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Il Mattino Rassegna Stampa
12.07.2004 Salvare la faccia ad Arafat
e dar voce solo ai critici di Israele

Testata: Il Mattino
Data: 12 luglio 2004
Pagina: 7
Autore: un giornalista - Michele Giorgio - la redazione
Titolo: «Notizie da Israele e Anp»
E' incredidibile come Il Mattino tenti sempre di salvare la faccia ad Arafat. Nel trafiletto che si può leggere in prima pagina, così come nell'articolo e nell'occhiello di pag.7, viene riporatata in modo zelante la condanna all'attentato espressa dal dittatore palestinese. L'autore dell'articolo, inoltre, una volta spiegato che i terroristi (e non, come dice il giornalista, "gruppo armato") dei "martiri di al-Aqsa" sono affiliati ad al-Fatah, si guarda bene dal dire che proprio Arafat è a capo di al-Fatah e che quindi gli autori delle stragi fanno capo proprio a lui. Del resto Il Mattino ci ha abituati ad una campagna di completa censura sui crimini e sui misfatti dell'Autorità Palestinese tiraneggiata da Arafat. Mai un articolo, un titolo, un occhiello, una foto che possano screditare la sua immagine.
Nè il titolo in prima pagina, nè quello del servizio interno riportano in modo esplicito le conseguenze dell'attentato e la matrice dello stesso. Solo nell'occhiello viene menzionata l'uccisione di una soldatesssa. Nell'articolo, poi, la soldatessa non ha nome nè età.
Al terzo giorno dalla sentenza della Corte dell'Aja Il Mattino non ha ancora ospitato un intervento a difesa delle ragioni d'Israele (non di Sharon, perchè in Israele la barriera difensiva è voluta dalla quasi totalità dei cittadini e dei partiti politici, ma anche questo viene taciuto). In compenso sul quotidiano napoletano si possono leggere articoli che riportano pareri completamente ostili alla barriera: oggi è il turno del Vaticano e di Kofi Annan.
Pubblichiamo il pezzo a pagina 7: "Bomba a Tel Aviv, per Sharon colpa dell'Aja".

Tel Aviv. Bomba a Tel Aviv, ieri mattina, dopo settimane di relativa tregua. L’esplosione a una fermata dell'autobus 26 nel centro della città israeliana ha provocato alle sette del mattino - un'ora di punta in Israele dove la domenica è un giorno lavorativo - la morte di una giovane soldatessa di leva, e il ferimento di almeno altre 20 persone, quattro delle quali in condizioni gravi. L’ordigno è esploso pochissimi secondi dopo che un autobus aveva lasciato la fermata. Una manciata di secondi prima sarebbe stata probabilmente una strage: il bus era stracarico di gente che andava al lavoro.
L'attentato, il primo in Israele dal 14 marzo scorso, è stato rivendicato dalle Brigate Al Aqsa, il gruppo armato palestinese vicino Al Fatah. Tuttavia il presidente palestinese Arafat ha condannato l’attacco, insinuando anche che possa essersi trattato di una provocazione.
Durissima la reazione israeliana, espressa dalle parole del primo ministro Sharon. Facendo riferimento alla decisione presa venerdì scorso dalla Corte di Giustizia internazionale dell’Aja (che aveva condannato la costruzione del muro di separazione voluto dagli israeliani, giudicandolo illegale e chiedendone la demolizione), Ariel Sharon ha sostenuto che «l'assassinio di oggi è il primo commesso sotto la protezione del parere della Corte dell'Aja». Secondo il premier il documento dei giudici internazionali incoraggerebbe il terrorismo palestinese. Allo stesso tempo Sharon ha voluto ribadire la sua posizione, dicendo che Israele non intende uniformarsi alla decisione della Corte internazionale e che quindi proseguirà nella costruzione del muro, nonostante sia stata ritenuta illegale.
L’attentato di ieri mattina a Tel Aviv è il primo dal 14 marzo scorso. Non si è trattato di un attacco kamikaze. La bomba, ha detto il capo della polizia di Tel Aviv Yossi Sedbon, era nascosta dietro a un cespuglio, vicino alla fermata di via Har Tsion, nei dintorni della stazione centrale dei bus, ed è stata attivata a distanza. Schlomi Ben Amo, che seguiva il bus nella propria auto, ha raccontato di «avere visto una soldatessa proiettata per aria» dall'esplosione. «La gente era isterica, tutto volava per aria» ha raccontato. Un passeggero del bus, Yarden Brihon, ha detto che l'esplosione si è verificata «un secondo dopo che avevamo lasciato la fermata: una donna incinta accanto a me è crollata per terra. L'autista ha aperto le porte e siamo corsi fuori».
L'ultimo attentato in Israele era avvenuto il 14 marzo nel porto di Ashdod. Due kamikaze si erano fatti esplodere uccidendo 10 persone. L'attentato era stato rivendicato da Hamas. Nella rivendicazione per l’attentato di ieri, le Brigate di Al Aqsa hanno affermato di avere voluto vendicare l'uccisione di due loro comandanti negli ultimi giorni in Cisgiordania e a Gaza.
Sempre a pagina 7 l'articolo di Michele Giorgio "Monito di Annan: Israele rispetti il diritto"
Gerusalemme. Israele deve rispettare il diritto internazionale. A prendere posizione senza mezzi termini è il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, riferendosi all’importante decisione della Corte di Giustizia internazionale dell’Aja, che ha stabilito l’«illegalità» del muro di separazione fatto costruire dal governo Sharon. Qualunque azione assunta da Israele «deve essere presa in conformità con il diritto internazionale», ha detto Annan. «Ritengo che la decisione della Corte sia chiara - ha aggiunto - Se accettiamo il fatto che il governo di Israele abbia la responsabilità, e in effetti il dovere, di tutelare i suoi cittadini, qualunque azione che intraprende deve essere conforme al diritto internazionale e deve rispettare gli interessi dei palestinesi».
Da parte sua, il presidente palestinese Arafat ha annunciato una strategia diplomatica in due tempi per far valere i diritti dei palestinesi alla luce della decisione della Corte dell’Aja. I palestinesi intendono rivolgersi subito all'Assemblea generale dell'Onu perché si pronunci su quanto stabilito dalla Corte. Pensano però di rinviare ad un secondo momento la discussione del caso presso l’altro - più importante - organo dell’Onu: il Consiglio di Sicurezza. Il motivo è chiaro e lo hanno spiegato gli stessi palestinesi: al Consiglio di Sicurezza gli Stati Uniti dispongono del diritto di veto (possono cioè bloccare l’approvazione di una risoluzione). E dal momento che gli israeliani hanno chiesto apertamente agli Usa di bloccare qualsiasi decisione dell’Onu a loro contraria, i palestinesi preferiscono - per il momento - evitare lo scontro con Washington. Aspettando che si svolgano le elezioni presidenziali. Con Kerry alla Casa Bianca al posto di Bush, tra l’altro, i palestinesi pensano che potrebbero aprirsi margini nuovi di confronto.
Venerdì scorso, la Corte dell'Aja non solo ha definito illegale, la barriera di separazione, per le parti costruite in territorio palestinese, ma ne ha anche chiesto lo smantellamento. Ora, toccherebbe appunto all’Onu adoperarsi per far rispettare una decisione della Corte dell’Aja: a maggior ragione dopo che il governo Sharon ha ripetuto, anche ieri, che non intende uniformarsi alla richiesta della Corte di Giustizia internazionale. Che cosa accadrà, dunque, dipende molto anche da come i palestinesi giocheranno le loro carte diplomatiche. La strategia messa a punto durante una riunione di crisi convocata dal presidente Yasser Arafat e dal premier Abu Ala, prevede dunque di fare ricorso subito all'Assemblea generale dell'Onu, nella quale dispongono, grazie all'appoggio dei paesi del Terzo Mondo,
(tra i quali tantissime dittature, come dittature sono i paesi arabi che concorrono a quella maggioranza automatica)
di una maggioranza quasi automatica
E il trafiletto: "Il Vaticano: sentenza importante".
Quella emessa dalla Corte Internazionale dell'Aja a proposito della costruzione di un muro da parte degli israeliani che li separi da una parte di Territori palestinesi è «una sentenza di peso, perché è stata chiesta dall'organizzazione delle Nazioni Unite». Così il portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls ha risposto ieri ad una domanda su come il Papa valutasse la recente pronuncia della Corte Internazionale. «Adesso - ha voluto aggiungere Navarro - si vedrà cosa faranno i governi». In passato Giovanni Paolo II aveva sottolineato che per la costruzione del dialogo e della pace in Medio Oriente occorre realizzare «ponti e non muri».
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