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Il Mattino Rassegna Stampa
10.07.2004 Scatenato il quotidiano napoletano
con la sentenza dell'Aja ci va a nozze

Testata: Il Mattino
Data: 10 luglio 2004
Pagina: 1
Autore: la redazione-Michele Giorgio
Titolo: «La sentenza del'Aja»
Gran festa al Mattino per la sentenza dell'Aja. Non commentiamo i contenuti, lasciando al lettore l'ingrato compito di verificare da solo il livello dei testi.

Ecco il primo, un'intervista di Luiciano Pignataro, ad un docente dell'Università di Padova:

"Torna il diritto internazionale"
Il professore Papisca "Ora tocca all'Onu farlo rispettare"

«Davvero una bella mazzata, anzi una mattonata». Non ha molti dubbi il professore Antonio Papisca (nella foto), ordinario di Relazioni Internazionali alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, dopo il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia sul muro di Sharon. «Credo proprio - aggiunge - che ci troviamo di fronte ad un documento storico».
Quali sono i punti che la colpiscono di più del parere della Corte dell’Aja?
«In sintesi sono tre. Il primo riguarda il fatto che il committente di questa iniziativa giuridica è l’Assemblea Generale dell’Onu. Va sottolineata poi la quasi unanimità dei giudici: quattordici su quindici lo hanno sottoscritto».
L’unico contrario, sarà una coincidenza, è di nazionalità americana...
«Sì, vale la pena fare un breve inciso su questo, quasi che il giudice non sia indipendente, ma rappresentante di uno Stato».
Diciamo che è una coincidenza significativa?
«Significativa».
E il terzo punto?
«Senza dubbio la specificità e il modo diretto con cui la Corte affronta il problema, spostando l’attenzione sul terreno della responsabilità politica della costruzione del muro e delle sue gravi conseguenze. Ci sono riferimenti precisi alla Road Map».
Gli Stati Uniti hanno però contestato la stessa legittimità dell’Aja ad intervenire su questa materia.
«Il parere, non è una sentenza perché ha valore consultivo, tiene conto preventivamente proprio di queste obiezioni quando al primo punto ribadisce, stavolta all’unanimità, di avere la competenza necessaria per poter rispondere al parere richiesto dall’Assemblea Generale dell’Onu».
Torniamo dunque al primo punto che lei ha sottolineato: quello che riguarda proprio l’Onu.
«Naturalmente è molto importante che il committente sia l’Assemblea e non il Consiglio di Sicurezza, dove c’è sempre la possibilità del diritto di veto. L’Assemblea, invece, forte di questo parere, può decidere di intervenire in maniera concreta. Ormai è arrivato il momento di inviare osservatori internazionali in un territorio così martoriato, così come del resto chiedono da tempo i palestinesi. Dunque il parere ha un gigantesco peso etico e politico in questa direzione, ribadisce la necessità di ripristinare la legalità internazionale come via maestra da percorrere».
La Corte sostiene appunto come il muro costruito in terra occupata da una forza occupante sia contrario al diritto internazionale.
«Questo significa il diritto al risarcimento là dove sono stati fatti danni alle cose, alla natura e alle persone. Il parere della Corte supera i confini giuridici e tecnici e acquista una valore profondo, etico appunto».
Perché etico?
«Sappiamo cosa ha significato la costruzione, e dunque poi l’abbattimento, dei muri nel corso del Novecento. Farne uno nuovo all’inizio del nuovo millennio è percepito come un pesante segnale di arretramento storico da parte dell’opinione pubblica mondiale».
Il governo Sharon ha sostenuto la necessità di difendersi dal terrorismo.
«Una obiezione molto debole. Anzitutto il terrorismo è sempre il risultato della mancanza di soluzione politica ad un problema. Poi bisogna dire agli stati che ritengono di essere in prima linea in tema di civilità giuridica che non è possibile affermare le proprie ragioni violando il diritto internazionale, ma difendendolo».


Segue Michele Giorgio, a cui torna il sorriso cos' come ad Arafat.
Ecco il pezzo:

Arafat esulta: una vittoria dei popoli liberi

MICHELE GIORGIO
Gerusalemme. Dopo quasi due anni di assedio nel suo quartier generale di Ramallah, il presidente Yasser Arafat torna a sorridere. Tra i palestinesi il parere espresso dalla Corte Internazionale dell’Aja viene considerato una «svolta storica». L’organo della giustizia internazionale si è pronunciato senza possibilità di equivoci: il muro voluto dal premier israeliano Sharon, destinato a separare i Territori da Israele, è illegale. Vìola il diritto. E deve essere smantellato. Non solo: la Corte chiede anche esplicitamente all’Onu di attivarsi per fare in modo che la violazione del diritto internazionale da parte di Israele venga ora impedito.
Quello che da sempre i palestinesi avevano definito il «muro della vergogna», il «muro dell’aprtheid», il «muro del razzismo», secondo la Corte dell’Aja deve essere demolito. «È una vittoria per il popolo palestinese e per tutti i popoli liberi del mondo», ha detto raggiante Arafat. «È una decisione storica», ha insistito il premier Abu Ala. Dunque ora i palestinesi intendono sfruttare a fondo l'arma politica e diplomatica che i giudici internazionali hanno messo ora nelle loro mani e in quelle dei loro alleati del mondo arabo per ottenere dall'Onu sanzioni vere contro lo Stato ebraico.
«Il prossimo passo è di chiedere all'Assemblea generale dell'Onu e al Consiglio di Sicurezza di adottare una risoluzione che isoli e punisca Israele», ha affermato Nabil Abu Rudinah, consigliere politico di Yasser Arafat. «Da oggi - ha aggiunto - Israele deve essere considerato uno Stato fuori legge: questa decisione provocherà il suo isolamento». Il ministro per i negoziati, Saeb Erekat, ha confermato che fra le opzioni che si offrono ora ai dirigenti palestinesi «figura un ricorso al Consiglio di Sicurezza o all'Assemblea generale dell'Onu». «La comunità internazionale deve costringere Israele a rispettare il parere della Corte e a smantellare il muro, altrimenti il regime di occupazione israeliano dovrà essere isolato come avvenne con il regime dell'apartheid sudafricano all'inizio degli anni '70», ha commentato il deputato arabo israeliano Ahmad Tibi.
L'opzione che naturalmente i dirigenti palestinesi preferirebbero a questo punto è che il Consiglio di Sicurezza Onu adotti una risoluzione di condanna della barriera e ordini a Israele di rimuoverla. Ma questo passo non è facile da realizzare. D’altra parte la prima reazione da parte del governo degli Stati Uniti, è stata quella di schierarsi comunque al fianco di Israele. In un comunicato, letto ai giornalisti dal portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan, gli Usa si spingono a sostenere che «la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja non è il foro appropriato» per pronunciarsi su questa materia.
Ma ora per l’Unione Europea, i Paesi arabi e (si suppone) la maggioranza dei Paesi che fanno parte dell’Onu, sarà difficile non tener conto di una sentenza emessa da un organo tenuto a far rispettare il diritto internazionale. Molti giochi sembrano riaprirsi. Lo sa bene Arafat. Che torna a sorridere.
Il parere non vincolante ma di forte valore politico
"Il muro di Israele è illegale: va abbatuto"
Dalla Corte di Giustizia dell'Aja duro atto di accusa a Sharon. Ma lui replica: andremo avanti

L'Aja. Il muro di separazione voluto da Israele è «contrario al diritto internazionale». Netto il parere emesso ieri dalla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, che ha bocciato senza mezzi termini la costruzione della barriera ordinata dal governo di Ariel Sharon. La decisione, letta nel pomeriggio nel Palazzo della Pace - sede della Corte all’Aja - da un punto di vista tecnico-giuridico, è solo un parere consultivo. Tuttavia la sua importanza politica è destinata ad avere effetti dirompenti. Non a caso, immediata è stata la reazione israeliana: Sharon ha fatto sapere che il parere della Corte non modificherà i suoi piani. Ma immediata è stata anche la reazione palestinese: Arafat ha definito una «vittoria dei popoli» il pronunciamento della Corte dell’Aja ed ha chiesto che ora venga fatta rispettare.
In effetti, la decisione della Corte ha tutto il sapore di una sentenza storica. Eccezion fatta per una breve pausa, nelle quasi due ore e mezzo di lettura, il presidente della Corte - il giudice cinese Shi Jiuyong - non ha mai staccato la vista dal documento, lungo 59 pagine e il cui titolo («Effetti giuridici sulla costruzione di un Muro nel territorio palestinese occupato») indica con chiarezza la materia affrontata in quattro mesi di deliberazioni dal presidente e dagli altri 14 giudici della Corte, uno solo dei quali - l'americano Thomas Buergehthal - ha votato contro l'illegalità della barriera.
Oltre che le conclusioni, l'altro paragrafo chiave del parere è il 137, in cui si afferma che «la costruzione del Muro è da parte di Israele una violazione di diversi dei propri obblighi nei campi del rispetto dell'applicazione della legge umanitaria internazionale e degli strumenti dei diritti umani». Lo stesso paragrafo smonta d'altra parte quella che da sempre è l'argomentazione principale segnalata da Israele per la costruzione della barriera, vista da Tel Aviv quale una sorta di necessaria prevenzione anti-kamikaze: la Corte - che è il principale organo giurisdizionale dell'Onu - «non è convinta, sostiene il testo, del fatto che il tracciato del Muro sia stato scelto per ragioni di sicurezza».
Nelle loro motivazioni contro quello che i palestinesi chiamano «il Muro dell'apartheid», i giudici hanno dato ampio spazio anche ad altri due punti fondamentali, oltre a segnalare con forza di avere una ampia «giurisdizione» per occuparsi del caso: la necessità che la barriera venga «smantellata» nella parte in cui s'incunea nei Territori occupati; un pressante e urgente appello lanciato «all'Assemblea Generale dell'Onu» per giungere ad una «soluzione negoziata» sia della barriera sia «della creazione di uno Stato palestinese».
Ma i punti in cui i giudici si sono inclinati dalla parte dei palestinesi sono stati molti. Per esempio, quando la Corte - con un linguaggio sereno nella forma, ma implacabile nel contenuto - afferma di «temere» che il Muro possa portare a delle «annessioni» di Territori e che non sia, come dice Israele, una misura «provvisoria».
L'Aja sospetta insomma che la «barriera di sicurezza» possa aprire le porte all'annessione di consistenti porzioni del territorio palestinese. I giudici non hanno tentennato neppure sulla spinosa questione dei «risarcimenti» per i danni, i disagi e le violazioni dei diritti subìti dai palestinesi. Su questo punto, la Corte ha fatto sapere che Israele viola la Convenzione di Ginevra del 1949 sui diritti dei civili in tempi di guerra, ricordando che tale Convenzione deve invece essere rispettata dallo Stato ebraico.
Già all’Aja, per capire chi ha vinto e chi perso, è bastato comunque vedere le reazioni dei due fronti durante un incontro con la stampa, pochi minuti dopo la decisione: il delegato israeliano, Daniel Tau, ha accusato la Corte di essere «politicizzata», ammonendo che la causa profonda del Muro è «il terrore proveniente da Gaza e Ramallah». Numerose fonti israeliane hanno infatti sostenuto che il concetto di «terrorismo» non è stato preso in considerazione dai giudici. Da una lettura del testo, tali parole appaiono solo in quattro occasioni, tutte riguardanti citazioni riferite a dichiarazioni israeliane. Completamente di segno opposto è stata la reazione palestinese: l'ambasciatore presso l'Onu, Nasser Al-Kidwa, ha detto che quella di oggi è stata «una giornata storica: per la Palestina, la legge e la pace in Medio Oriente».
re.mo.


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