Quei burloni italiani amici dei dittatori Analisi di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 03 novembre 2023 Pagina: 1 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Quei burloni italiani amici dei dittatori»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 03/11/2023, a pag.1, con il titolo "Quei burloni italiani amici dei dittatori", l'analisi di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
L'Occidente non li considera dittatori.
Non c’è dubbio: la macchina di Palazzo Chigi è stata vittima di una non piccola défaillance in occasione della telefonata farlocca a Giorgia Meloni dei due comici russi. Come Libero vi ha spiegato in dettaglio già ieri mattina, peraltro, non è proprio il caso di derubricare l’episodio a pura e semplice burla. Ma quale scherzo? Pare decisamente più realistico (com’era accaduto con altre figure di vertice in Germania, Regno Unito, Canada) che i due attori siano stati solo l’ultimo anello, non necessariamente consapevole, di una catena accuratamente oliata dall’intelligence russa e costruita per perforare gli apparati di controllo intorno a diversi leader occidentali. Un indizio che assomiglia a una prova è venuto dalla dichiarazione di ieri di Maria Zacharova, la potentissima portavoce del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov, la quale ha pretestuosamente cercato di rinfocolare la polemica contro il governo italiano. Segno che a Mosca il copione era certamente gradito e probabilmente anche ben noto. E questa consecutio logica e cronologica è esattamente opposta a quella che abbiamo letto ieri in un curioso retroscena sul Corriere della Sera, che associava la “stanchezza” per il conflitto evocata dalla Meloni nella telefonata a recenti dichiarazioni del Ministro della Difesa russo Sergei Sojgu. Ora, a parte il fatto che la nostra premier non poteva sapere il 18 settembre ciò che il politico russo avrebbe detto a fine ottobre, il punto è che tutta l’operazione è stata costruita contro Palazzo Chigi, non certo con altri scopi. E quali erano i fini? Obiettivo maggiore (fallito con la Meloni, che è stata brava a schivare le trappole): indurre una personalità straniera a dire cose di cui poi si sarebbe potuta pentire. Obiettivo minore (purtroppo centrato): produrre una falla nella struttura che circonda la premier. Le reazioni delle opposizioni italiane sono state in larga misura sciocche, inadeguate, condominiali: sulla sicurezza nazionale non si scherza, e invece è prevalso un clima da battibecco adolescenziale. Ha fatto eccezione, e gli fa onore, il Presidente del Copasir (non a caso, già Ministro della Difesa) Lorenzo Guerini che invece ha colto la serietà del caso e pure dell’avvertimento che ci è giunto da Mosca. Ciò detto, era ed è inevitabile l’apertura di una polemica politica, con – necessariamente – qualche ora piuttosto spiacevole per i collaboratori della premier. Ma se vogliamo essere intellettualmente onesti, è venuto il momento, qui in Italia, di dedicare almeno la stessa attenzione concessa a una telefonata (con interlocutore finto) ai rapporti (ahinoi, veri) che troppi leader, governi e partiti hanno intrattenuto per anni con entità nemiche dell’Occidente. Altro che i 13 minuti di una registrazione audio.
GARANTISTA
Intendiamoci bene: chi scrive è un garantista, e dunque sono del tutto disinteressato – in questa discussione – a eventuali accuse relative a rapporti opachi, finanziamenti occulti, relazioni illegali.Tutte cose per cui occorrono prove certe e incontrovertibili: il resto è calunnia. Ma, lasciando da parte le accuse indimostrabili, vale la pena di esaminare ciò che è perfettamente visibile alla luce del sole, in termini pubblici e politici. In questo caso non servono retroscena: è sufficiente illuminare la scena stessa. Vogliamo parlare dei rapporti di almeno cinque o sei primi ministri italiani (negli ultimi vent’anni, a destra e a sinistra) con la Russia di Vladimir Putin? Nella migliore delle ipotesi, si è trattato di un gigantesco errore politico: si è immaginato di tenere buono l’orso russo, e non ci si è resi conto di consegnarsi a un gigantesco ricatto energetico. Oppure vogliamo aprire il capitolo di come (specie a sinistra) ci si sia fatti abbagliare dal regime assassino e teocratico di Teheran? In troppi hanno chiuso gli occhi sulla segregazione delle donne, sull’eliminazione degli oppositori, sulla persecuzione degli omosessuali, sul sostegno al terrorismo islamista. Governi italiani (di centrosinistra) organizzarono con quel regime nientemeno che fiere di amicizia Italia-Iran. Altri (sempre nel centrosinistra) arrivarono a “incartare” le statue, a Roma in Campidoglio, per evitare di “offendere” gli ospiti iraniani con qualche immagine di nudo. La cosa tragicomica è che si trattava degli stessi leader (gli italiani, intendo) che si proclamavano e si dichiarano tuttora grandi amici di Israele. Peccato che Teheran punti alla distruzione dello Stato ebraico. Su un altro piano, c’è il capitolo dei rapporti tra i Cinquestelle e il Venezuela. Anche qui, da garantista, mi limito a evocare gli aspetti pubblici e leciti. Resta indimenticabile il viaggetto di una delegazione grillina guidata dal futuro sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano nel 2017, alla morte di Hugo Chavez. E sempre a quella fase risalgono risoluzioni parlamentari a difesa del regime e contro “l’indebita ingerenza da parte della comunità internazionale”. Resta infine la questione più grande, in tutti i sensi, e cioè l’enorme fascinazione – chiamiamola così – esercitata da Pechino su molti attori politici, mediatici e istituzionali italiani. Fauna certa impressione riveder scorrerenella retina della nostra memoria le immagini del 2019 di uno Xi Jinping accolto al Quirinale come un imperatore (con tanto di scorta d’onore di corazzieri a cavallo), la sua presenza troneggiante sulla prima pagina del Corriere della Sera, o nel 2020 i concerti di amicizia (di nuovo al Quirinale) con l’ambasciatore cinese a Roma come ospite d’onore, per non dire della martellante campagna politica e mediatica contro il presunto razzismo anticinese nella primissima fase del Covid (per meglio occultare l’emergenza sanitaria che ci stava piovendo addosso già a fine gennaio e a inizio febbraio di quell’anno). O, retrocedendo di qualche anno e uscendo dai nostri confini, l’accoglienza trionfale riservata al tiranno cinese a Davos nel 2017, con l’establishment progressista mondiale (e – inutile dirlo – quello italiano) in prima fila a spellarsi le mani, a farsi vedere, a farsi intervistare nei giorni successivi, per lasciare a verbale il proprio applauso a Xi come alternativa allo sgradito Donald Trump.
ESTATE 2014
Ma la storia era ancora più vecchia. Voglio ricordare un episodio dell’estate del 2014, quando del tutto a sorpresa, out of the blue, si materializzò l’accordo tra Cdp Reti (quindi entrarono in gioco le reti energetiche italiane) e il gigante cinese China State Grid, che ne rilevò il 35%. Ammetto che almeno l’Italia mantenne la quota di controllo. Ma restano domande pesanti come macigni. Perché fu scelto proprio quel partner, anche geopoliticamente così discutibile? E soprattutto perché non se ne discusse adeguatamente? È surreale che in Italia si dibatta, nella politica e sui media, su quisquilie, mentre su una vicenda così grave e importante, che riguardava le reti energetiche, ci fu un silenzio quasi tombale. Anche perché – giova ricordarlo – vendere allo stato cinese è esattamente il contrario di una privatizzazione. Stadi fatto che (a meno di miei errori e omissioni, dei quali mi scuso) all’epoca un solo parlamentare in carica interrogò il governo, nelle persone del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e del premier Matteo Renzi. Quel parlamentare – all’epoca – ero io, e l’interrogazione, pur reiterata, non ottenne risposte. Ecco perché servirebbe una discussione ampia, intellettualmente onesta, che potrebbe essere agevolmente estesa ai rapporti con paesi come Arabia Saudita o Qatar. La stessa azione corruttiva che avrebbe avuto luogo – secondo le accuse – al Parlamento europeo può essere ricostruita in una luce ben differente. E il tema si pone anche per molti che – in queste giornate – si sbracciano in tv a difesa dell’indifendibile a proposito di Hamas e Gaza: lo fanno in modo “spontaneo” o “spintaneo”? Da una discussione del genere – credo – Giorgia Meloni sarebbe l’ultima ad aver qualcosa da temere. Più facile che siano altri a dover imbastire risposte non semplici.
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