trent’anni Al-Fatah (il partito di Abu Mazen), è il risultato delle elezioni amministrative del 5 maggio che hanno visto gli islamisti ottenere diffusi consensi in molte città a svantaggio di Al-Fatah e l’affermazione, in alcune località, di forze politiche della sinistra. Nuovo sindaco è stato nominato Victor Batarseh, 70 anni, cattolico con una lunga militanza nel Fronte popolare e medico molto stimato dai suoi concittadini (lavora nell’ospedale pediatrico della città). Dottor Batarseh lei è chiamato a governare una città alla quale guardano i cristiani di tutto il mondo e dovrà farlo con l’aiuto del movimento islamico Hamas. «Betlemme è importante per tutti, cristiani e musulmani. La mia amministrazione cercherà di promuovere lo sviluppo e il benessere di tutti i cittadini tenendo ben presente le pecularietà di questa città che da sempre attira da tutto il mondo pellegrini e turisti cristiani». Lei, appena nominato sindaco, ha fatto uso di fair-play nei confronti della passata amministrazione, dopo giorni di dibattito politico acceso tra Al-Fatah da una parte e Fronte popolare ed Hamas dall’altra. Come va letto il suo atteggiamento? «Credo sia giusto riconoscere dei meriti alla amministrazione guidata dal sindaco uscente Hanna Nasser. Ha fatto molto per questa città dovendo affrontare problemi molto gravi. Quando parliamo di ciò che c’è da fare a Betlemme, non ci riferiamo solo ai lavori di pavimentazione stradale o alla costruzione di giardini pubblici, ma dobbiamo tenere conto più di tutto che la città è soffocata dalle forze di occupazione israeliane e che il muro che il premier Sharon sta facendo costruire in Cisgiordania sta avendo un impatto devastante su Betlemme e sta vanificando molte sue potenzialità. Ogni movimento da e per la città è controllato dalle forze armate israeliane e il turismo ne soffre». La sua amministrazione è stata etichettata rosso-verde, il rosso del Fronte popolare e il verde di Hamas. Non è singolare questa allenza tra marxisti e islamisti?. «Vero, ma solo fino ad un certo punto. Si tende a semplificare le composizioni interne del Fronte popolare e di Hamas dimenticando che un amministratore locale deve comunque fare il bene della sua comunità e governare con competenza e trasparenza. Lo stesso accade per le questioni religiose. Sono di sinistra ma mi considero anche un cattolico praticante. I consiglieri di Hamas non verranno in aula imbracciando il fucile o per promuovere solo la causa dell’Islam ma, invece, verranno per prendere decisioni per il bene della nostra comunità. Sarà, spero, una alleanza fruttuosa».
Venerdì 20 maggio 2005 il quotidiano napoletano pubblica una bella recensione del libro di Daniele Scalise "I soliti ebrei".

Leggere sul MATTINO, campione della disinformazione antiisraeliana frasi come "Centrale, nell’analisi de «l’odio in verde» - l’ostilità sorta intorno agli ebrei di tutto il mondo dalla prima guerra del Golfo - è la notazione sul frettoloso quanto sospetto giustificazionismo diffuso a favore di islamici e palestinesi, quando si tratta di condannare Israele" ha però un effetto quasi comico.

Il "frettoloso quanto sospetto giustificazionismo" a favore di palestinesi e islamici e le condanne aprioristiche di israele non sono certo pratiche estranee al quotidiano, infatti.

Complimenti a Titti Marrone per un articolo molto superiore al livello medio del suo quotidiano, ma la direzione e la redazione dovrebbero fare qualcosa per riequilibrare l'approccio al conflitto israelo-palestinese.

Ecco il testo:

Nel linguaggio gergale giovanile c’è un termine diffuso a mo’ di insulto: «rabbino». Non è tra i più gravi, si usa con intenzioni non propriamente malevole quando un ragazzo, dando a un altro del taccagno, vuol sentirsi spiritoso. È un esempio minimale di quell’antisemitismo persistente, radicato come una seconda pelle, presente fin nel banale colloquio quotidiano. A occuparsene, in un libro esemplare per chiarezza e scorrevolezza, è ora Daniele Scalise ne I soliti ebrei (Mondadori, pagg. 161, euro 16,50). È un viaggio nell’odio contro l’ebreo nell’Italia contemporanea, condotto dall’autore con lo scrupolo dell’inchiesta giornalistica e la passionalità della battaglia contro i pregiudizi. Scalise ne segue l’esistenza sottotraccia in antiche e nuove dicerie che evocano nel tempo sempre i medesimi cupi fantasmi e svelano il loro volto tutt’altro che innocuo: «La strada che inizia con un divertissement ingiurioso e finisce ai forni crematori è meno impervia di quanto non si pensi», scrive. E lo dimostra rintracciando quei segni costanti e minacciosi - le citazioni da evergreen come I protocolli dei savi di Sion, le accuse di deicidio, di profanazione dell’ostia, di ricca lobby operante a livello mondiale - che riemergono periodicamente da dichiarazioni, pubblicazioni, siti internet. Il viaggio di Scalise comincia con «l’odio in bianco», cioé l’antigiudaismo che alligna in ambienti cattolici. E stupisce per il fatto che a farsene espressione non siano solo i tradizionalisti lefebvriani ma anche personalità di cui si presumerebbe la mente sgombra da pregiudizi, vignettisti come Forattini o preti come Baget Bozzo. Né è un mistero che la stessa volontà manifestata da papa Wojtyla fin dalla visita alla sinagoga di Roma di ricostituire i rapporti con i «fratelli maggiori» venne percepita con fastidio in alcuni ambienti cattolici. Centrale, nell’analisi de «l’odio in verde» - l’ostilità sorta intorno agli ebrei di tutto il mondo dalla prima guerra del Golfo - è la notazione sul frettoloso quanto sospetto giustificazionismo diffuso a favore di islamici e palestinesi, quando si tratta di condannare Israele. Sentimento che s’incrocia con «l’odio in rosso», cioé lo sgradimento verso gli ebrei manifestato dalla sinistra. Di quest’ultimo, Scalise individua come data d’origine il 1967, «l’indiscussa decisione di Mosca di girare le spalle alla democrazia israeliana e di abbracciare e foraggiare le dittature arabe». Però, a ben vedere, l’antisemitismo di sinistra ha origini anche precedenti, attestato dalla condizione stessa degli ebrei in Urss durante lo stalinismo, che non fu propriamente idilliaca. Di «stazione» in «stazione», il viaggio nell’odio antigiudaico di Scalise si conclude con «l’odio in rete», luogo privilegiato per la diffusione di siti e chat antiebraici. Qui è tutto un pullulare di offerte di libri antisemiti, scritti che negano l’esistenza delle camere a gas ad Auschwitz, frasi grossolane (e molto condivise) come «chi ama tanto gli ebrei perché non se ne va a stare in Israele?». Tra tutti spicca il delirante sito di Holywar, dove si legge la seguente aberrazione: Hitler sarebbe stato un ebreo e il nazismo una versione eterodossa dell’ebraismo. A riprova di come l’odio possa sconfinare senza mezzi termini nella pura follia.
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