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Libero Rassegna Stampa
24.12.2023 Intervista a Niall Fergusson: Biden indeciso con Israele e sottovaluta Iran
Intervisra di Francesco Carella

Testata: Libero
Data: 24 dicembre 2023
Pagina: 14
Autore: Francesco Carella
Titolo: «Biden poco deciso a fianco di Israele Sottovaluta l’Iran»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 24/12/2023, a pag. 14, con il titolo "Biden poco deciso a fianco di Israele Sottovaluta l’Iran", l'intervista di Francesco Carella a Niall Fergusson.

Niall Fergusson
Niall Fergusson
Biden troppo debole con l'Iran
Biden troppo morbido con l'Iran

«Sarà un 2024 pieno d'incognite. I conflitti aperti che già conosciamo nella loro durezza, dall'Ucraina allo scontro Israele-Ha-mas, sono destinati a non essere risolti». La sento pessimista? «Direi realista. Del resto, è l’unico criterio che ci permette di analizzare, senza il velo delle illusioni, ciò che sta accadendo nei diversi angoli del mondo mentre gli schemi delle tradizionali relazioni internazionali risultano sempre più inadeguati». Lo storico Niall Ferguson è Senior Fellow presso la Stanford University ed è membro del Center for Science and International Affairs di Harvard. È autore di numerosi saggi, fra i quali vanno citati XX secolo, l’età della violenza. Una nuova interpretazione del Novecento, pubblicato nel 2006 e tradotto in italiano nel 2008, e Ascesa e declino del denaro.
Una storia finanziaria del mondo, del 2008 con un’edizione italiana del 2009, considerati punto di riferimento obbligatorio per chiunque voglia approfondire la storia politica dell’Occidente. Dice il professore: «Il Medio Oriente rimarrà ancora per molto tempo un luogo ad alta tensione. È ormai evidente che dietro Hamas vi è un Paese come l’Iran che non punta a una soluzione pacifica del conflitto».
Al momento le forze militari israeliane sono a Gaza e stanno mettendo a dura prova la resistenza di Hamas.
«Questo è sicuramente vero. Penso, però, che si stia sottovalutando il fattore Teheran e il suo obiettivo: la destabilizzazione dell’intera area mediorientale. In tal senso, vanno collocate anche le recenti azioni degli Houthi ( guidati anch’essi dall’Iran) nel Mar Rosso».
Condivide l’ipotesi di un inevitabile allargamento del conflitto a tutto il Medio Oriente?
«Sono fermamente convinto che qualora Israele dovesse riuscire militarmente a spazzare via l’intera organizzazione di Hamas, l’Iran non esiterebbe un minuto a scatenare Hezbollah. In tal modo, si aprirebbe a Nord un focolaio dagli esiti non facilmente calcolabili. Spero di sbagliarmi, ma io mi aspetto un'escalation nel nuovo anno».
Non dimentica il ruolo storico degli Stati Uniti al fianco di Israele?
«Dal 7 ottobre in poi tale ruolo è stato svolto in modo poco deciso. Mi sarei aspettato dall’Amministrazione Biden un impegno più chiaro ed efficace su tutto lo scacchiere mediorientale. Ma così, almeno finora, non è stato».
Tutti i sondaggi danno come futuro presidente Donald Trump. Che cosa cambierà?
«Nei confronti di Gerusalemme mi auguro che venga preso un maggiore impegno rispetto a quanto avvenuto con Joe Biden. Detto questo, se Trump dovesse essere rieletto ci sarebbe un totale mutamento di registro per quel che riguarda il modo d’intendere le relazioni internazionali da parte statunitense. È assai probabile che ciò che abbiamo conosciuto fin qui con il nome di Pax americana finisca nell’album dei ricordi».
Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione copernicana. Quali saranno le ricadute?
«Nell’immediato si tratterà sicuramente di una brutta notizia per gli sviluppi della guerra in Ucraina così come per il futuro di Taiwan.
Trump, come ha ripetuto più volte, ha in mente una strategia isolazionista che avrà ripercussioni anche nei rapporti con i partner europei. Per prima cosa egli vorrà rivedere i rapporti seguiti finora con l’Europa a partire dalla corresponsabilità nelle spese militari per la difesa del Vecchio Continente». Frattanto, la Cina prosegue la sua espansione economica. «È un fatto incontrovertibile che la Cina punti con determinazione a fare delle esportazioni il fattore determinante del suo motore di crescita. Penso, però, che l’esercizio dell’egemonia politica abbia bisogno di ben altri fattori soprattutto di ordine storico-culturale per realizzarsi. Peraltro, sono anche convinto che l’eccessiva ondata di manifatture cinesi avrà alla fine l’effetto di allontanare sempre di più gli europei da Pechino». In Europa la convivenza con i musulmani diviene sempre più problematica. Quali scenari prevede per il futuro? «Sono molto scettico sulle possibilità che er le politiche sull’immigrazione che si stanno cercando di mettere in cantiere nell’Unione europea possano funzionare come argine. Le migrazioni Sud/Nord hanno assunto ormai un carattere storico. Sono milioni gli africani che premono perché abbiano la possibilità di trasferirsi nei Paesi in cui pensano di potere vivere meglio. Con questi numeri è davvero difficile fare blocco». In che modo reagiranno gli europei? «La reazione è già in atto. Basta osservare ciò che avviene ogni qualvolta i cittadini sono chiamati alle urne. Ci sarà sempre di più l’affermazione dei partiti e dei candidati nazionalisti in tutti i Paesi europei». Intanto cresce l’antisemitismo. Tutto questo è legato all’attuale conflitto Hamas-Israele ? «Purtroppo, ci troviamo di fronte a qualcosa di assai più radicato. Dietro la critica delle scelte politiche fatte da Netanyahu non è difficile intravedere un atteggiamento di diffidenza nei confronti del mondo ebraico. Negli Stati Uniti l’antisemitismo è largamente presente soprattutto nelle Università ed è il risultato di rapporti stretti e ambigui che la sinistra radicale ha favorito nel corso degli anni con l’islamisno. Una mentalità che condiziona i maggiori centri universitari americani ad iniziare da Harvard e Yale. Le ambiguità di una certa sinistra sia in Europa che in America possono essere molto pericolose».

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