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Libero Rassegna Stampa
21.12.2023 Gli alleati di Teheran ci minacciano
Commento di Mirko Molteni

Testata: Libero
Data: 21 dicembre 2023
Pagina: 10
Autore: Mirko Molteni
Titolo: «E gli alleati di Teheran intanto minacciano»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 21/12/2023, a pag. 10 con il titolo "E gli alleati di Teheran intanto minacciano" il commento di Mirko Molteni.

Mirko Molteni
Mirko Molteni
L'Iran dietro le tensioni in Medio Oriente
L'Iran dietro le tensioni in Medio Oriente

Il pericolo dell'interdizione del traffico navale nel Mar Rosso, da e per il canale di Suez, da parte delle milizie yemenite Huthi è reale per l'economia italiana e lo ha ribadito il ministro della Difesa Guido Crosetto: «Da quella zona, calcolate che, solo per quanto riguarda il petrolio, ne passa il 10%, poi c’è il gas liquido. Noi rischiamo di ritrovarci con i porti deserti nelle prossime settimane». Sarebbe la rovina per l’Italia, tipico Paese di trasformazione, alimentato da forti importazioni che consentono a loro volta di sostenere esportazioni sufficienti a una buona bilancia commerciale. I timori continuano a far lievitare i prezzi del petrolio.
Nel tardo pomeriggio la Reuters segnalava che le quotazioni del greggio inglese Brent hanno sfiorato 80 dollari al barile, toccando 79,83 dollari dopo un aumento di 60 centesimi, pari a un più 0,8%, mentre il petrolio americano West Texas è salito dello 0,9%, pari a 67 centesimi, toccando 74,61 dollari al barile. Se la crisi nel Mar Rosso non si disinnescherà in tempi brevi, i prezzi avranno ricadute su ogni filiera produttiva. Già questo basta a dimostrare la bontà della decisione di inviare una nave militare italiana, la fregata Fasan, a partecipare alla difesa della libertà dei traffici nello stretto di Bab El Mandeb, sbocco del Mar Rosso nell'Oceano Indiano.
Ma gli sciiti yemeniti Huthi il cui movimento sostenuto dall’Iran si chiama Ansar Allah, rigirano le carte in tavola rispolverando la vecchia retorica terzomondista. Il capo del movimento, Abdul Malik Al Huthi, in un discorso televisivo, ha tacciato gli americani di essere «complici degli orribili crimini che accadono in Palestina». Poi ha criticato «quei Paesi europei come Francia, Germania e Italia che hanno una nera storia coloniale alle spalle», sostenendo che «non ci aspettiamo che svolgano un ruolo positivo a beneficio del popolo palestinese».


LA STABILITÀ DELLA REGIONE

In particolare l’attacco all’Italia, che nella regione del Mar Rosso e del Corno d'Africa ha avuto varie colonie, è un tentativo, rozzo, di delegittimarne la partecipazione. L’Italia ha invece piena titolarità a contribuire alla stabilità della regione, avendo mantenuto rapporti positivi con molti paesi dell'area e contando su una base a Gibuti, dove certamente il nostro servizio segreto estero AISE avrà già aumentato la vigilanza. Ma Al Huthi va oltre: «L’America cerca di militarizzare la regione. Dobbiamo agire contro la missione internazionale perché danneggia la navigazione». E minaccia: «Se gli Stati Uniti attaccheranno lo Yemen, faremo delle navi americane bersaglio per i nostri missili». Dietro, si sa, c’è l’Iran, che fornisce agli Huthi missili balistici e droni. E al governo degli ayatollah s’è appellata direttamente la Germania, il cui portavoce Steffen Hebestreit chiede a Teheran di obbligare i suoi alleati a cessare gli attacchi a cargo e petroliere, per non sconvolgere il mercato mondiale. Berlino ha anche fatto sapere che sta ancora valutando se contribuire con una propria nave alla missione a guida USA, decisione che verrà sottoposta ai deputati del Bundestag. Non ha dubbi invece la Danimarca, il cui ministero della Difesa ha confermato l’invio di un’unità navale.
Intanto, sul fronte della guerra Israele-Hamas sono in corso colloqui definiti «molto seri» dal consigliere alla sicurezza nazionale USA John Kirby, per arrivare a una nuova pausa nei combattimenti. Al Cairo sono presenti, per colloqui con mediatori egiziani, sia il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, sia il capo dell'alleata Jihad Islamica, Ziad Nakhaleh. Per il Wall Street Journal, Israele punta a una tregua di una settimana con rilascio di 40 ostaggi, mentre Hamas la vorrebbe prolungata a due settimane. Forse per facilitare i colloqui, ieri per la prima volta dal 7 ottobre, nessun razzo palestinese è stato lanciato su Israele in 24 ore. Hamas sarebbe in contatto con Fatah, egemone in Cisgiordania per trattare un'entrata del movimento nella vecchia OLP, come soluzione per il dopoguerra, ma sembra che l'ala armata sia contraria. I combattimenti proseguono e i caduti israeliani sono saliti ieri a 134, con la morte dei riservisti Lior Sivan (32 anni) e Uriel Cohen (34 anni). Un bombardamento israeliano su Jabalya avrebbe causato 46 morti, mentre un nuovo video mostra Mohammed Deif, capo delle Brigate al-Qassam di Hamas, ancora vivo e vegeto, solo leggermente zoppicante. Il giornale di Gerusalemme Haaretz ha segnalato che «secondo molti politici e militari israeliani, in gennaio si entrerà nella seconda fase della guerra», che, su impulso degli Stati Uniti, prevederebbe «una zona cuscinetto sul confine di Gaza e forse anche tra Nord e Sud della Striscia, una riduzione di alcune forze di riserva e il passaggio a incursioni a livello di divisione abbandonando le vaste, lente e distruttive manovre di terra ora condotte da quattro divisioni». Per Haaretz, però, la nuova strategia «potrebbe far scricchiolare la coalizione governativa del premier Benjamin Netanyahu sotto la pressione di un'ala destra inferocita»

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