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Libero Rassegna Stampa
07.11.2021 L'Espresso a caccia di fascismo non deve guardare lontano
Commento di Alessandro Giuli

Testata: Libero
Data: 07 novembre 2021
Pagina: 1
Autore: Alessandro Giuli
Titolo: «Quei compagni che non vedono il nazista in loro»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/11/2021 a pag.1, con il titolo "Quei compagni che non vedono il nazista in loro", il commento di Alessandro Giuli.

L'Espresso, logo | Gruppo d'Intervento Giuridico odv

Non bastavano i neofascisti, ci mancava il neonazismo. Ed è arrivato pure quello, puntuale come la morte e spettrale come l'ultima copertina che l'Espresso dedica appunto ai "nazisti tra noi' ovvero "i suprematisti italiani, armati e pronti all'attacco" sui quali si è accesso il faro del settimanale goscista diretto da Marco Damilano assieme a quello della magistratura. Che la vigilanza democratica stia sempre in allerta massima dovrebbe confortarci, naturalmente. Così come è giusto e auspicabile che ogni recrudescenza squadrista o eversiva, per quanto marginale possa essere, venga debellata dallo Stato con implacabile precisione. Il punto però è comprendere se la diramazione continua di un allarme da cittadella repubblicana sotto assedio non nasconda dell'altro, e chi siano realmente i protagonisti di questa chiamata alle armi difensive. Le risposte rischiano di essere purtroppo banali: dall'agenda politica ai temi eticamente sensibili, il monopolio del discorso pubblico appartiene a una sinistra intellettuale storicamente egemonica (e questa non è una novità, gramscianamente parlando) che, quando vede in pericolo le proprie rendite o sconfitte le proprie certezze (vedi il capitombolo parlamentare sul ddl Zan) risfodera il nucleo suprematista della propria natura e concentra l'attenzione sul nemico immaginario alle porte.

Marco Damilano: età, altezza, peso, moglie, figli e vita privata | TuttiVip
Marco Damilano

Come sottolineava ieri sul Comere della Sera il professor Galli della Loggia, la reazione platealmente scomposta e anatemizzante ("vergognatevi!") del fronte arcobaleno dopo la bocciatura della legge contro l'omo-transfobia travalica i confini dell'emotività e dimostra la sopraggiunta difficoltà di essere e mostrarsi conservatori in un clima da asimmetrica guerra di religione senza religione, ma con una chiesa unica progressista ad amministrare la caccia agli eretici. A poco o nulla vale obiettare che il provvedimento in questione, se pure mosso dalle migliori intenzioni, oltre a essere caratterizzato da una scrittura zoppicante pretendeva di allargare la cintura protettiva contro la discriminazione a colpi di codice penale e lambiva la libertà d'espressione con un sospetto profilo di pedagogia genderista incostituzionale. Il fatto stesso di opporvisi, nel roveto ardente in cui gli estremismi hanno ridotto l'attuale dibattito, equivale a essere declassati come figure indegne di un consesso civile. È un fenomeno conosciuto da tempo in ambito ideologico come la "reductio ad hitlerum" e che ricalca in forma speculare l'oscurantismo inquisitorio della controriforma più tenebrosa: la sinistra che disegna il perimetro e scrive le regole del gioco, si ritiene antropologicamente superiore, bolla il dissenso con il marchio dell'infamia ontologica arrogandosi il diritto di rilasciare patenti di sana e robusta costituzione democratica. Con questa logica gli odiatori come Roberto Saviano gridano stupefatti all'orrore mentre vanno a processo per calunnia rivendicando la bontà extra legem dei loro insulti dettati da sedicente umanitarismo. Con questa logica si pretende di mantenere in uno stato di minorità morale una destra costituzionalizzata dalla metà del secolo scorso ma sempre tenuta a rilasciare analisi del sangue per verificarne la sopravvivenza di globuli neri; quando non debba direttamente difendersi dalla pretesa di confinarla «fuori dall'arco democratico e repubblicano», come dimostra la recente raffica sparata dall'ex ministro dem Giuseppe Provenzano sui Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.

Con questa logica si finisce per «spogliare certe posizioni di qualunque contenuto e dignità» (sempre Galli della Loggia) e declassarne di fatto gli sparuti sostenitori al rango di meteci, gli antichi allogeni esclusi dalla partecipazione attiva alla vita della Polis. Perfino i moniti contro la torsione autoritaria implicita in ogni prolungamento immotivato dello stato d'emergenza, provenienti da filosofi al di sopra d'ogni sospetto come Massimo Cacciari, rischiano di diventare scandali della nuova ragion sinistra e perciò visti con sospetto, e perciò degni di censura o deformante dileggio (vale a dire una censura ancor più feroce). Dopotutto la neolingua imposta dalla paleosinistra di ritorno al vocabolario del confronto fra idee contrapposte, di cui i social network sono divenuti i tecnoguardiani impersonali e contro la quale Luca Ricolfi ha appena dato prova di eroica reattività sul bollettino ufficiale del pensiero dominante (Repubblica), si sta rivelando un formidabile strumento di affermazione suprematista e di "pulizia etica" al cui cospetto - di questo passo - non resterà che la resa o una metaforica vaporizzazione orwelliana. Contrapporsi a questo moloch manipolatorio comporta il rischio di essere avvolti in un freddo sudario di morte civile e precipitati in una notte delle streghe in cui tutto si equivale: conservatorismo, patriottismo, sovranismo, trumpismo, putinismo e appunto nazifascismo. Ma se non è nazismo anche questo, stiracchiando i confini della categoria con parallela disinvoltura, chiamatelo pure sovietismo inconscio. A dimostrazione che il problema non sono soltanto i pochi psiconazi in circolazione ma soprattutto i riflessi condizionati e totalitari di cui si alimenta il tribunale dei buoni.

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