giovedi` 17 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Libero Rassegna Stampa
21.03.2024 Via i soldi alle università anti Israele
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 21 marzo 2024
Pagina: 13
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Via i soldi alle università che mettono il bavaglio»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 21/03/2024, a pag. 13, con il titolo "Via i soldi alle università che mettono il bavaglio", il commento di Daniele Capezzone.

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

La Sapienza occupata. Non è la sola, ma una delle tante università in agitazione permanente. Il caso dell'Università di Torino che boicotta Israele facendosi dettare la linea dai collettivi studenteschi realizza i nostri peggiori presagi. C'è un unico modo di reagire: via i soldi alle università che censurano i relatori e boicottano Israele, come hanno fatto in Florida

Si sa, in Italia essere buoni profeti è fin troppo facile: spesso, infatti, per azzeccare il pronostico, è sufficiente prevedere il peggio.
Così, pochissimi giorni fa, su Libero, avevamo anticipato la frontiera ulteriore della crescente onda antisemita (da alcuni ancora eufemisticamente definita antisionista): la messa in discussione perfino degli accordi accademici tra università italiane e atenei israeliani.
Per sua natura, un boicottaggio di questo tipo porta con sé un connotato intrinsecamente ostile: un’università non può mai essere confusa con l’esercito di Israele o con il governo che è oggi pro tempore al potere a Gerusalemme.
Dunque, recidere perfino rapporti scientifici e di ricerca implica una precisa volontà discriminatoria.
E puntualmente- secondo i nostri peggiori presagi- si è verificato l’episodio di Torino. Non solo il senato accademico dell’università ha decretato lo stop agli accordi con Israele scegliendo di non partecipare al relativo bando, ma la decisione è stata assunta in un clima surreale, con tanto di irruzione degli studenti pro Palestina (armati di bandiere e striscioni) in piena riunione dell’organismo dell’ateneo. I docenti - non sapremmo dire se intimiditi o culturalmente omogenei rispetto ai cori dei manifestanti - avrebbero ascoltato e poi, secondo quanto riferiscono le cronache, avrebbero risposto: «Riceviamo il documento e ne discuteremo al momento opportuno». Neanche per idea: i manifestanti hanno chiesto di «essere partecipi della decisione», e i professori - spalle al muro - hanno di fatto obbedito.
Il senso della giornata lo rende il racconto dei militanti dell’organizzazione di ultrasinistra “Cambiare Rotta”: «La protesta ha conquistato il confronto pubblico in aula magna tra la comunità studentesca e il senato accademico ottenendo il blocco della partecipazione dell’Università di Torino al bando Maeci 2024». E, dopo la rivendicazione, occhio al linguaggio utilizzato: «Una vittoria importante che proveremo ad ottenere anche negli altri atenei del Paese per smontare pezzo a pezzo la complicità delle università italiane con l’entità sionista». Avete letto bene: «entità sionista», un po’ come si esprimerebbero a Teheran. Ieri ha fatto benissimo Giorgia Meloni a manifestare amarezza e disappunto per questa vicenda: «Considero preoccupante», ha detto «che il Senato accademico dell’Università di Torino scelga di non partecipare al bando per la cooperazione scientifica con Israele. E lo faccia dopo un’occupazione da parte dei collettivi. Se le istituzioni si piegano a questi metodi rischiamo di avere molti problemi».
Ecco, forse è venuto il momento di compiere un passo in più, che potrebbe valere in tutti i casi in cui una istituzione pubblica (in questo caso, un’università) discrimini, oppure accetti atti di censura.

L’ESEMPIO AMERICANO

In alcuni stati americani a guida repubblicana (in Florida, ad esempio), sono stati tolti i finanziamenti ai programmi orientati in un certo senso, come quelli ad alta ideologizzazione woke. Iniziativa condivisibile, per molti versi: che però può dare implicitamente l’idea di voler spingere in futuro su programmi diversamente orientati. Il rischio - in prospettiva - è quello di trasmettere la sensazione che si stia solo rovesciando il segno di un intervento comunque invasivo da parte della politica. Come dire: se vincono i democratici, si spinge in un senso; se invece vincono i repubblicani, si spinge in senso diverso. Si tratterebbe - invece - di smettere di spingere. Di togliere l’intromissione ideologica, non di sostituirla. E il primo passo - rigorosissimo quanto di limpida impronta liberale classica, dunque inattaccabile - sarebbe quello di ritirare i finanziamenti pubblici a qualunque luogo o istituzione universitaria o educativa dove siano avvenute forme di censura, dove si siano registrati atti di discriminazione su base politico-ideologica (il caso di Torino, per capirci), dove sia stato praticato il no platforming o il de-platforming (cioè dove siano stati cacciati dei relatori o impedite delle conferenze).
Una ricetta dura? Certamente.
Ma chiarissima e semplice, direi inequivoca. Sei un’università? Sei una scuola pubblica? Ricevi il denaro dei contribuenti? Se però ti sei reso protagonista di un comportamento censorio, se lo hai accettato o addirittura promosso, non potrai ricevere i soldi dei taxpayers. Si dirà che è una soluzione provocatoria: in qualche misura lo è, ma non nel significato deteriore dell’aggettivo. Semmai, è provocatoria nel senso che vuole provocare una presa di coscienza e una svolta.

ARIA ALLE STANZE

Mettiamola così. L’ala sinistra della politica americana ha coniato negli ultimi anni uno slogan orrendo, che ha prodotto guai inenarrabili: defund police. Cioè, alla lettera, definanziare la polizia, spostare risorse destinate alle forze dell’ordine e indirizzarle altrove.
Tragico errore, che ha delegittimato la polizia, aumentando la propensione al disordine e all’insicurezza.Noi dovremmo invece- lontano da ogni estremismo illiberale - realizzare un sano defund censors: togliere i fondi ai censori, agli imbavagliatori, a chi vuole precludere una discussione libera e aperta.
E ciò anticipa e qualifica la missione a cui la destra liberalconservatrice è chiamata in questa fase storica: dare aria alla stanza, aprire porte, spalancare finestre. Garantire libertà nella e della cultura, prim’ancora che promuovere uno specifico orientamento culturale.
In tutto il mondo (a partire dai disastri in corso nelle università americane e britanniche), i conservatori e i liberali sono stati eccessivamente remissivi e timidi, e in ultima analisi hanno perso troppi round in questo match decisivo. È il momento di andare all’offensiva nella direzione della libertà, e non solo di giocare in difesa: e sarebbe molto bello se un segnale di riscossa – in controtendenza – venisse dall’Italia.

Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@liberoquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT