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Libero Rassegna Stampa
25.10.2021 Cuba: Fidel respinse Pasolini perché era gay
Commento di Fausto Carioti

Testata: Libero
Data: 25 ottobre 2021
Pagina: 1
Autore: Fausto Carioti
Titolo: «Fidel respinse Pasolini perché era gay»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 25/10/2021, a pag.1 con il titolo "Fidel respinse Pasolini perché era gay", il commento di Fausto Carioti.

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Fausto Carioti

IL CASTRIANESIMO - Limes
Fidel Castro

L'odio di Fidel Castro per gli omosessuali è cosa nota. Lui stesso ammise le proprie colpe nel 2010, quando era troppo tardi e mille testimonianze lo avevano già condannato. Tra queste c'è il libro di Felix Luis Viera, Il lavoro vi farà uomini, che racconta la vita nelle Umap, i gulag cubani nei quali, a decine di migliaia, maricones ed effeminati sono passati assieme a dissidenti, seminaristi cattolici e altre «piaghe sociali» non tollerate dal regime. Soprattutto, c'è il racconto che Valerio Riva, lì presente, ha fatto della conversazione che il compagno Fidel ebbe a Cuba nel marzo del 1965 con Giangiacomo Feltrinelli. Una sera, a cena, l'editore gli chiese perché perseguitasse gli omosessuali. Tra i commensali calò il gelo. Castro, racconta Riva, «disse qualcosa come "è un bello sfacciato questo Giangiacomo!", accese un sigaro e prese lentamente a dire che all'origine c'erano stati problemi in certe scuole, che dei genitori avevano protestato, che in fondo bisognava capirli, l'idea di mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio non garberà a nessuno. Disse che lui non aveva proprio niente personalmente contro gli omosessuali, purché non pretendessero di far proseliti. Se gli tirava il culo, problemi loro... Lo Stato, la Rivoluzione non poteva certo permettere la corruzione di minorenni...». C'è però un'altra vicenda, molto meno conosciuta, che ha per protagonisti Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Dacia Maraini. E emersa solo di recente, grazie a Paragone, raffinata rivista fiorentina di arte e letteratura fondata da Roberto Longhi. E la "vera" storia del viaggio di Moravia a Cuba. O comunque "un'altra" storia, diversa che da quella che si sapeva.

LA VERSIONE UFFICIALE... Sinora, c'è stata solo la versione di Moravia. Ad Alain Elkann che lo intervistava (Vita di Moravia, 1990), la raccontò così: «Fui invitato a Cuba nel 1966 alla Conferenza tricontinentale e ci andai con Dacia Maraini. La conferenza si occupava principalmente, almeno per quanto mi sembrò di capire, di questioni politico-militari. Era cioè una conferenza che lasciava indovinare nelle grandi linee quello che sarebbe stato l'intervento armato di Cuba in tante parti del mondo del futuro». Lui e la Maraini ebbero due incontri con Castro, uno pubblico e uno privato, «brevissimo». Quanto basta perché Moravia s'invaghisse del dittatore, «un ottimo oratore, pieno di calma e ragionevole autorità». «Come con Arafat e con Tito», rivelò a Elkann, «ho avuto simpatia per lui, perché ho sentito in lui l'uomo d'azione. Anzi, in quel momento lui rappresentava l'uomo d'azione per eccellenza, in quanto la rivoluzione culturale capovolgeva la credenza "veteromarxista" che il pensiero deve precedere l'azione. (...) II fare cambia il mondo. La parola, se non diventa a sua volta fatto, non cambia nulla». Non una parola né un fatto, però, vennero da Moravia sugli aspetti più infami di Castro e della sua dittatura. Eppure, l'autore de Gli indifferenti questi aspetti li conosceva molto bene. Perché pochi giorni prima, a pagarne il prezzo, era stato il suo amico Pasolini. Il «pervertito» Pasolini. E qui che le pagine di Paragone scritte da Francesco Rognoni gettano una luce diversa su Moravia e sul suo resoconto di quei giorni all'Avana. La rivista pubblica un assaggio del carteggio che lo scrittore "irregolare" Nicola Chiaromonte, socialista libertario, ebbe con la scrittrice statunitense Mary McCarthy, alla quale era legato. Chiaromonte era molto amico di Moravia e della Maraini, e in una lettera che inviò alla McCarthy nel febbraio del 1966 le riporta questo aneddoto, stranamente sfuggito a tutti i biografi: «Ti racconto una storia divertente. Quella del viaggio di Moravia a Cuba. A dicembre, Moravia voleva farsi una vacanza con Dacia in Marocco. E dato che, per ragioni sue, sembra non sia capace di viaggiare senza Pasolini, gli ha chiesto di unirsi a loro. Pasolini ha detto che no, lui andava a Cuba. A Moravia l'idea di Cuba non piaceva per niente: voleva solo farsi una vacanza, e andare a Cuba era un gesto politico, dato che non ci si può andare se non in qualità di ospiti del Governo innanzitutto. Quindi ha provato a far ragionare Pasolini. Niente da fare. O Cuba o niente. Moravia, che è un bravo ragazzo, alla fine si è arreso ed è andato all'ambasciata di Cuba a chiedere il visto. Che, naturalmente, gli hanno servito su un piatto d'argento. Così si è preparato al viaggio. Ma da parte di Pasolini, silenzio. Alla fine Moravia l'ha chiamato per chiedergli se era pronto anche lui. Pasolini ha detto "No", gli avevano negato il visto perché notoriamente omosessuale: a Cuba l'omosessualità è un reato penale. Moravia si è arrabbiato doppiamente, è tornato all'ambasciata cubana a protestare, a chieder anche lui il visto per Pasolini ("Dopo tutto, è un grande scrittore, eccetera..."). Niente da fare. Impossibile lasciar entrare a Cuba un notorio pervertito. E così Moravia è andato a Cuba (dove mi si dice che il 15% della popolazione sia omosessuale, a cominciare da Castro) solo con Dacia. Dove è stato accolto benissimo, e oltretutto non ha dovuto spendere un centesimo. Ma Pasolini è rimasto a Roma (o forse è andato in Marocco, non so)».

...E L'ALTRA Secondo la versione di Chiaromonte, dunque, Moravia non era stato «invitato» dal regime ad assistere alla Conferenza tricontinentale, che si era tenuta all'Avana dal 3 al 16 gennaio del 1966. L'idea di andare sull'isola era stata di Pasolini, e Moravia aveva chiesto il visto con l'intento, meravigliosamente borghese, di farsi una vacanza al sole dei Caraibi assieme alla Maraini. Ma il poeta e regista bolognese era stato umiliato dal governo di Castro, che gli aveva negato l'accesso in quanto «pervertito». E quando Moravia capì che le proteste con l'ambasciata cubana non avrebbero rimosso quel veto vergognoso, anziché denunciare la vicenda (per difendere almeno il suo amico, se non l'intera categoria degli omosessuali), o comunque cambiare meta sdegnato, lui, il più influente degli intellettuali italiani, scelse il silenzio e l'aereo che lo portò all'Avana. Dove, assieme alla sua compagna, fu accolto con tutti gli onori e non dovette «spendere un centesimo», ospite di Castro. E da dove tornò colmo di pensieri buoni per il líder máximo. Del tutto indifferente - è il caso di dirlo - al modo in cui costui aveva trattato il povero Pasolini e calpestava i diritti dei «pervertiti». E un giorno, chissà, magari sapremo pure se le voci sull'omosessualità nascosta del macho Castro, riferite dal serissimo Chiaromonte («Austero cavaliere», lo chiamava la McCarthy), fossero calunnie o verità.

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