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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Libero Rassegna Stampa
24.01.2024 Gli ostaggi di Hamas trasformati in schiavi del sesso
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 24 gennaio 2024
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Gli stupri sugli ostaggi femmine e maschi non indignano a sinistra»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 24/01/2024, a pag.1, con il titolo "Gli stupri sugli ostaggi femmine e maschi non indignano a sinistra", l'editoriale di Daniele Capezzone.
 
Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone
Aviva Siegel
A sinistra, Aviva Siegel durante la sua audizione al parlamento israeliano

Dopo lunghe stagioni di dibattito sul patriarcato, dopo fiumi di inchiostro e decine di ore di trasmissione sul corpo delle donne, chissà se troverà spazio adeguato la notizia letteralmente orrenda diffusa da Aviva Siegel, la donna israeliana catturata il 7 ottobre da Hamas e rilasciata nel corso del cessate il fuoco di fine novembre, che ieri insieme alla figlia Shir ha reso testimonianza alla Knesset.
Senza girarci intorno, la Siegel è andata subito al punto: «Nei tunnel non solo le ragazze, ma anche i ragazzi prigionieri di Hamas vengono violentati». Non si tratta di episodi, ma di un «regular sexual abuse»: i carcerieri hanno dunque trasformato gli ostaggi in oggetti sessuali.
In sostanza, l’arma disumana dello strupro non è stata solo usata il 7 ottobre o nelle fasi iniziali di questa atroce vicenda, ma è diventato un ordinario passatempo per i carcerieri. Immaginate la condizione delle persone catturate: hanno magari visto con i loro occhi la morte dei loro cari, sanno di essere soli al mondo, non hanno alcuna certezza di uscire vivi da questa orribile avventura e per giunta – uomini e donne – sono trattati da schiavi sessuali delle belve islamiste.
«L’ho visto con i miei occhi», ha aggiunto la Siegel, che poi ha spiegato le modalità umilianti della pratica. «I terroristi portano alle ragazze vestiti inappropriati, le vestono come bambole.
Hanno trasformato le ragazze nelle loro bambole, con cui possono fare quello che vogliono e quando vogliono».
«Mi manca il respiro, non riesco a sopportare la cosa, è troppo duro. Sono quasi quattro mesi e gli ostaggi sono ancora lì». Lei stessa fu rapita presso il Kibbutz KfarAza insieme al marito Keith, che è ancora ostaggio a Gaza. Ogni singolo momento della prigionia torna alla memoria della donna, così come la disumanità dei carcerieri: avendo visto una ragazza tornare sconvolta dopo essere stata in bagno, la Siegel aveva cercato di abbracciarla, ma uno dei rapitori glielo impedì. «Ho visto che stava ritirata da una parte, muta, che non era in sé», ha raccontato la Siegel. «E scusate il mio linguaggio: un figlio di puttana le aveva messo le mani addosso. E non mi ha permesso di abbracciarla. È terribile. Le ho detto che mi dispiaceva...».
La Siegel ha anche raccontato il suo atteggiamento materno verso le persone più giovani: «Vorrei tornare ostaggio per proteggere quelle ragazze, come ho fatto quando ero lì. Mi sentivo come se fossero le mie figlie».
Poi il passaggio sui maschi: «Voglio dirvi che anche ai ragazzi toccano queste cose: non possono rimanere incinti ma ci passano anche loro».

PATRIARCATO ISLAMICO

Tutta questa testimonianza è stata riportata dal giornale Times of Israel, che ha dato voce anche a un altro ex ostaggio, Chen Goldstein Almog, che ha aggiunto un atroce interrogativo, purtroppo assai realistico: «Ci sono molte ragazze che non hanno avuto il ciclo: forse per questo dovremmo pregare, perché il corpo in qualche modo le protegga in modo che, Dio non voglia, non rimangano incinte». La stessa figlia di Aviva, Shir, ha detto ai deputati che la testimonianza della madre è «solo la punta dell'iceberg».
Non c’è molto da aggiungere a un racconto che parla da sé: rapimento, stupro sistematico, irrisione e umiliazione delle vittime (donne e uomini).
Resta da capire se qui da noi, in Occidente, e in particolare in Italia, anche questa terribile storia verrà offuscata-attenuata-marginalizzata, un po’ come tutta la vicenda del 7 ottobre.
Che diranno (se diranno qualcosa) i nostri progressisti e le nostre femministe, che di solito amano descrivere i propri avversari come animati da sgradevolissimo sessismo? E le personalità più impegnate per i diritti civili troveranno il tempo di pronunciarsi? Qui il cortocircuito è totale: Israele è notoriamente l’unico Paese libero di quell’area, dove anche le comunità lgbt sono rispettate e tutelate, e dove la libertà sessuale è ovviamente parte della libertà senza aggettivi. Dall’altro lato – invece – ci sono belve che praticano su larga scala la segregazione delle donne e la persecuzione degli omosessuali. In questo caso – per giunta – c’è anche un elemento raccapricciante di violenza e umiliazione su vittime già ridotte in stato di prigionia. Se ne parlerà? Temiamo di no. O – se proprio diverrà indispensabile farlo – non mancherà chi si affretterà ad aggiungere il suo “ma”, il suo “però”, ricominciando a far girare la giostra della propaganda a senso unico.

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