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Libero Rassegna Stampa
16.11.2024 L’Europa è ferma
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 16 novembre 2024
Pagina: 1/12
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Usa e Argentina pronti al decollo, mentre l'Europa deve ancora mettersi in moto»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 16/11/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Usa e Argentina pronti al decollo, mentre l'Europa deve ancora mettersi in moto", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Milei e Trump, i presidenti dell'Argentina e degli Usa lanceranno un nuovo asse politico fondato sullo sviluppo. Le loro ricette, come dimostrano il primo anno di Milei e la scorsa amministrazione Trump, sono un volano per la crescita economica. Mentre l'Europa, ingessata dalla sua burocrazia, rimarrà al palo. Sempre che non ci diamo una mossa.

Guardiamole bene le immagini delle strette di mano, dei sorrisi, dei caldi abbracci tra Javier Milei e Donald Trump, ovviamente alla presenza di Elon Musk.
Non c’è solo l’ovvia soddisfazione e la reciproca palpabile simpatia tra tre grandi “irregolari”, accompagnata da un altrettanto legittimo e comune calcolo di immagine: i tre si piacciono tra loro (questo è evidente), piacciono a tantissimi in giro per il mondo, e sanno soprattutto che questo sterminato pubblico globale li apprezza proprio nella loro complementarietà.
C’è un’immensa audience mondiale che ama in Trump l’incarnazione della rottura dello schema dei dem come vincitori obbligati (e invece li si può battere, e lo si può fare combattendo contro tutto: «Fight, fight, fight»), in Musk una dimensione tecno-futurizzante che però sa tradursi in meravigliose realizzazioni concrete, in Milei il fatto che la rivoluzione conservatrice possa assumere connotati liberali e libertari.
Non sto proponendo una impossibile sistematizzazione ideologica di un fenomeno articolato, magmatico e complicatissimo, né tantomeno voglio confondere tra loro entità non paragonabili: la prima economia del mondo con un paese che ha ancora forti elementi di fragilità come l’Argentina.
Ma quei tre signori indicano uno standard comune. Si può intercettare e incanalare la rabbia delle persone, cioè la solenne incazzatura dei cittadini contro il vecchio establishment politico (e pure tecnocratico). Si può vincere interpretando quei sentimenti. E si può tradurre tutto questo in programmi di trasformazione profonda dell’economia, senza limitarsi a galleggiare, a gestire l’esistente, ad amministrare lo status quo.
Ecco, una volta fatto questo pieno di ottimismo e di energia, provate invece a guardare le foto delle mummie della Commissione Ue a Bruxelles, a partire - con rispetto parlando - dalla baronessa von der Leyen. Guardate quei volti studiatamente inespressivi, evidentemente sconnessi dalla vita reale dei cittadini. Sentite quei sacerdoti del “non si può fare”, dei vincoli e dell’austerità. Ascoltate- peggio- i deliri ideologici della spagnola Ribera, un’ecogretina scatenata. Sono gli architetti del declino, i custodi dello “zero virgola”, gli ingegneri della non crescita.
Confrontate - pensando a troppi media e presunti “esperti” - le risatine sarcastiche riservate a Trump, a Milei, a Musk, con gli omaggi e gli inchini indirizzati ai faraoni eurolirici. Ci parlavano della “locomotiva franco-tedesca”: e ora eccoli lì Macron e Scholz, due morti che camminano. Il primo farà lo zombie fino al 2027, l’altro sarà politicamente tumulato già a febbraio.
Ecco, avete di fronte non solo due opzioni politiche lontanissime, ma due traiettorie ideali. L’una (da Washington a Buenos Aires) è volta a trasformare, a crescere, a liberare le energie della società, degli individui, delle imprese. L’altra (da Bruxelles) è volta a regolare ossessivamente, a ingabbiare, a controllare, dal punto di vista economico. Mentre politicamente la bolla bruxellese è prigioniera di riti insensati, di tempi ultradilatati, di procedure opache e bizantine. Che celano un solo obiettivo: imporre un supergoverno, e in prospettiva un superstato, senza alcuna “interferenza” ammessa da parte dei cittadini, non a caso relegati a un ruolo passivo e marginale, estraneo alla reale dinamica del potere e delle decisioni. E il “bello” - si fa per dire - è che questi calcoli non funzionano, e portano alla paralisi, se non direttamente a una palude.
L’Italia avrebbe quasi tutto per agganciarsi, con intelligente coraggio, al primo convoglio: il dinamismo del nostro sistema produttivo, una forte ricchezza privata, un’indiscussa qualità della nostra manifattura e dei nostri servizi, oltre a un patrimonio artistico e naturale unico.
Quanto a Giorgia Meloni, è dotata di qualità personali e circostanze oggettive che dovrebbero portarla con tutte le forze a tentare di inserirsi nella foto con Trump-Musk-Milei.
Ahinoi, però, una serie di fattori altrettanto potenti rischiano di lasciarci intrappolati nel secondo gruppo. E non si tratta solo di una evidenza innegabile: il nostro essere tra i fondatori della Cee e poi dell’Ue. Ma purtroppo anche di altro: della propensione del vecchio mandarinato italiano alla subalternità verso Parigi e Berlino, oltre che dell’abitudine del nostro ceto politico (purtroppo non solo a sinistra) ad accontentarsi della manutenzione dello status quo, nella logica di un eterno compromesso, di un’attesa destinata a non finire mai.
Occorre evitare che il morto afferri il vivo e lo trascini dalla sua parte.
Proviamo dunque a divincolarci, con prudenza tattica, senza strappi plateali, ma anche con lungimiranza strategica: questa Ue non ha futuro. E treni veloci dell’innovazione come quello con a bordo il trio Trump-Musk-Milei non passano molte volte in venti o in trent’anni.

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