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Libero Rassegna Stampa
27.01.2024 Il PD torna comunista
Analisi di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 27 gennaio 2024
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Il Pd torna Pds: sui temi etici come in passato comandano solo i comunisti»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 27/01/2024, a pag.1, con il titolo "Il Pd torna Pds: sui temi etici come in passato comandano solo i comunisti", l'analisi di Daniele Capezzone.

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

E adesso? quale sarà mai il prossimo
E adesso? quale sarà mai il prossimo simbolo? a essere sinceri bisognerebbe tornare al 1991-1991. Chiedetelo a Anna Maria Bigon, sollevata da vicesegretaria perché non allineata

La tentazione di citare un’epica intemerata di Silvio Berlusconi («Siete ancora oggi, e come sempre, dei poveri comunisti») è forte, anzi fortissima. Ma proviamo a resistere e a impostare la questione in termini più freddi e meno sanguigni. Partendo (...) da un’onesta triplice confessione: chi scrive questo commento non ama il Pd (e questa non è una gran notizia), non ama i cattolici di sinistra (spesso, un impasto illiberale di integralismo etico e pauperismo economico), e per di più – in materia di fine vita – è notoriamente favorevole alla libertà personale di scelta. Dunque, mi ritrovo su posizioni lontanissime da Anna Maria Bigon, la consigliera veneta – cattolica e del Pd – che, con il suo voto allineato alla parte maggioritaria del centrodestra, ha affossato la leggina regionale sul fine vita. Eppure mi sento di difenderla fino in fondo nel momento in cui, dopo essere stata pubblicamente rampognata da Elly Schlein in persona a causa del suo voto disallineato rispetto alle indicazioni di partito, è stata implacabilmente destituita dall’incarico di vicesegretaria provinciale del Pd di Verona. Ecco, prescindendo dalle opinioni di ciascuno sull’eutanasia, c’è un punto di metodo che suscita preoccupazione: un grande partito (mi riferisco al Pd) non può pretendere, su una materia tanto delicata e controversa, di imporre una linea univoca a tutti i suoi membri. In ogni grande partito dell’Occidente avanzato, a destra come a sinistra, convivono sui temi etici posizioni diverse e anche opposte. È normale e perfettamente fisiologico. E nessuno può sognarsi di trattare come ospiti – per giunta sgraditi – i colleghi di partito portatori di un’opinione diversa. Al contrario, ogni capopartito dovrebbe farsi vanto di garantire piena agibilità politica ai sostenitori delle due tesi in campo. Per capirci: il tema non deve essere solo (ci mancherebbe) la possibilità di esercitare la propria libertà di coscienza nel momento di un voto, ma soprattutto l’opportunità di far vivere e far circolare le convinzioni di ciascuno nel dibattito interno e nel confronto con l’opinione pubblica. In mancanza di questo, un partito si riduce a organizzazione settaria, si impoverisce e si rinchiude. Sarà bene che tutti lo tengano presente: la libertà di pensiero e di discussione vale molto più di un voto assembleare e della possibilità tattica di mettere in imbarazzo la coalizione avversa. E invece? E invece non solo la Bigon è stata redarguita dalla segretaria nazionale, ma le dichiarazioni di chi ha materialmente emesso il provvedimento per destituirla (tale Franco Bonfante, segretario provinciale dem) sembrano provenire dal secolo scorso. Lasciamo la parola a questo signore: «Non si poteva far finta di nulla», ha esordito sui media locali. Poi il primo esercizio di ipocrisia: «Non credo nelle sanzioni disciplinari sui temi etici ed è corretto che sia lasciata libertà di voto per motivi di coscienza, ma chi la pratica deve essere consapevole delle conseguenze politiche (...)». E già qui c’è da mettersi due volte le mani nei capelli. Una prima volta, perché si evoca la libertà di coscienza ma poi si sanziona chi abbia osato esercitarla in direzione sgradita. Una seconda volta, perché, sempre a proposito della “libertà di coscienza”, si usa incredibilmente il verbo “lasciare”, come se la libertà fosse un bene graziosamente concesso dal partito. Ma non finisce qui, perché Bonfante ha proseguito: «Rilevo altresì che nella mia esperienza decennale di consigliere regionale e di vicepresidente del Consiglio Regionale del Veneto mi sono trovato in alcuni casi in dissenso rispetto al mio gruppo, ma ho sempre votato quello che il gruppo a maggioranza decideva, pur su temi che potevano essere considerati sensibili, perché è così che ci si comporta quando rappresenti un’intera comunità». Anche qui, lo sgomento è duplice: intanto, il fatto che Bonfante si sia comportato in un modo non significa che gli altri siano obbligati ad adeguarsi ai suoi criteri. E poi – forse il malcapitato nemmeno se ne rende conto – perché quel che Bonfante descrive è il metodo del “centralismo democratico” proprio dei vecchi partiti comunisti: discussione solo interna al partito, ma poi imposizione di una linea a tutti. Peggio: con i dissenzienti impegnati (a volte costretti) a sostenere in pubblico con ancora maggior vigore la posizione che in cuor loro detestavano. Capite bene che non siamo in presenza di un episodio marginale o locale: il Pd è tornato Pds. Tutta la retorica della fusione tra culture, della coesistenza tra storie diverse, viene ricondotta alla dura realtà della vecchia “ditta”: comandano solo i compagni, che poi si circondano di alcuni “indipendenti di sinistra”. Ancora più miserevole – politicamente – è infine il tentativo della dirigenza nazionale di chiamarsi fuori dalla vertenza. «Abbiamo appreso della decisione del segretario provinciale del Pd di Verona, Franco Bonfante, di sollevare dal ruolo di vicesegretaria la consigliera regionale Bigon. Scelta che non è frutto di decisioni nazionali e regionali, ma compiuta da Bonfante in totale autonomia», hanno infatti scritto in una nota congiunta il segretario regionale del Pd e il responsabile nazionale dell’organizzazione. Capita l’antifona? Il compagno Bonfante epura, e i dirigenti di vertice dicono che loro non ne sapevano niente. Brutta storia, pessima deriva per quello che dovrebbe essere il principale partito di opposizione.

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